Last Armageddon
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Sono passati esattamente dieci anni. Quello fu il giorno in cui esplose l’area del Kanto. Il giorno in cui cumuli di metallo incandescete caddero al suolo,rappresentando la fine dei nostri sogni. In quel momento esatto le nostre fantasie di una nuova era si dissolsero di colpo. Eppure l’umanità sembrava avviata a vivere un futuro finalmente luminoso.Stretti per oltre un anno nel fuoco incrociato degli Invasori e dell’armata di Robot che difendeva il pianeta, i governi del mondo decisero che non sarebbero più potuti restare a guardare pochi umani guidati da istituti di ricerca indipendenti, decidere il destino dell’umanità...
Daishonin Velvet |
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Capitolo 11
Matsuyama era ridotta a poco più che ad un gruppo di capanne e magazzini sorto attorno ad una radura, lungo l’unica strada rimasta che attraversava le pianure dello Shikoku. Lì Isamu e Buster dovevano cercare Naihutero, anche se non avevano idea di chi interpellare. Iniziarono lasciando la motocicletta presso un garage il cui proprietario promise di lavarla e lucidarla. Persona pratica e di poche parole come tutti gli abitanti delle piccole isole, per una piccola aggiunta accettò di prendersi cura del loro bagaglio. Liberatisi così della moto e dell’equipaggiamento, per non dare troppo nell’occhio, i due amici raggiunsero una taverna e consumarono un robusto pranzo a base di ramen. La taverna era frequentata soprattutto dai pescatori del villaggio, ma nessuno prestò loro la minima attenzione. Buster portava l’elsa della PsychoBlade al fianco, come fosse una torcia, e tutti e due erano vestiti con abiti leggeri da viaggio,tipici di chi ancora abita in una città dove si tesse. Se gli abitanti del luogo trovarono strano che i due ragazzi fossero così lontano da casa, non lo diedero comunque a vedere. “Naihutero” dev’essere un pescatore” disse Buster, mentre mangiavano. ”Nessun altro sarebbe disposto a vivere qui. Un monaco,forse.” Isamu annuì, ma non riusciva a capire perché Zeku Alba volesse con se un monaco. Terminato il pranzo, cominciarono a chiedere dove potevano trovare l’uomo che cercavano, e ben presto scoprirono che nessuno lo conosceva. Cominciarono col proprietario del locale e proseguirono lungo la strada, dai negozianti ai magazzini. Tutti li guardavano senza capire, nessuno conosceva un uomo chiamato Naihutero,nessuno aveva mai udito quel nome.
“Forse non abita qui” commentò Buster,dopo una ventina di insuccessi. “Forse non è facile trovarlo come il Professor Zeku ci ha fatto credere” brontolò Isamu. Tuttavia proseguirono la ricerca,passando da un edificio all’altro,mentre il pomeriggio si consumava. Alla fine avevano fatto l’intero giro del villaggio,fino a tornare al garage dove avevano lasciato la moto ed i bagagli. Il proprietario non si vedeva, ma su uno sgabello davanti all’entrata c’era un uomo dall’aspetto robusto, vestito da boscaiolo,occupato ad intagliare un pezzo di legno. Quando i due amici si avvicinarono alzò gli occhi, posò il coltello e il pezzo di legno e si alzò. “Buster?” chiese, con il tono di chi sa già la risposta. Buster annuì e l’uomo gli tese la mano. “Sono Gonshiro, la vostra guida” lo salutò. “La nostra guida?” gli fece eco Buster, tendendo la mano a sua volta. Fece una smorfia, sorpreso dalla forza con cui l’altro gliela strinse. “Ci porti da Naihutero?” L’uomo annuì. “Per così dire”. “Come sapevi che stavamo arrivando?” chiese Isamu,sorpreso. “Tu devi essere Isamu Naputo” disse Gonshiro. Tese di nuovo la mano e Isamu gliela strinse. “Me l’ha fatto sapere il nostro comune amico. Di tanto in tanto gli faccio qualche favore. Di alcuni di noi si fida quanto basta per chiederci aiuto,quando ne ha bisogno.” Si guardò attorno “Andiamo in qualche luogo un po’ appartato se vogliamo parlarne.” I due giovani lo seguirono lungo la strada, fino ad un vecchio pozzo circondato da alcune panche, all’ombra. Non sembrava una zona molto frequentata. Gonshiro accennò loro di sedersi, poi prese posto di fronto a loro. Sotto gli alberi c’era fresco e silenzio, e tutt’a un tratto il traffico del villaggio e della strada parve molto lontano.
“Avete mangiato?” chiese l’uomo. Aveva lineamenti rudi, una corta e folta barba e non era più giovane. Profonde rughe gli segnavano la fronte e la pelle era scurita dal sole e dal vento. Qualunque fosse la sua attività, la svolgeva all’aperto e da parecchio tempo. “Mi date l’impressione di essere un po’ stanchi” osservò. “Forse perché è tutto il giorno che giriamo alla ricerca di Naihutero” rispose Isamu,in tono acido. L’uomo annuì. “Non credo che a Matsuyama lo conoscano. Se qualcuno lo conosce,non sa il suo nome”. I suoi occhi castani avevano uno sguardo distaccato, come se fissassero qualcosa al di la di ciò che era direttamente visibile. Isamu lo guardò con fastidio. “Avresti potuto risparmiarci un mucchio di fatica trovandoci prima.” “Oh,nemmeno io sono qui da molto” rispose Gonshiro, senza scomporsi. “Non abito nel villaggio. Sto nelle montagne. Quando ho saputo che stavate arrivando, sono sceso a cercarvi. Sapevo che prima o poi sareste passati a recuperare la moto, così ho deciso di aspettarvi al garage.” Isamu avrebbe avuto qualcosa da dire, ma Buster lo prevenne. “Fino a che punto sei al corrente di quello che sta succedendo, Gonshiro? Sai cosa ci facciamo noi qui?” L’uomo si strinse nelle spalle. “Zeku Alba è un alieno, perdipiù è uno scienziato. I Garadain non ritengono utile raccontare più di quanto giudicano necessario.” Buster sorrise,senza alcun turbamento. “Pensi che Nahiutero ne sappia più di te?” “Penso che ne sappia di meno.” Gonshiro scosse la testa,divertito. “Non sapete nulla di lui,vero?” “Solo che dobbiamo portargli un messaggio del Professor Zeku” rispose Isamu, con voce un po’ più irritata del voluto. Sospirò “Ti devo dire comunque che, che tutta questa segretezza mi piace poco. Come si può prendere una decisione su qualcosa, se non si hanno informazioni per valutarla?”
L’uomo rise. Un suono basso,cavernoso. “Intendi dire cosa risponderà Naihutero alla richiesta di Zeku Alba che tu gli porti? Ah! Ragazzo, non è per questo che sei qui! Oh, so che hai un messaggio dello scienziato. Devi dire a Naihutero qualcosa sulla missione che Zeku Alba intende compiere, per sapere se vuole partecipare. È Così?” Aveva un’aria tanto divertita che Isamu ebbe la tentazione di dirgli che si sbagliava, ma Buster stava già facendogli grandi cenni di assenso. “Dovete capire una cosa” continuò Gonshiro. “Naihutero non da una vera importanza alle missioni di nessuno, tantomeno a quelle di un pazzo alieno come Zeku Alba. Come se non avessimo già abbastanza problemi con gli alieni…comunque…se se la sente di accompagnarlo, e di solito se la sente, lo accompagna. Per saperlo non c’era bisogno che voi due faceste tanta strada. No, Zeku Alba vi ha mandato per un altro motivo.” Isamu lanciò una rapida occhiata a Buster. “Per mettere alla prova la PsychoBlade” pensava il giovane. “Per capire se Buster è davvero in grado di sprigionare l’energia per farla funzionare e controllarne il potere”. All’improvviso, Isamu provò una forte preoccupazione. Che tipo di sfida avrebbero dovuto affrontare? E lui? Perché era stato mandato con Buster? Lui non possedeva nessun potere psicogenetico,come se la sarebbe cavata in caso di pericolo? “Forse è meglio andare a parlare subito con Naihutero” si affrettò a dire, per farla finita. Ma l’uomo scosse la testa. “Non possiamo. Per prima cosa, non uscirà finchè non farà buio. Non fa nulla alla luce del giorno, da quando sono arrivati gli Invasori. Perciò dovremo aspettare il tramonto. Secondo, non è esatto dire che noi andiamo a parlare con lui. Dev’essere lui a venire da noi. Potremmo dargli la caccia fino alla prossima estate senza mai vederlo.” Strizzò l’occhio a Isamu. “E’ in qualche punto delle montagne dietro di noi, assieme a creature con le quali sia tu che io preferiamo non avere nulla a che fare,credimi”
Isamu rabbrividì a sentire quelle parole. Aveva sentito parlare degli esseri che vivevano nell’arcipelago di Shikoku, esseri mitici e leggendari, incubi e demoni divenuti realtà. Se si faceva attenzione ad evitare i luoghi dove dimoravano, non erano pericolosi, ma un solo passo falso poteva condurre al disastro. “Racontaci qualcosa di Naihutero” chiese Buster,senza alcun tono particolare. Gonshiro lo guardò con grande serietà per un istante, poi sorrise in modo quasi gentile. “Forse è meglio aspettare che tu lo veda di persona” L’uomo cambiò argomento , e chiese notizie del Giappone centrale e della guerra tra la Resistenza e gli Invasori. Ascoltò con attenzione le risposte e riprese ad intagliare il pezzo di legno che stava lavorando mentre aspettava il loro ritorno davanti al garage. Isamu era ammirato dall’abilità di Gonshiro nel dividere completamente la propria attenzione tra i due compiti. Non staccava gli occhi dai due giovani, ma le sue mani continuavano ad intagliare il pezzo di legno. Il suo corpo massiccio si era trovato una posizione comoda e non l’aveva cambiata, a parte i movimenti precisi delle mani e qualche cenno della testa. Impossibile capire se prestava attenzione alle loro parole o se era assorto nei suoi pensieri. Dopo qualche tempo, posò la scultura sulla panchina, accanto a sé: un bellissimo pezzo, un guerriero imponente, in una sorta di armatura medioevale, fiero ed elegante. Per certi versi ricordava quel robot di cui si parlava prima della guerra con gli Invasori, quello che aveva salvato il Giappone dalle mire di conquista dello scienziato bramoso di dominio, il Dottor Hell. Questo guerriero appariva però più squadrato del robot che i due ragazzi conoscevano, il leggendario Mazinger Z, e sulla sua fronte spiccava una croce, intagliata da Gonshiro con una precisione che aveva dell’incredibile.
“E’ per te ragazzo” disse l’uomo rivolgendosi ad Isamu “ per ripagarti del viaggio e della lunga attesa che devi sopportare”. Il volto di Gonshiro si distese leggermente “Su, accetta il regalo di un vecchio sconosciuto,è solo una statuetta. Non ti farà del male”. Isamu prese il guerriero intagliato e cominciò ad osservarlo meravigliato. Era stupendo. Quando finalmente riuscì a trovare il coraggio di chiedergli che lavoro facesse, Gonshiro si strinse nelle spalle. “Oh, un po’ di questo e un po’ di quello” Sulla sua faccia impassibile comparve un sorriso enigmatico. “Guido qualcuno di coloro che hanno bisogno di aiuto per attraversare le montagne” Isamu si chiese chi potesse aver bisogno di attraversare lo Shikoku. Non certo coloro che abitavano nella regione, pescatori e contadini che si guardavano bene dal passarvi. E neppure i rifugiati che vivevano nelle foreste del Giappone, e che preferivano rifugiarsi in luoghi più sicuri. Nessuno che conducesse una vita normale, perché le persone normali non avevano alcuna ragione di trovarsi sui monti di quelle isole. “Guiderà gente come noi” si disse infine. “Gente che ha bisogno di parlare con tipi come Naihutero. Ma quanta gente?”
Come se gli leggesse nel pensiero, l’uomo lo guardò e disse: “ Non sono molte le persone, neppure tra la gente dell’isola, che hanno familiarità con le montagne. Almeno, quanto basta per evitare pericoli e trabocchetti. Io li conosco perché me li ha mostrati Naihutero. Mi ha salvato al vita, e mentre guarivo dalle ferite mi ha insegnato. Forse si è sentito in dovere di aiutarmi a trovare un modo di restare in vita una volta che l’avessi lasciato. “
Si alzò, si stiracchiò e accarezzò per l’ultima volta la figurina intagliata che aveva regalato a Isamu. “E’ tuo, ti porterà fortuna contro tutte le cose che di tanto in tanto ti mettono paura. Come ogni scultura, ci sono cose che capiamo meglio quando diamo loro una forma. Qualunque impresa Zeku Alba abbia in serbo per te, avrai bisogno di tutta la fortuna che potrai trovare.” Si avviò senza attendere la loro risposta. “E’ ora di andare. Prima a casa mia, poi sulle montagne. Dovremmo essere là per mezzanotte e torneremo qui domani all’alba. Prendete con voi quello che vi serve e lasciate il resto. È al sicuro.” Isamu s’infilò la scultura in una larga tasca e seguì l’uomo insieme all’amico.
Capitolo 12
Era già buio quando raggiunsero la capanna di Gonshiro, un semplice rifugio fatto di pietra e tronchi situato in una radura accanto alla cima del colle fuori vista. Accanto vi scorreva un ruscello, che i due giovani poterono udire pur non vedendolo, e gli alberi formavano un riparo contro il vento. Gonshiro li lasciò fuori mentre entrava in casa. Tornò subito con una pistola infilata nella cintura e un’accetta tipica dei boscaioli, molto robusta e a manico lungo, appoggiata sulla spalla. “Statemi vicini e fate come vi dico” li avvertì quando li raggiunse. “Se siamo attaccati, usate le armi per difendervi, ma non cercate guai e non allontanatevi da me. Chiaro?” I due giovani annuirono preoccupati. “Attaccati da chi?” avrebbe voluto chiedere Isamu.
Lasciarono la casa e la radura, si fecero strada in mezzo agli alberi sino ai primi pendii della montagna, e cominciarono a salire. Non si riusciva a distinguere il sentiero,ma Gonshiro dava l’impressione di conoscerlo bene. Li fece zigzagare in mezzo alle rocce, a boschetti di alberi secolari, di gole buie, inoltrandosi sempre più in mezzo ai pendii accidentati della montagna. Prese anche a fare freddo, l’aria di montagna divenne più sottile e cominciarono a scorgere il vapore del loro fiato. Di tanto in tanto si posava sulle loro teste qualche ombra: rapaci notturni al lavoro, silenziosi e rapidi.
Isamu si trovò a pensare alla propria vita, un passato nascosto e avvolto in vaghe possibilità. Chi era lui in realtà, per essere stato portato da uno scienziato alieno dai genitori di Buster, tanti anni prima? Non solo il figlio di un lontano parente, rimasto senza famiglia. Non un semplice bambino senza casa. Ripensò a quante volte avesse chiesto informazioni sui suoi genitori e chi lo aveva adottato aveva cambiato discorso. Fino a quel momento la cosa non gli era sembrata importante. Ogni tanto, il fatto di non ricevere risposta, di doversi arrestare nelle sue ricerche lo aveva irritato. Ma era vissuto bene con la famiglia di Buster, e la sua curiosità non era mai stata così forte da spingerlo a insistere per ottenere risposte più esaurienti. Adesso si chiedeva se era stato troppo remissivo. O forse stava facendo troppo rumore per nulla, e la sua famiglia era solo quello che aveva sempre pensato, un fatto accidentale senza altre conseguenze di averlo affidato alle capaci mani dei suoi genitori adottivi. Stava cercando segreti solo perché Zeku Alba era ricomparso dopo tanti anni, solo per affidargli una missione che sembrava assurda?
Giunti sul fondovalle, Gonshiro ordinò di fermarsi in una piccola radura racchiusa tra tre alberi giganteschi. “Dobbiamo aspettare qui” disse. Isamu osservò le ombre che li circondavano. “Per quanto?” “Finchè Naihutero non si accorgerà del nostro arrivo” Abbassò l’accetta e si diresse verso le ombre. “Aiutatemi ad accendere il fuoco”. Raccolsero la legna secca e con la pistola a raggi termici di Isamu regolata al minimo, accesero il fuoco. Le fiamme si alzarono pochi istanti più tardi illuminando lo spazio aperto della radura, ma senza riuscire a penetrare nel mare di oscurità che li circondava. Anzi, parevano sottolineare quanto fossero isolati. “Potrebbe non essere nella valle, questa notte” disse Gonshiro a un certo punto, spostando la schiena che era appoggiata a quella di Isamu e costringendolo a piegarsi, spinto dalla sua massiccia figura. “Potrebbe non fare ritorno fino a domattina”. “Abita qui?” domandò Buster. “Qui come in qualunque altro posto. Non ha una capanna o una tenda. Non ha proprietà e non mette neppure da parte il cibo per i momenti in cui potrebbe averne bisogno.” L’uomo fece una pausa riflettendo. “Non è una persona come noi” Lasciò cadere l’argomento e né Isamu né Buster insistettero per proseguirlo. Per conoscere l’aspetto di Naihutero, dovevano aspettare che arrivasse. Lo stesso Isamu cominciava a pensare che fosse preferibile non saperlo. Forse sarebbe stato meglio che la notte passasse e giungesse il mattino senza che succedesse nulla.. Forse avrebbero fatto meglio a lasciar perdere quella missione. “Avevo solo vent’anni quando l’ho conosciuto” disse all’improvviso Gonshiro a bassa voce. “Mi è difficile ricordare come ero allora, ma ero giovane e pieno di me, e cominciavo a capire che volevo essere una guida e volevo vivere lontano dalla gente. Già da qualche tempo abitavo per conto mio. Avevo lasciato da giovane la mia casa e ne ero rimasto lontano, non ne sentivo la mancanza e non pensavo di pentirmene. Ero sempre stato piuttosto distaccato da tutti, perfino dai miei fratelli, e probabilmente, quando non mi hanno più visto, hanno tirato tutti un sospiro di sollievo”. Girò la testa in direzione di Isamu. “Ero un po’ come te, cauto e sospettoso, poco disposto a lasciarmi ingannare, capace di badare a me stesso ma poco esperto del mondo. Avevo sentito parlare delle montagne dello Shikoku , delle leggende sulle Beasts,e avevo deciso di andare a vedere di persona. Sorrise. “Pensavo che, trovandosi proprio nella zona del pellegrinaggio per gli ottantotto templi del Bhudda, ci fosse un certo numero di persone che la attraversasse quel tanto che permette ad una guida di guadagnarsi da vivere. Perciò mi sono unito ad alcuni uomini che facevano quel lavoro, ma che alla fin fine sapevano molto meno di quanto lasciassero credere. Feci alcune traversate con loro e sopravvissi. Dopo un anno o due mi misi in proprio. Pensavo di poter fare meglio da solo. Poi un giorno mi persi e non riuscii più a venir fuori dai monti.”
L’uomo proseguì “Ero partito in esplorazione, per cercare di capire come si collegassero tra loro alcuni passi e rendere più facile la traversata verso i templi della costa. Sapevo qualcosa degli esseri che abitano la regione, o perché le altre guide me ne avevano parlato, o perché io stesso li avevo visti. Alcuni non li vedi mai naturalmente…a meno che non ti capiti un colpo di sfortuna. Molti si possono scacciare o evitare, almeno le Beasts più piccole e fatte di carne e ossa. Ma dalle Devilbeasts è meglio allontanarsi o nascondersi. Col tempo si impara a farlo. Quella volta mi sono dimenticato di stare attento. Mi ero perso ed ero disperato,e ho commesso un errore.”
Sospirò e scosse la testa. “Mi dispiace ammetterlo, ancor oggi. Per tornare indietro sono passato in una zona che sapevo di dover evitare, ma pensavo di poterci rimanere solo il tempo necessario a venir fuori dalla situazione in cui ero. Poi sono caduto, e mi sono rotto una caviglia, in modo abbastanza grave, tanto da poter camminare a malapena. Era quasi notte e con il buio una Devilbeast venne a cercarmi. Il fuoco scoppiettò bruscamente e Isamu sobbalzò. Devilbeasts. Nel giappone centrale erano una sorta di leggenda: creature note a molti, ma viste da pochi. In parte uomini ed in parte bestie demoniache, era difficile vederle, impossibile difendersi da loro: si nutrivano di odio e della paura e prendevano forma dall’immaginazione delle proprie vittime.Non c’era quasi nulla che potesse resistere loro, nemmeno le truppe corazzzate giapponesi. Isamu e Buster avevano sentito addirittura parlare di un corpo speciale dell’esercito, guidato da Devilbeasts che stavano dalla parte degli umani. Li chiamavano Devilmen, ma il governo aveva sempre negato l’esistenza di un simile corpo all’interno dell’esercito regolare. La possibilità di incontrare una Devilbeast fece rabbrividire Isamu. “Pensavo che vivessero solo nelle città più vicine al Kanto” commentò.
Gonshiro annuì. “Una volta, forse, ma i tempi cambiano. Comunque, la Devilbeast mi ha attaccato e io ho lottato contro di essa tutta la notte. Ho combattuto così a lungo e così duramente che non sapevo nemmeno più cosa stessi facendo. Cambiò forma molte volte per attaccarmi, sempre più spaventosa, e mi ferì ben bene. Ma terminati i colpi della pistola, io tenni la mia posizione, con la schiena appoggiata a un albero, troppo ostinato per convincermi che non potevo vincere quella battaglia, anche se a ogni assalto diventavo sempre più debole e stanco.” S’interruppe per fissare nel buio. I due ragazzi aspettarono, convinti che riflettesse o ricordasse. Ma all’improvviso l’uomo si alzò in piedi e sfoderando la pistola, afferrò saldamente l’accetta con l’altra mano. “Laggiù c’è qualcosa che si muove…”
Capitolo 13
Una forma scura e allungata scaturì tutt’a un tratto dalla notte, seguita da una seconda e poi da una terza. Pareva che le ombre si fossero animate, avessero preso forma e sostanza. Gonshiro venne scagliato a terra e gemette per la violenza del colpo. Isamu e Buster rotolarono di lato, e le ombre passarono sopra di loro: ombre scure, con lampi di denti e di artigli, e profondi brontolii di gola. Devilbeast portatrici di Stand. Isamu ne aveva sentito parlare nei racconti di Zeku Alba. Umani che sviluppavano caratteristiche animalesche e demoniache. Alcune di queste aquisivano una capacità esp che si concretizzava in un corpo spirituale attraverso il quale ogni portatore possedeva un suo potere specifico. Buster per esempio aveva dato dimostrazione una volta di generare una lama Psichica, dall’elsa che Zeku Alba gli aveva regalato. Solo che non era in grado di controllare il processo, e cosa peggiore nella situazione attuale, non era in grado di replicarlo a suo piacimento.
Isamu afferrò la pistola energetica che portava alla cintura e rimpianse di non avere un’arma migliore per difendersi. Un branco di Devilbeast, perdipiù portatrici di Stand, poteva abbattere qualunque essere vivente. Gonshiro si era rimesso in piedi e brandiva l’accetta e la pistola, spostando il peso a sinistra e a destra, mentre le ombre si muovevano ai margini della zona illuminata, alla ricerca di un’apertura nella sua guardia. Di tanto in tanto uno stand bestiale si lanciava contro di lui, e l’uomo sferrava un colpo d’accetta o sparava in quella direzione, ma incontrava solo l’aria. Isamu lanciò un grido di avvertimento a Buster, che era rotolato lontano dal fuoco e lottava per rimettersi in piedi. Alla fine Gonshiro si mosse per aiutarlo, ma nell’istante in cui spostò lo sguardo verso il ragazzo, uno stand gli si lanciò contro e lo buttò a terra, facendo volare via le armi.
Per un istante, Isamu pensò che fossero perduti. Gli stand demoniaci uscivano di corsa dall’oscurità, ed erano così numerosi che i tre compagni non avrebbero potuto fermarli neppure se fossero stati pronti a difendersi. E invece Gonshiro e Buster erano a terra e Isamu aveva come sola arma la pistola a raggi che non sembrava colpire gli assalitori. “Buster” gridò Isamu, disperato, e venne scagliato lontano da una forma che si era materializzata all’improvviso alle sue spalle e l’aveva colpito. Le Devilbeast agivano così…indebolivano le prede con gli stand, per poi dilaniarle e finirle personalmente. Un attimo dopo l’amico fu accanto a lui, l’elsa della Psychoblade impugnata a due mani. Buster era pallido ed intimorito, ma aveva lo sguardo deciso. Mentre gli stand attaccavano, ruotò in un ampio arco l’elsa e lanciò un urlo di disperazione : “PSYCHO BLAAAAAAAAADE” E dall’elsa fuoriuscì una lama che lampeggiò come se fosse stata incandescente, per tutta la lunghezza corsero fili di fuoco azzurro. Buster rimase a bocca aperta, barcollò e per poco non cadde su Isamu. Gli stand fuggirono in tutte le direzioni e scomparvero nel buio. Buster, sconvolto per l’accaduto ma eccitato, li inseguì compulsivamente.
Ma subito gli stand demoniaci tornarono: attaccarono di nuovo, allontanadosi all’ultimo momento, quando la lama di energia si scagliava contro di loro. Gonshiro si era rimesso in piedi, con gli occhi sgranati per lo stupore. Non trovando la pistola, recuperò l’accetta e andò vicino a Buster. “Poteri esp” pensò Isamu, mentre correva per unirsi a loro. Allora il suo amico era davvero in grado di controllarli! Zeku Alba aveva ragione!
Ma i problemi non erano finiti. Le Devilbeast non avevano interrotto l’attacco: si erano limitate ad evitare la difesa levata contro di loro e attendevano l’occasione per lanciarsi avanti. Erano troppo astute per farsi cogliere di sorpresa e troppo decise per rinunciare. Il potere Esp di Buster, la PsychoBlade, poteva solo tenerli a bada. “Gonshiro,sono troppi!” gridò Isamu, in mezzo al ringhiare e al sibilare delle Devilbeast. Afferrò un ramo infuocato per cacciarlo nelle fauci degli stand attaccanti.
Semiaccecati dalla cenere e dal sudore, i tre voltarono la schiena al fuoco e scrutarono nell’oscurità. Le Devilbeast guizzavano in mezzo alle ombre, dirigendo i propri stand. Le loro sagome demoniache, lasciavano intuire tratti da lupo, da serpente e a Isamu sembrò di percepire anche una enorme chela da scorpione, ma erano pressoché invisibili. Si scorgevano brillare e poi scomparire i loro occhi, punti di luce che parevano volerli irridere. Incapace di stabilire da dove sarebbe arrivato il prossimo attacco, Isamu sparava alla ceca nell’oscurità della foresta.
“Presto ci salteranno addosso” gridò Gonshiro. Aveva la voce rauca e incrinata. “Dannazione!" continuò l'uomo digrignando i denti " Sono troppe! Da dove sono venute fuori?” “Isamu, hai visto?” Buster rideva quasi istericamente. “Posso controllare la Psychoblade! Isamu…ci riesco davvero!” Isamu giudicò del tutto immotivato l’entusiasmo dell’amico e gliel’avrebbe detto se avesse potuto distrarsi, ma tutta la sua attenzione era rivolta ai movimenti degli assalitori. Non aveva energie da sprecare per Buster. “PSYCHO BLAAADEEEE!” urlò il giovane esper, uscendo di scatto dal cerchio, fingendo di colpire le ombre e ritirandosi in fretta. “Gonshiro!” gridò. ”Cosa facciamo?” Poi, qualcosa di enorme, che era ancora più nero e veloce degli stand passò davanti a loro, trascinando sulla propria scia un soffio di aria gelida. Nella notte si levò un sibilo, poi la terra cominciò a tremare come per l’effetto di un terremoto: le Devilbeast cominciarono ad emettere latrati e urla indicibili, sembravano lottare selvaggiamente contro qualcosa e azzannavano l’aria. Isamu non riusciva a vederle nell’oscurità, ma udiva i rumori che facevano, suoni di rabbia, di paura, di odio. Suoni di ossa che si frantumavano e di carne che veniva dilaniata. Un attimo dopo, i rimanenti si diedero alla fuga, scomparsi come se la foresta li avesse inghiottiti.
Nel silenzio che scese sotto gli alberi, Isamu trattenne il fiato e si abbassò fin quasi a inginocchiarsi, continuando a tenere puntata la sua arma a raggi. Accanto a lui, Buster era immobile come una statua. L’oscurità si aprì di nuovo e alla luce del fuoco comparve una grossa figura sbrindellata, che non era del tutto umana ma non era neppure qualcos’altro. Venne avanti adagio. Aveva i muscoli di un gorilla, le zanne di un lupo, e nei suoi occhi bruciava il fuoco primordiale. Nella sua mano destra teneva un coltello spesso come un ascia, un essere immenso, oltre due metri di pura energia combattiva. “Cos’è?” sussurrò Buster. “Naihutero” rispose con un filo di voce Gonshiro, “ma voi forse avete sentito parlare di lui nelle storie come... Violence Jack...” Le sue parole nel buio della notte, suonarono gelide come il ghiaccio in pieno inverno.
Capitolo 14
- Zona centrale del Kanto
“No” rispose Gai. “Non ricevo niente”.
" Fa' provare a me" disse Dosuroku. Regolò la sintonia della radio, ma non trovò il segnale della prima navicella, quella contenente Go.
Poco dopo essere usciti con la seconda navicella, i cinque volontari avevano perso il contatto visivo con la prima e si erano trovati a volare alla cieca, in una tempesta di sabbia. In alto si erano formate masse di nubi scure e in breve tempo la visibilità era stata ulteriormente ridotta dalla pioggia. Era cessata dopo pochi minuti, ma aveva lasciato una nube di vapore a livello del terreno.
Non erano le condizioni meteorologiche più adatte per riprendere il volo con i comandi manuali. Fino a quel momento, la navicella era stata comandata dall’autopilota e aveva seguito il programma di volo, con il cercatore di direzione collegato a quello dell'altro piccolo mezzo di trasporto. In teoria, bastava che rimanessero fermi a sedere, e la navicella li avrebbe portati ad atterrare vicino a Go.
Questo in teoria.
In pratica, l'autopilota non era riuscito a compensare la spinta del vento: un vento cosi forte che lo si sentiva fischiare fin dall'interno della navicella. Il piccolo computer dell'autopilota aveva fatto il possibile per non farli finire contro qualche ostacolo, ma il vento lo aveva al allontanato eccessivamente dalla prima navicella e gli aveva fatto perdere il contatto. Il computer li aveva fatti scendere a terra senza incidenti quando la situazione meteorologica era diventata troppo pericolosa, ma non aveva potuto fare di più, e non appena era finito di piovere era cominciata la commedia degli errori.
Ora Dosuroku, cambiando la sintonia della radio, scoprì che non era in grado di ricevere. O era scarica, o aveva preso qualche colpo durante la discesa, o le interferenze elettriche dell'atmosfera erano troppo forti.
In quella situazione, la soluzione migliore sarebbe stata quella di rinunciare alla missione, aspettare all'interno della navetta, al sicuro, che il tempo migliorasse, per poi alzarsi in volo e cercare il modulo di atterraggio, o lanciare dei razzi di segnalazione perchè venisse qualcuno a recuperarli.
“Be'” commentò Gai “dal modulo saranno in grado di trovarci, anche se noi non riusciamo a vederli.”
“Ne sei sicuro?” chiese Yiuji, passandosi nervosamente la mano sulla testa .
“ Sicuro che lo sono” replicò Gai, ostentando una sicurezza che in realtà non provava. “Verranno a recuperare la navicella. Queste cose costano.”
Yiuji alzò la testa. “Non sempre” commento “Le navicelle sono considerate sacrificabili per il professore. E cosi gli uomini dell'equipaggio, a volte.”
Non era un pensiero molto allegro.
"Comunque, a noi basta trovare Go" concluse Gai. " Il professore non abbandonerà certamente il suo giocattolo preferito."
L'idea li rasserenò leggermente. Gai prelevò dallo zaino un rilevatore di raggi Getter e cercò di individuare la scia che, a detta di Sho, Go doveva essersi lasciato dietro. Il display dell'apparecchio mostre la normale successione di scariche, ma nessuna direzione definita. Gai lo ruotò in tutte le direzioni, ma ciascuna di esse era uguale alle altre. “La cupola di lega polimorfica blocca il segnale”commentò infine. "Fuori sarà meglio. Tanto dobbiamo uscire in qualsiasi caso." “Uscire fuori con quella nebbia?” chiese Dosuroku, indicando la foschia che cominciava ad avvolgere la navicella. “Non possiamo stare qui in eterno, e con la nebbia non possono venire a recuperarci. Dobbiamo cercare Go e aspettare che vengano a prendere lui e noi.” “Bella schifezza” intervenne Chigu. “E se troviamo gli Invasori?” “Abbiamo le armi” gli ricordò Gai " e gli Invasori non ci vedranno perchè accenderemo i soppressori". “Che altro ci serve?” Gli altri brontolarono, ma nel complesso furono tutti d'accordo: dovevano muoversi. Gai disse loro di controllare le armi, e per qualche istante si sentirono solo gli scatti dei caricatori che venivano infilati e tolti dai fucili e delle batterie che venivano messe e tolte nei laser. “Tutti a posto?” chiese Gai. “Bene, possiamo andare.” Fece scattare il meccanismo di apertura e la calotta di lega polimorfica si alzò lentamente.Uno ad uno, scesero a terra.
La prima cosa che notarono era che non si vedeva nulla. O meglio, la situazione non era cosi disperata: la visibilità era di due o tre metri, valutò Chigu. Allontanandosi cautamente dalla navicella, per prima cosa controllarono la consistenza del terreno. Era abbastanza compatto, coperto di un'erba corta e resistente. Senza allontanarsi troppo dalla navicella, si misero in cerchio attorno a Gai che aveva acceso il rilevatore di tracce e cercarono nuovamente la scia di raggi Getter lasciata da Go. Le solite scariche, e qualche debole lettura, ma non una direzione precisa. Alla fine, Gai decise di seguire il segnale più forte e di sperare per il meglio. “E da questa parte” disse. Non sapeva bene dove stesse andando, ma sapeva di dover fare qualcosa. Cominciava a pensare che forse quella di offrirsi volontario non era stata un'idea così buona. I premi sono sempre una bella cosa, ma non puoi goderteli da morto.
L'uno di fianco all'altro, a un paio di metri di distanza, i volontari si avviarono lungo il piano. Tutti e cinque imbracciavano il fucile e avevano il colpo in canna. A volte, la nebbia si addensava bruscamente intorno a loro, e per qualche istante non riuscivano a vedersi, perchè era come camminare in mezzo a una massa di bambagia grigia e impalpabile. Poi il banco di nebbia veniva portato via dal vento e si aveva l'impressione che non fosse la nebbia a diradarsi, ma gli uomini a uscirne come spettri. Facevano in tempo a scambiarsi qualche segnale, a indicarsi la direzione da seguire, a riformare i ranghi e a percorrere qualche decina di metri; poi un altro banco di nebbia li avvolgeva di nuovo per qualche istante. Gai, in centro allo schieramento, continuava a procedere nella direzione indicata dal rilevatore di raggi Getter, senza chiedersi se fosse davvero quella giusta, perchè non voleva neppure pensare a una simile beffa del destino. Chigu, a una delle estremità della formazione, continuava a guardare dietro di se. Aveva l'impressione che qualcosa di grosso e di terribile stesse per materializzarsi dalla nebbia: qualcosa che l'avrebbe inghiottito in un solo boccone. Era un'idea assurda, una fantasia da bambini, lo sapeva anche lui, ma non riusciva a vincere la paura. Continuava a serrare le dita sul fucile, rimpiangendo di non poter suonare l'armonica, perchè gli avrebbe dato sicurezza. Ma non poteva farlo, perchè gli occorrevano entrambe le mani per tenere il fucile. Ora serrò nuovamente le mani sull'arma e la sollevò per controllare di avere tolto la sicura. L'armonica gli mancava, ma il fucile era più importante. Naturalmente.
Poi furono nuovamente avvolti dalla nebbia e la visibilità si ridusse a zero. Chigu fece qualche passo avanti, con titubanza, tendendo innanzi a se il fucile come se fosse un bastone per ciechi e strizzò le palpebre per distinguere qualcosa in mezzo alla coltre lattiginosa in cui era finito. Quel lavoro era diventato davvero uno schifo! Poi urtò contro qualcuno. Per un istante, perse l'equilibrio, poi lo riacquistò. Dalla parte dove aveva urtato c'era Dosuroku. Perciò fece un mezzo giro su se stesso e gridò: “Dosuroku? Sei tu?” Non ebbe risposta. La persona da lui urtata era a malapena visibile come un'ombra scura in mezzo alla nebbia. “Senti, cerca di non fermarti” lo avverti Chigu. “Dobbiamo fare in fretta... Che hai?” Allungò la mano e toccò colui che credeva Dosuroku nel punto dove, secondo lui, c'era la spalla. Sotto la sua mano, la sagoma si mosse. In quel momento, la nebbia si diradò leggermente e Chigu scorse una forma troppo grossa per essere Dosuroku o uno dei suoi compagni: una sagoma talmente alta da costringerlo a sollevare la testa per vederla tutta. Impossibile avere ancora dei dubbi, a quel punto. Era un Invasore, e nel modo in cui agitava a scatti le braccia e muoveva la testa, come se cercasse di afferrare qualcosa di invisibile, Chigu capi che non era un allucinazione. Era un Invasore vero. L'uomo cercò di sollevare il fucile, ma la cinghia gli si era impigliata attorno al braccio. E la creatura era già su di lui, ormai. Chiuse gli occhi e mormorò una fervida, rapida preghiera. Qualche istante più tardi, apri di nuovo gli occhi. L'Invasore gli era passato accanto, l'aveva sfiorato leggermente e aveva proseguito; continuava a guardarsi attorno come se cercasse qualcosa. “Ehi, amici” mormorò Chigu “abbiamo compagnia.” Gli uomini accanto a lui lo sapevano gia. Avevano visto gli Invasori prima di lui e si erano fermati; non avevano risposto per non tradire la loro presenza. Gli Invasori si basavano soprattutto sulla vista, nell'attaccare la preda, ma nessuno sapeva se usassero anche l'udito. E quello non era certamente il momento di fare esperimenti. Quando Chigu ritornò accanto ai compagni, questi gli fecero segno di tacere. Gai continuò a guidare il gruppo. La nebbia si allontanò progressivamente e presto si poterono vedere le forme scure degli Invasori che si muovevano nella foschia. Ce n'era una decina, che si muoveva approssimativamente nella stessa direzione degli uomini: alcuni erano isolati, ma c'erano anche un paio di gruppetti. Alcuni passarono accanto agli uomini, ma non prestarono loro attenzione. Uno passò a meno di un passo da Gai e non si giro neppure a guardarlo. Gli uomini cominciavano a sentirsi moderatamente sicuri di se... finche non accadde. La nebbia si chiuse nuovamente su di loro. Gli uomini procedettero a tentoni e cercarono di raggrupparsi, quando si sentì all'improvviso una sorta di rantolo, che si spense immediatamente nel silenzio. “Che cosa e successo?”chiese Gai. “E cosa ne so?”commentò Dosuroku, accanto a lui. “Manca qualcuno? Dite i vostri nomi, ma non troppo forte.” Tre uomini risposero alla richiesta di Gai. Il quarto, Yiuji, non si fece sentire. Gai azzardò un grido: “ Yiuji? Ci sei, Yiuji?” Non ci fu risposta. “Attenzione, ragazzi” li avvertì Gai. “Ho l'impressione che sia successo qualcosa.” La cosa non aveva molto senso, pensò Gai, ma pareva che un Invasore avesse afferrato Yiuji, l'avesse messo fuori combattimento prima che riuscisse a fare più di un rantolo e poi se lo fosse portato via.
I soppressori impedivano che gli Invasori li vedessero. Ma Yiuji era indubbiamente sparito. Perciò, due sole possibilità. O il soppressore di Yiuji si era guastato, o il ragazzo era finito contro un Invasore, che a cosi breve distanza era riuscito a capire che cos'era. Un ottimo organismo ospite per uno della loro progenie. Si impose di pensare ad altro. “Dovete fare molta attenzione” disse ai compagni, come se non l'avessero capito da soli. “Yiuji deve avere commesso qualche imprudenza. Comunque, arriva di nuovo la nebbia. Forse possiamo trovare un nascondiglio. La nebbia, comunque, non durò per molto. Dopo qualche minuto cominciò a disperdersi e la visibilità salì a qualche decina di metri. Quando salì a una cinquantina, Gai ordinò agli uomini di allargarsi. Gli altri obbedirono e, guidati da lui, continuarono a muoversi in direzione di una grossa massa tondeggiante, posta a qualche centinaio di metri di distanza e simile, commentò Dosuroku dopo qualche istante, a una mammella bruna. Videro alcuni Invasori, ma riuscirono a tenersi a una certa distanza. Gli Invasori continuarono a ignorarli. Finche uno degli Invasori non li ignorò Il mostro si fermò a meta di un passo, girò su stesso, mosse lentamente la testa e infine fissò gli occhi su qualcosa. Si girò in quella direzione e prese a correre. Quando Chigu si guardò alla sinistra, vide un Invasore che si precipitava contro di lui... non genericamente nella sua direzione, ma proprio contro di lui. Sollevò il fucile e sparò. I proiettili colpirono l'Invasore alla spalla e quasi gli staccarono il braccio, ma la ferita riuscì soltanto a farlo infuriare ancor di più. Gli Invasori erano sempre infuriati in partenza; di li in poi, la furia distruttrice non faceva che crescergli. Senza badare al braccio che gli ciondolava al fianco, l'Invasore afferrò con la mano buona Chigu, prendendolo per la pancia. Urlando, il malcapitato cercò di puntare il fucile. L'Invasore apri le fauci e, con la bocca che esplodeva zanne, colpì Chigu sulla faccia. L'uomo si era piegato all'ultimo istante, e la bocca lo colpi nell'occhio sinistro invece che più in basso. La fila di denti arrivò fino al cervello di Chigu; quando si tirò indietro, portò con se una buona quantità di materia grigia. Poi l'Invasore lanciò Chigu e girò, di nuovo la testa. Gli altri uomini si erano fermati dov'erano, e non avevano osato muoversi mentre colpiva Chigu. Non avevano sparato per non colpire il compagno. Tuttavia, non fu necessario sparare. Almeno per il momento. L'Invasore si girò e si allontanò per ricongiungersi al gruppo che aveva lasciato. Gai ordinò ai suoi uomini di rimettersi in marcia.
Capitolo 15 - Prima parte-
Koji si chiuse nelle spalle, alzando quel poco che rimaneva del suo soprabito sgualcito. Percorreva con cautela la grotta, tenendo Jin per mano. L’umidità che arrivava dai vapori della cascata, penetrava nelle profondità dell’enorme insenatura e si faceva largo come una lama gelida sin dentro le ossa. Le ultime parole di Ryoma risuonavano ancora chiaramente nella sua testa : “So che Zeta non è andato perduto. Lo spirito che lo lega alla tua famiglia impedirà che si smarrisca. Deve…ritornare nelle mani del nipote del suo creatore…il fiume ti riporterà da lui…”. Come poteva sapere tutte quelle cose sul suo robot? Koji non riusciva a trovare una spiegazione. “Scusa se te lo chiedo,Jin” fece ad un tratto “da quanto tempo conoscevi Ryo?” Il ragazzino si voltò a guardarlo lentamente, quasi se quella domanda lo avesse ferito, e i suoi occhi si fecero tristi mentre cominciava a rispondere. “Accadde qualche mese fa, quando gli Invasori attaccarono la mia città.” La sua voce era quasi un sussurro. “Comparvero all’improvviso, manifestandosi nei corpi di coloro che avevano infettato per primi. Ricordo quelle masse di tentacoli, occhi e zanne che fuoriuscivano dalle persone, si insinuavano velocemente nei corpi di chi stava loro accanto, e ne prendevano il controllo.”
Koji si pentì di aver fatto quella domanda. Non voleva traumatizzare ulteriormente Jin,che ne doveva aver passate più di quelle che ogni bambino della sua età avrebbe potuto sopportare. “Scusami Jin.” Disse con aria preoccupata “non c’è bisogno che tu vada avanti, io non volevo…” “Non preoccuparti”. La voce del ragazzino si era fatta seria e più sicura “Non c’è problema, è importante che tu sappia” “Ok, allora” e le labbra di Koji si piegarono in un sorriso caldo e rassicurante. Quel tipo di sorriso che gli aveva insegnato Daisuke. Daisuke…Duke Fleed. Chissà dove si trovava ora, Koji si tormentava per non riuscire a darsi una risposta. Ora più che mai la terra aveva bisogno della sua forza, del suo coraggio. La terra aveva bisogno ancora una volta di Grendizer,ma… “Quando ebbero infettato quasi metà della popolazione, lanciarono il loro attacco.” Jin stava proseguendo a narrare, e distolse Koji dai suoi pensieri. “Decisero che il resto degli abitanti servivano loro come nutrimento, e cominciarono a sbranare tutti quelli che incontravano nel loro cammino. Si infilavano ovunque, non c’era un posto che fosse sicuro.”
Koji aveva affrontato mille battaglie, ma il racconto di Jin, così freddo ed impersonale per uno della sua età, riusciva a dargli brividi che non aveva mai provato. “Poi un robot nero piombo dal cielo emettendo un raggio di calore potentissimo. Schiacciava gli invasori come se fossero moscerini e disintegrava col raggio quelli che cercavano di fuggire. Ad un certo punto, molti degli invasori rimasti si unirono e formarono un mostro gigantesco che affrontò il robot.” Jin sembrava sorridere mentre raccontava quell’episodio. Gli era rimasto scolpito nella testa come se si fosse svolto pochi istanti prima. “Ovviamente il robot era il Getter, e a pilotarlo c’era Ryoma. Non so perché ma sin da molto piccolo mia madre mi raccontava sempre di questo robot e di come i suoi piloti ci avessero tante volte salvato da terribili minacce”
Koji ricordava bene la squadra Getter. Quante volte avessero combattuto insieme, chi avevano affrontato e come avessero fuggito la morte per un soffio, erano ricordi impressi indelebilmente nella sua memoria. Nella situazione attuale, la battaglia contro il Dragosauro, per quanto fosse stata sicuramente tra le più terribili e disperate, gli sembrava una cosa da poco.
C’erano tutti quella volta, e mentre ricordava quanto tempo era passato da quando tutti i piloti avevano combattuto fianco a fianco, una lacrima cominciò a scendere timidamente sulla guancia destra. Ryo, Hayato,Benkei, Duke, Boss,che non si tirava mai indietro nemmeno quando le sfide erano impossibili, e poi suo fratello adottivo. Il leggendario Tetsuya, il pilota del Grande Mazinga che aveva dato la vita perché lui sopravvivesse. Quanto gli mancavano tutti, non riusciva nemmeno a pensarci. Avrebbe dato qualunque cosa per riabbracciarli tutti, insieme a Sayaka, Jun, Michiru e Maria. Accortosi che si stava nuovamente perdendo nei suoi pensieri, tornò a prestare attenzione a Jin che continuava a narrare il suo racconto. “Non durò molto. L’invasore era immenso e molto spaventoso, ma Ryoma lo fece a pezzi in pochi istanti. Quando riuscì infine a rendere sicura la zona, scese dal robot e venne a cercarmi. Venne nella direzione di casa mia veloce e sicuro…e veniva proprio per cercare me. Non mi ha mai voluto dire come mai, ma quando seppe che la mia mamma non ce l’aveva fatta mi prese con se, con Getter, e abbiamo continuato a vagare combattendo gli Invasori, finchè non abbiamo incontrato te.”
La voce di Jin era rotta dalle lacrime ormai “Ora che anche lui mi ha lasciato, sono rimasto solo” “Non dirlo” fece Koji. “Non dire così” disse mentre la sua voce si faceva più calda. “Ryo ti ha affidato a me. Siamo sempre stati grandi amici io e Ryo, quasi più che fratelli. E vedrai che saremo ottimi amici anche noi due. Mi prenderò io cura di te.” Il volto di Jin sembrava tornato sereno, con il tipico cambio di umore che solo un fanciullo nel fiore della giovinezza può avere. A Koji , Jin ricordava tanto Shiro. Shiro che era cresciuto ed era in America durante l’attacco degli invasori. Koji sperava con tutto il cuore che almeno il suo fratellino ce l’avesse fatta. “Mi dispiace molto per la tua mamma” disse infine “Neanche il tuo papà immagino ci sia più, vero piccolo?” “Il mio papà non l’ho mai conosciuto. La mia mamma mi diceva sempre che era morto prima che io nascessi, ma che sarebbe stato un gran bravo papà.” “Non ho il minimo dubbio” disse Koji accarezzandogli la testa. “La mamma ha detto che non aveva foto da farmi vedere, ma mi ha dato questa”. Jin aprì leggermente la camicetta ed estrasse una catenina con un piccolo crocefisso dorato. “Dentro se schiacci il pulsante, c’è anche una piccola foto. La mamma mi ha detto che è la foto della nonna…ha detto che papà gliela lasciò prima di morire, e che era giusto che l’avessi io”
Koji rimase pietrificato per un attimo alla vista della catenina. Aveva capito perfettamente. Ora aveva capito chi era Jin e perché Ryoma era tornato a prendersi cura di lui. “La tua mamma aveva ragione” disse dolcemente “Il tuo papà ti avrebbe voluto molto bene, e sarebbe stato un papà eccezionale” “Lo pensi davvero?” chiese Jin con aria speranzosa “Di più, mio giovane pilota di Getter” fece Koji strizzandogli l’occhio. “Ne sono assolutamente certo”
Prologo alla prima parte del capitolo 15
Avevano seguito il corso del fiume tutto il giorno. Sul far della sera erano giunti nei pressi di una cascata, e Koji guardandosi intorno aveva notato che erano molto vicini a dove una volta sorgeva il vecchio laboratorio di ricerca per lo studio della fotopotenza. L’istituto che aveva difeso con tutte le sue forze per tanti anni. Quando anche il Dott.Yumi si era ammalato gravemente, aveva deciso di prenderne il posto e continuare le sue ricerche. Le stesse ricerche che erano state di suo padre e di suo nonno Juzo prima di lui. “Nonno” aveva pensato Koji sorridendo “ Eri proprio un vecchio pazzo visionario, ma la tua pazzia ha salvato l’umanità tante volte” “Mi manchi tanto anche tu nonno. Sappi però che tuo nipote è cresciuto. Non ho più intenzione di nascondermi. Devo farlo per tutti gli amici che hanno perso la vita in battaglia. Devo farlo per onorare papà. Nonno, ti prometto che se ritroverò Zeta, io,tuo nipote, tornerò a combattere fino alla fine con lui, per il bene della terra”. Mentre pensava quelle cose, una stella cadente si staccò dal cielo e cadde, in un lungo e sottile arco dorato. Koji seppe allora con certezza, che dal cielo il nonno lo aveva sentito, e gli stava sorridendo.
Giunti ai piedi della cascata, si era ormai fatto buio. Il pericolo di incontrare degli invasori, col buio aumentava molto, quindi Koji decise di cercare un possibile riparo per la notte. A forza di perlustrare la zona, scoprì quasi per caso che dietro la cascata, la roccia era aperta e si intravedeva quella che sembrava potesse essere una grotta. Senza esitazione, Koji prese Jin per mano e si incamminò dietro la parete d’acqua.
Capitolo 15 Parte seconda
I due nuovi compagni procedevano cautamente nella grotta, che in realtà si era rivelata ormai essere una caverna. Koji stava ripensando a quanto aveva appena visto. Allora Jin era davvero… Incredibile, non poteva ancora crederci, eppure qualcosa in fondo al cuore, gli fece capire che era stato il destino a volere che si incontrassero. Dopo anni di brutture e tristi avvenimenti, finalmente Koji sentì che questo incontro aveva cambiato qualcosa dentro di lui. Gli aveva dato un nuovo motivo per combattere. In un modo o nell’altro, aver incontrato Jin gli aveva restituito la speranza perduta.
Stava camminando con Jin al fianco, raccolto nei suoi pensieri, quando dal fondo della caverna,un raggio luminoso di colore rosso investì entrambi, prima che potessero scansarsi. Koji fece appena in tempo a coprire gli occhi del suo piccolo amico e a proteggere i suoi con la mano. Il raggio sparì velocemente così come era comparso. Non aveva lasciato nessuna traccia. Era solo luce. Jin guardò il suo nuovo amico con aria interrogativa, ma non sembrava affatto preoccupato, solo un po’ sorpreso. “Andiamo a vedere” disse Koji “questa caverna è strana. Laggiù deve esserci qualcosa”
Cominciarono a procedere velocemente,e dopo poche decine di metri, la luce che stava affievolendosi, improvvisamente sembrò farsi leggermente più forte. “Laggiù deve esserci una specie di uscita” disse Jin “Ma non può essere, siamo dentro ad una montagna”. Koji pareva perplesso “però devi avere ragione tu, guarda”. Davanti a loro la galleria nella caverna terminava, aprendosi in uno spazio chiuso molto vasto. Era sicuramente una grotta molto ampia che si apriva nelle viscere della montagna, accogliendo un po’ di luce proveniente da qualche fessura verso l’alto. Koji non potè fare a meno di notare che all’imboccatura della grotta c’erano degli enormi cardini, e coperta dalla polvere e dalla vegetazione vi era anche un cartello. Dove diamine fossero capitati, era una domanda alla quale per il momento non sapeva rispondere. Avvicinatosi al cartello, Koji lo pulì come potè con la manica della giacca. La piastra di metallo tornò a splendere, grazie alla luce che finalmente dopo lungo tempo vi si rifletteva. La scritta incisa recava le parole “Hangar di sicurezza”.
Era l’accesso ad un hangar! Koji cominciò a scorrere tutte le possibilità che gli venivano in mente. Chi avrebbe mai potuto mettere un hangar nelle viscere di una montagna e soprattutto dietro una cascata? Bhe, effettivamente anche L’istituto del professor Umon aveva un uscita posizionata dietro ad una cascata,ma non era proprio la stessa cosa. Koji spinto dalla curiosità, prese Jin per mano ed entrò. L’aria che si respirava era stantia e pesante. Se la luce in qualche modo riusciva flebilmente a farsi largo tra le rocce, sicuramente non c’era un sistema di aerazione funzionante ormai da tantissimo tempo. La spessa porta di acciaio giaceva ai piedi dell’entrata, ricoperta ormai di detriti e polvere che la nascondevano quasi alla vista. Strutture di metallo consunto, si stagliavano ai lati di Koji e Jin, lasciando intravedere apparecchiature simili a quelle dell’Istituto di ricerca. Mentre si guardavano intorno con molta circospezione, nuovamente il rosso raggio balenò nel buio nella loro direzione, mostrando per un attimo, in lontananza, una figura enorme che torreggiava all’interno dell’hangar. “Ma cosa diavolo…” sibilò Koji, mentre procedeva a passo più spedito in quella direzione. Man mano che la distanza diminuiva, l’enorme figura appariva nel buio sempre più delineata nelle forme e nei contorni. Sembrava una statua di pietra, alta più o meno come Mazinger Z, ma l’assenza di luminosità impediva di identificarla meglio da quella distanza. La luce rossa balenò nuovamente, e finalmente Koji si accorse che ad emetterla era un segnale lampeggiante, molto simile all’impianto anti intrusione del suo laboratorio, solo che non emetteva il tipico allarme sonoro che accompagnava l’emissione luminosa. Probabilmente nel penetrare all’interno dell’hangar, Koji e Jin avevano fatto scattare un vecchio e desueto sistema di allarme silenzioso che inviava il segnale altrove, oppure semplicemente la sirena non funzionava più. “Poco importa” pensò Koji “Tanto qui dentro non mette piede più nessuno da secoli”
Continuarono ad avanzare nel lungo androne fino a che non giunsero ai piedi dell’enorme statua. A guardarla meglio, da vicino, non sembrava affatto una struttura in pietra. Era un ammasso di tronchi rampicanti, terra, detriti e muschio che ricoprivano ormai da tempo quello che poteva essere benissimo il prototipo di un robot mai completato e lasciato ad ammuffire nel sottosuolo in un laboratorio abbandonato. “Non si riesce a vedere bene!” disse con stizza Koji. “Forse questa ferraglia potrebbe esserci utile in qualche modo, e se avesse un sistema propulsivo completo e non danneggiato, potrei anche riuscire a ripararla”. Jin lo guardava con aria ammirata. Sentiva una strana attrazione per i robot guerrieri, che non riusciva esattamente a spiegare. La permanenza con Ryoma lo aveva portato ad affezionarsi all’idea di salire su un Getter, ma probabilmente c’era qualcosa di diverso, di più forte. Qualcosa che il bambino ancora non riusciva a capire fino in fondo. “Koji, io ho una piccola torcia con me” disse infine. Il viso di Koji si fece raggiante “Davvero? Ma sei pieno di risorse, mio piccolo eroe. Passamela dai, cerchiamo di puntarla in alto per vedere meglio” Jin cominciò a cercare al fianco la torcia che si portava dietro prudentemente sin da quando era molto piccolo. La mamma gliel’aveva data affinché non avesse mai dovuto avere paura del buio. La possibilità di aver ritrovato un vecchio robot in disuso lo aveva eccitato moltissimo, quindi la trovò e la fece scivolare nelle mani di Koji. “Ora, puntiamola verso l’alto, dove si trova la testa” fece il giovane Kabuto “Sempre che ce l’abbia una testa, questo coso” La flebile luce si fece largo timidamente nell’oscurità, scorrendo velocemente sul corpo del gigante nell’ombra. Quando il fascio luminoso raggiunse la testa, la scena che si presentò a Koji aveva dell’incredibile. Con il corpo ricoperto di detriti e rampicanti, quella che si stagliava davanti a lui era la testa del primo robot invincibile che fosse mai stato costruito. Lui e Jin, avevano appena ritrovato il robot costruito da suo nonno, il suo robot. Koji aveva ritrovato Mazinger Z.
Capitolo 15 Terza parte.
Mazinger Z. Sembrava incredibile ma si trattava proprio del vecchio robot lasciato in eredità da Juzo a suo nipote affinché ne decidesse il destino. Trasformarlo in un dio a difesa dell’umanità, oppure in un demone. Dopo aver difeso il giappone così a lungo per tanti anni, Mazinger Z era semplicemente scomparso dalla vita di Koji dieci anni prima, quando lui, ferito nell’anima per la perdita di quanto aveva di più caro, si era allontanato dall’Istituto di Ricerca e da tutto quello che lo riguardava. Aveva abbandonato il suo compito. Aveva scelto l’esilio. Ora però Koji aveva scelto di ritornare, e con lui era tornato anche Mazinger Z. Il destino aveva voluto riunirli per un ultima grande battaglia.
Resosi conto dello stupore sulla faccia di Jin, Kabuto lo strinse a se, mentre indicava solennemente verso il volto di Zeta. “Lo vedi questo robot magnifico?” fece Koji, con aria sognante. “Veramente a me sembra un vecchio rottame, è pure tutto incrostato!” “Vecchio rott..? Come osi!” qualcosa si era rotto dentro Koji in quel momento, ma si sforzò di abbozzare e sorridere “Nononono! Caro mio! Questo non è affatto quello che pensi tu! Sotto questi centimetri di detriti e sporcizia si nasconde il primo robot invincibile della storia del Giappone: Mazinger! “La mamma mi diceva sempre che il protettore del Giappone era Getter,che poteva volare, andare sottoterra e in fondo al mare. Questo coso sembra reggersi a malapena in piedi!” La faccia di Koji era diventata paonazza “ Arrogante saputello dei miei…grrr!!! Ma come!”sbottò “come è possibile che nessuno ti abbia mai parlato del mitico robot guerriero protettore dell’umanità! Mazinger!!! Ma non la vedevi la televisione tu???” “Aspetta un po’…” la faccia di Jin era contorta in una smorfia di riflessione “ Mazinger….Mazinger…effettivamente la mamma mi aveva parlato anche di un altro potentissimo robot che combatteva per il bene del Giappone…” “Hahahaha! Vedi?” la risata di Koji aveva trasformato il suo volto in una maschera tronfia di sadica soddisfazione “Ero certo che non potevi non conoscerlo…” “Si…ora ricordo! Il Grande Mazinger! Il robot leggendario” “Grrrrr…Dannato moccioso, sei più pestifero di Shiro! Mi prendi in giro eh?…ma io ti stroz…” la rabbia di Koji era incontenibile, ma Jin era già schizzato dietro un impalcatura e abbassando una palpebra gli stava mostrando la lingua. “Va bene, moccioso. Fai il furbo eh?Sei fortunato che ora non ho tempo ora per queste cose. Ne riparliamo quando avrò rimesso in funzione questa meraviglia!” Jin non riusciva a trattenere una risata tra i denti “Fai con calma eh? Non ti sforzare…!” “Grrrr!” Koji non poteva sopportare chi mancava di rispetto a Mazinger Z, ma ormai si era affezionato al ragazzino, e soprattutto, visto che ormai si era issato già a qualche metro da terra sui rampicanti, considerò che fosse meglio non distrarsi. “Koji stai attento! Quei rametti non mi sembrano molto solidi” “Zitto moccioso! E’ inutile che adesso fai finta di preoccuparti per me. Questa non te la perdono!” “Iiiiihhhh …ma come siamo permalosi oggi!”
“Vecchio rottame, pfui!” Koji rifletteva tra se e se “Mazinger Z ha difeso l’umanità quando non c’era nessun altro. Ha combattuto ininterrottamente prima contro le armate di mostri meccanici del Dott.Hell ed è tornato in azione quando il Grande Mazinger era in difficoltà contro il popolo di Micene. Non ci siamo mai tirati indietro da una battaglia io e Zeta, anche quando sapevamo di non potercela fare. E oggi i giovani guarda come lo ripagano. Vecchio rottame! Vecchio rottame, lo chiamano! Questo gioiello della tecnologia della famiglia Kabuto. Ma non preoccuparti Mazinger. Oggi io ti farò rinascere a nuova vita. E non ti abbandonerò più, mai più. Lo giuro!”
Koji era arrivato quasi in cima, reggendosi saldamente con le mani e tenendo la torcia in bocca per illuminare meglio gli appigli davanti a se. Non era proprio il massimo dell’eleganza ma non era certo il caso di andare per il sottile in un momento come quello. C’era qualcosa nella testa di Mazinger Z che lasciava Koji un po’ perplesso, anche se non riusciva a capire bene cosa, da quella posizione. Una passerella sporgeva dall’impalcatura alla destra del robot, fino a giungere quasi sotto al mento di Zeta. Koji con un balzo vi si aggrappò, rischiando più volte di scivolare. Sentiva la vita tornare a scorrergli nelle vene, mentre si avvicinava il momento in cui sarebbe risalito sul suo Pilder. Strinse forte i denti, diede un ultimo colpo di reni e si issò sulla passerella.
Da li poteva finalmente distinguere con chiarezza la testa del suo robot. Effettivamente c’era qualcosa che non quadrava. Il Jet Pilder era stato sostituito con il vecchio modello, l’Hoover Pilder, ma soprattutto la colorazione non era rossa bensì bianca. Probabilmente chi lo aveva riparato aveva trovato solo una replica dell’Hoover e doveva aver utilizzato quella, senza avere il tempo di riverniciarla. Poco male, bastava che funzionasse, pensò Koji. Accarezzò il freddo metallo, riempiendosi di polvere le mani ma a lui non importava. Voleva rivedere gli occhi di Zeta, così si accinse a pulire un po’ quello dalla sua parte con la manica. Lentamente, man mano che le incrostazioni di sporco venivano via, Koji si accorse di un altro dettaglio che non quadrava. Il contorno dell’occhio era verniciato di rosso. “Dannazione! Ma come vi permettete!” sbottò, senza rendersi conto che parlava da solo “Chi vi ha dato il permesso di riverniciare il mio Zeta? Era bellissimo come era prima!” Poi un ricordo gli balenò alla memoria, divenendo vivido come non mai. Nei sotterranei della casa del nonno, dove aveva trovato Mazinger Z la prima volta, aveva rinvenuto anche i progetti di Juzo, che aveva poi consegnato al dott.Yumi affinché potesse studiarli. Tra quelle carte vi erano anche dei bozzetti preparatori della struttura di Mazinger molto vecchi,quasi consunti, ed effettivamente ora si ricordava che il Pilder vi era indicato come bianco e gli occhi erano evidenziati in rosso. “Ma che diavolo..?” pensò “Come può essere una cosa simile?” Forse chi aveva trovato il Mazinger Z doveva essere un tecnico dell’Istituto di ricerca a conoscenza di quei disegni, e nel ripararlo un ultima volta aveva voluto dargli l’aspetto originale voluto da Juzo. Massì, doveva essere andata così, non che in fondo importasse poi molto. Quello che importava è che Mazinger Zeta fosse tornato da lui, e soprattutto, che fosse funzionante. O almeno c’era da sperarci.
“Koji, tutto bene?” “Si, sono arrivato fino in cima. Mettiti al riparo per un pò Jin. Non vorrei che se riuscissi a riattivarlo, Mazinger facesse qualche movimento inconsulto oppure qualche detrito si stacchi e qualcosa ti cada addosso.” “Va bene, vado a mettermi laggiù” “Ok, bravo. Faccio il prima che posso, ma forse ne avrò per un po’. Dipende da come è ridotto Mazinger.” Jin stava per dire qualcosa di poco carino nei confronti del robot di Koji, ma pensò che per quella volta fosse meglio tacere. Così si andò a rintanare al riparo da possibili effetti collaterali della riattivazione del robot, si mise buono e attese.
Koji aprì facilmente la cupola dell’ Hoover Pilder e con un balzo saltò all’interno. Si guardò intorno, felice come non mai di essere nuovamente a bordo del suo robot. Quanto tempo era passato. A prima vista sembrava tutto in ordine, addirittura una spia del monitor era accesa. Ottimo segno.Questo voleva dire che il sistema di alimentazione era ancora funzionante. Koji in preda all’eccitazione fece scivolare le sue dita sul monitor e lo attivò. I sistemi interni del Pilder sfrigolarono un attimo e poi si attivarono di colpo compreso il monitor, che si accese immediatamente. Una scritta rossa lampeggiava sullo schermo lucido: “Allarme intruso-Allarme intruso”. “Nessun intruso Mazinger!” sorrise Kabuto “Sono io, Koji, non mi riconosci? E se ti riferisci a quell’altro piccoletto laggiù, sappi che il moccioso è dei nostri. E’ il figlio di un caro amico, e per un po’ dovremo anche fargli un po’di posto qui dentro, hai capito?”
Jin si era messo al riparo ed attendeva con pazienza guardando fisso nella direzione del robot e di Koji. Forse finalmente dopo tanto tempo, la fortuna aveva cominciato a girare dalla loro parte e il ritrovamento di Mazinger poteva essere davvero una benedizione. Forse Koji si sarebbe davvero preso cura di lui come aveva promesso. Mentre era assorto nei suoi pensieri, gli sembrò di notare un debole movimento sulla superficie del robot. Doveva avere avuto un allucinazione. Per un attimo gli era sembrato che da un grosso rampicante fosse spuntato addirittura un occhio…che sciocchezza. Le piante non hanno occhi. Poi d’improvviso comprese. Il portone dell’hangar era sfondato, e c’era troppa poca luce perché così tante piante potessero crescere la sotto. Ecco cos’era l’allarme!Gli Invasori erano arrivati prima di loro e li stavano aspettando. Corse fuori urlando a perdifiato, ma Koji aveva appena attivato Mazinger e in uno spazio così chiuso il rimbombo era assordante. Koji non poteva sentirlo. Erano caduti in trappola come degli sciocchi! Mazinger Zeta mosse un passo in avanti e non appena il piede toccò terra, i rampicanti intorno al suo corpo presero vita ed esplosero all’unisono avviluppandolo. Una massa di tentacoli, occhi, zanne e artigli aveva avviluppato tutto il robot e intrappolato Koji dentro la cabina di pilotaggio. Jin si accasciò al suolo,incredulo per l’orrore, e tremante di paura.
Capitolo 15 Quarta parte.
“Idiota!” la rabbia di Koji era incontenibile “ Sono un dannato idiota!”. Si era fatto giocare come un pivello, e questo lo rendeva furioso. Quasi furioso quanto sapere Jin in pericolo la fuori minacciato dagli invasori. “Ma cosa diavolo ci fanno gli Invasori qui dentro? Che piano avevano? Speravano di attendermi in eterno casomai avessi ritrovato Mazinger? Maledetti bastardi!” Gli alieni avevano ricoperto completamente il robot e anche il Pilder era avviluppato. Koji non poteva nemmeno tentare di sganciarsi e perdipiù non vedeva assolutamente nulla. “Dannazione, devo stare attento a come mi muovo per liberarmi, usare un’arma di Mazinger in uno spazio così ristretto causerebbe solo danni, soprattutto con Jin la fuori” Kabuto afferrò i comandi e provò a muovere le braccia del robot. Mazinger rispose prontamente ai suoi comandi, come se la lunga inattività non avesse intaccato minimamente le sue funzioni. Provò quindi a strapparsi di dosso gli invasori, almeno nella zona della testa, in modo da riguadagnare la visuale, ma per quanta ne strappasse, immediatamente la massa di occhi, artigli e tentacoli si riformava. Gli invasori si erano posizionati tipo guaina intorno a Zeta, e non c’ era modo di rimuoverli in quel modo. “Devo provare ad utilizzare un’arma. E’ l’unica possibilità. Proverò con il raggio termico diminuendone la potenza, altrimenti rischio di bruciare tutto l’ossigeno dentro l’hangar e uccidere Jin” Regolò l'intensità del raggio termico, indirizzando la leva verso la minima potenza di emissione, fece un profondo respiro e si preparò a utilizzare l’arma. Mazinger Z stava per tornare a combattere dopo tanti anni. “Speriamo che funzioni…Breast Fire! Via!”
Jin dall’esterno aveva assistito terrorizzato alla scena. Mazinger Z stava cercando di liberarsi, ma gli invasori non sembravano intenzionati a mollare la presa, anzi. Man mano che i secondi passavano, la loro morsa sembrava stringersi in maniera sempre più inesorabile. Koji era intrappolato, e se qualche invasore si fosse accorto di lui ora che non c’era più nessuno a proteggerlo, sarebbe stato ucciso in pochi istanti. Poi sentì in alto Koji gridare qualcosa. All’altezza del petto del robot, gli invasori divennero incandescenti ed emisero un urlo raggelante, come un sibilo enorme e prolungato. Un istante dopo esplosero con una violenza inaudita, mentre dal petto di Zeta, un’onda di energia dalla potenza terrificante li disintegrava bruciandoli come se fossero carta. L’onda di energia finì dall’altra parte dell’hangar contro la parete, fondendola come burro. Metri dopo metri, l’onda termica continuava inarrestabile a scavare nella parete mentre Koji sembrava non essere riuscito a controllare il corpo del robot dopo il colpo ed era finito schiacciato contro il muro alle sue spalle. La struttura della caverna cominciò a tremare sotto la terribile potenza del Breast Fire che ne stava intaccando i punti portanti, e il soffitto cominciò a dare segni di cedimento.
“Dannazione ma che succede?” Koji appariva incredulo. “Ho regolato l’ emissione al minimo! Da dove arriva tutta questa potenza? Fermati Mazinger!” Riuscì finalmente a raggiungere il pulsante di arresto del Breast Fire e le placche pettorali si spensero interrompendo l’emissione. “Anche se mi fossi sbagliato, Zeta non avrebbe mai potuto raggiungere una potenza simile. Era più potente persino del Breast Burn. Chi può averlo potenziato in questa maniera?” Poi, realizzando la gravità della situazione, rimise in piedi il robot che si era accasciato contro la parete e cercò Jin con lo sguardo. Lo vide a terra, mentre tossiva a causa dell’aria bollente e dei detriti che cadevano dal soffitto. La situazione stava precipitando . Se non lo avesse portato fuori di li, Jin sarebbe morto nel giro di pochi minuti con i polmoni bruciati.
Tentacoli neri saettarono nuovamente verso l’alto, all’improvviso, intrappolando nuovamente il robot. Gli Invasori erano stati feriti e si erano temporaneamente ritirati, ma non si erano arresi. Strinsero Mazinger in una presa mortale e su Koji calò nuovamente il buio. “Che state facendo…cosa avete intenzione di fare maledetti! Non vi permetterò di prendervi Mazinger!” Provò ad avanzare ma le gambe del robot erano bloccate saldamente dal nemico, e Mazinger cadde in ginocchio. “Accidenti! Sono bloccato!”
Gli invasori intanto, avevano trovato le insenature tra le giunture del robot e si stavano facendo largo all’interno. Una volta raggiunta la sorgente di alimentazione, avrebbero assimilato Mazinger e lo avrebbero reso un automa della loro armata. L’assimilazione era uno dei codici principali di sopravvivenza degli invasori, che gli aveva permesso di dilagare così velocemente. A Koji rimaneva poco tempo, e lui e Jin e probabilmente il resto dell’umanità, sarebbero stati definitivamente spacciati.
Jin respirava a fatica, con la manica davanti al volto per evitare il contatto diretto dei polmoni con l’aria bollente. Non sapeva cosa fare, mentre assisteva impotente agli invasori che prendevano il sopravvento su Koji. Era colpa sua. Il suo amico avrebbe potuto liberarsi facilmente da quella trappola, ma non poteva utilizzare le armi senza il rischio di ucciderlo. Aveva messo Koji in una situazione terribile,e la cosa più grave è che non aveva minimamente idea di come avrebbe potuto aiutarlo. Gli invasori possedevano inimmaginabili capacità mutaforma che li rendevano micidiali e quasi impossibili da distruggere, soprattutto da quando erano riapparsi tre anni prima. La loro capacità più spaventosa ed inquietante però, consisteva nel poter infettare le altre creature viventi e anche i costrutti meccanici: il contatto prolungato, l'essere feriti, persino entrare in contatto col sangue degli Invasori era sufficente per innescare il processo, che era istantaneo ed irreversibile. Ciò che veniva infettato dagli Invasori diveniva a tutti gli effetti identico a loro e quindi si trasformava in un nemico. Mazinger Z e Koji erano in estremo pericolo.
Jin vide Mazinger avere un sussulto, mentre si contorceva come in preda a spasmi di dolore. Stava succedendo qualcosa di orribile. Il robot stava cominciando a mutare forma, e mentre le sue corna aumentavano in lunghezza, dalle dita spuntavano terribili artigli neri e tutto il corpo stava acquisendo una forma demoniaca mentre le dimensioni aumentavano. Gli invasori stavano prendendo il sopravvento, e stavano avverando a loro piacimento la profezia del nonno di Koji. Mazinger Zeta si sarebbe trasformato in un demone pronto a distruggere l’umanità.
Koji stava conducendo una lotta disperata. Aveva perso il controllo dei comandi di Zeta, che ormai non gli rispondeva più, e così intrappolato anche l’aria stava terminando dentro l’abitacolo del pilder. Provò ad azionare la valvola dell’ossigeno ma non sembrava funzionare. Il suo robot, l’eredità della sua famiglia era caduto sotto il controllo degli Invasori. Le forze lo abbandonavano, man mano che il respiro si faceva più affannoso. “Ti prego Mazinger! Reagisci, non lasciare che abbiano la meglio su di noi!” disse Koji mentre strattonava furiosamente la cloche in un ultimo tentativo disperato. “Pilder off!” provò come tentativo estremo. Ma il pilder non si mosse. Intorno a lui, il suo robot si piegava in preda agli spasmi, vittima del processo di assimilazione degli Invasori “Nonno, perdonami!” riuscì a dire, prima che le forze lo abbandonassero e si ritrovasse svenuto a faccia in giù sui comandi.
Jin osservò terrorizzato l’enorme demone che una volta era stato Mazinger Zeta. Era l’incarnazione stessa del demonio, così come glielo aveva raccontato la sua mamma quando lui le chiedeva della differenza tra bene e male. Un’immenso demone di artigli, zanne e con ali spaventose da pipistrello. Koji e Mazinger non c’erano più. Al loro posto si stagliava il demone che avrebbe distrutto definitivamente la razza umana. Il demonio si alzò in piedi e dispiegò le enormi ali, emettendo un grido lancinante. Jin si accasciò tappandosi le orecchie per il dolore. Quando tornò a guardare, quell’essere spaventoso lo stava fissando.
Capitolo 16 Prima parte
Il panico si impossessò di Jin. Era come se cento coltelli si fossero piantati nelle sue carni e lo avessero immobilizzato. Mazinger Z era diventato un demone sotto i suoi occhi, divenuto preda dell’assimilazione da parte degli invasori. Ora per il Giappone non c’era veramente più scampo, e forse non rimaneva speranza nemmeno per il resto dell’umanità. Mazinger Z e Koji, gli ultimi baluardi di speranza che erano rimasti agli uomini, facevano parte dell’armata aliena. Nemmeno la speranza rimaneva ormai. Il Devil Z lo stava fissando con quegli occhi profondi e neri come una voragine infernale. La sua bocca si aprì in un ghigno terrificante, rivelando due file di zanne spaventose mentre dalla bocca emergevano miasmi e vapori incandescenti. Il demone si accorse definitivamente della presenza di Jin, emise un urlo carico di perverso piacere e si mosse verso di lui. Il ragazzino si voltò per fuggire, ma inciampò e finì per annaspare a terra carponi, mentre il pavimento dietro di lui si stava sollevando, catapultandolo in avanti con il volto nella terra. In preda al panico più profondo si voltò a guardare, mentre un enorme avambraccio meccanico, privo di alcuna colorazione sulla corazza metallica, stava emergendo dal terreno. La terra continuava ad alzarsi come in preda ad un improvvisa eruzione vulcanica,quando l’avambracciò si staccò dal terreno per volare come se fosse un razzo contro il Devil Z. Questi non sembrò per nulla preoccupato e veloce come un ombra scartò di lato per evitare il colpo. Le sue caviglie però erano bloccate, due possenti mani meccaniche, con una presa forte come l’acciaio, erano emerse sotto di lui per impedirgli la fuga. “Proto-Mazinger?” pensò Jin, mentre il pugno a razzo investiva in pieno petto il suo bersaglio, facendolo schiantare al suolo. Mentre cercava di scrutare meglio per rendersi conto di cosa stesse succedendo, una enorme voragine si aprì sotto i suoi piedi. Jin si gettò di lato cercando un appiglio con tutte le sue forze, ma non ne trovò e venne risucchiato nel buio delle profondità sconosciute dell’hangar.
“Vieni avanti Koji, appoggia i libri in cucina e poi vieni a salutare il tuo vecchio nonno, voglio presentarti una persona”. “Eccomi nonno, arrivo subito!” fece Koji, mentre teneva faticosamente in equilibrio i suoi libri scolastici e le borse della spesa che aveva portato per il vecchio Juzo. “Shiro è già arrivato da scuola?...oh, scusate…” Seduti ad un tavolo dove torreggiava un enorme mucchio di fogli con disegni e scritte incomprensibili, c’erano il nonno e un’uomo sulla cinquantina, non molto alto e un po’ robusto. Il suo sguardo comunicava una grande energia e a suo modo una certa autorevolezza, che colpirono subito Koji. “Vieni, vieni ragazzo, voglio presentarti un mio vecchio e caro allievo. Veramente oggi è un grande ricercatore ed insegna all’università di Shinjuku, sono io che sto diventando un vecchio rudere!” fece Juzo con un sorriso sereno sulle labbra. “La prego professore, non mi metta in imbarazzo davanti a suo nipote. Se non fosse stato per lei oggi probabilmente avrei intrapreso un’altra strada, in fondo sono sempre stato una gran testa calda.” disse ridendo l’ospite. “Oh, ma sono un gran maleducato, non mi sono ancora presentato! E’ un piacere conoscerti Koji, tuo nonno mi ha parlato molto di te. Io e tuo padre abbiamo studiato molto tempo insieme in gioventù, sappi che mi è dispiaciuto terribilmente per la sua scomparsa. Il mio nome è Saotome”
“Il Dottor Saotome!” fece Koji mentre si inchinava in segno di rispetto. “Mi ricordo di lei, mio padre e mio nonno l’hanno sempre descritta come un brillante scienziato. La ringrazio di essere venuto al funerale di mio padre, ricordo di averla vista nelle foto.” “Oh, dovere ragazzo. Io sono sempre stato uno zuccone, e tuo padre mi ha aiutato molto in gioventù a mettermi sui libri. E adesso che ti guardo bene devo dire che gli somigli veramente tanto” “Bhe, si, ma solo nell’aspetto” fece Koji “ A differenza di papà io sono piuttosto allergico ai libri” e tutti scoppiarono in una grande risata. “Quanti anni hai Koji? Quindici…sedici?” “Veramente solo quattordici, anche se effettivamente farò gli anni tra pochi mesi” “Bene,bene” fece Saotome con aria sognante “hai la stessa età della mia Michiru. Due anni in meno di Tatsuhito. Da come ti descrive tuo nonno, andresti sicuramente d’accordo con mia figlia, visto che siete due teste calde come lo ero io..” “Ma nonno!” sbottò Koji ridendo “ma che figure mi fai fare col professore! E poi parlate piano di queste cose, non si sa mai che quella vipera sia qui in giro…sarebbe molto pericoloso” “Vipera?” chiese perplesso il dottor Saotome? Juzo scoppiò in una risata “Sta parlando di Sayaka, la figlia di Yumi ricordi?” “Caspita, certo che lo ricordo, ma vi conoscete Koji?” “Certamente” lo anticipò Juzo “sono molto innamorati, anche se non lo vogliono ammettere” “Nonno!” la faccia del giovane era diventata paonazza “io non sono affatto innamorato di quella là, è solo una piccola smorfiosetta!” e si girò di scatto con fare offeso.
Dopo che Koji si fu calmato e tutti ebbero avuto modo di rilassarsi,davanti ad una bella tazza di tè fumante, Saotome e Juzo tornarono alle loro attività,mentre Koji ascoltava distrattamente, indaffarato nelle sue cose.
“Si ricorda, professore di quello che le ho scritto sugli approfondimenti riguardo agli studi sulla fotopotenza che lei mi ha mandato? Bene, ho delle novità interessanti per lei” “Ottimo amico mio, spiegami con calma…abbiamo tutto il tempo che serve. Un vecchio come me non ha poi molte cose da fare al giorno d’oggi” fece il Dott.Kabuto “Suvvia professore, non scherzi sempre!” disse Saotome mentre si grattava la testa imbarazzato. “Comunque, ecco qua quello che in sintesi ho scoperto…La fotopotenza deriva dalla luce, che è l'agente fisico che rende visibili gli oggetti. Il termine luce normalmente si riferisce alla porzione dello spettro elettromagnetico visibile all'occhio umano, ma può includere altre forme della radiazione elettromagnetica.Le tre grandezze base di tutte le radiazioni elettromagnetiche sono l’ampiezza, la frequenza e l’angolo di vibrazione. A causa della dualità onda-particella, la fotopotenza mostra simultaneamente proprietà che appartengono sia alle onde che alle particelle...”
Saotome era completamente preso dalla sua spiegazione mentre Koji pensava che fossero solo un mucchio inutile di sciocchezze, capaci solo di emozionare due vecchi barbogi come lui e suo nonno. Saotome però sembrava come posseduto, e continuava a spiegare senza sosta “Per risolvere alcuni problemi sulla trattazione dell’emissione di energia, ricordo benissimo quando lei professor Kabuto, teorizzò che lo scambio di energia fra il campo elettromagnetico e la materia potesse avvenire solo tramite pacchetti di energia , i quanti, chiamati fotoni. I successivi studi nei nostri laboratori sull'effetto fotoelettrico mostrarono che questo non era solo un artificio matematico ma che i fotoni sono oggetti reali. “Almeno a te le mie scoperte interessano!” fece con un fare ironico il vecchio Juzo. “Probabilmente mio nipote in questo momento sta pensando che siamo due insopportabili tromboni” Koji per un attimo non cadde dalla sedia “Ma no nonno! Ma cosa vai mai a pensare, non gli dia retta dott.Saotome!” mentre le mani del ragazzo si agitavano freneticamente a negare quanto detto dal nonno “Io non ci capisco molto ma sono sicuro che state parlando di cose interessantissime.” I due professori scoppiarono in una fragorosa risata e si rimisero al lavoro.
“Come le accennavo per telefono, professor Juzo, io ho individuato una quarta grandezza di base, nascosta nelle pieghe della fotopotenza. In realtà non è proprio una quarta grandezza, quanto un elemento che permea tutte le dimensioni conosciute dell’energia. Ho condotto studi approfonditi, a partire dalla fotosintesi delle piante, fino a giungere alla conclusione che questa dimensione energetica sia altamente coinvolta con la genesi della vita sulla terra. Se riuscissi a creare un reattore in grado di scindere e generare quest’energia secondo le nostre necessità, potremmo rivoluzionare l’intero mondo scientifico. Fino ad oggi sono riuscito a creare solo piccoli accumulatori dalla scarsissima durata. Come lei sa, il mio sogno è sempre stato quello di creare un robot per l’esplorazione e la conquista dello spazio. Vorrei chiamarlo con il nome dato a questa fonte energetica sconosciuta. Si, credo proprio che lo chiamerò Getter."
“Getter, si, me ne avevi parlato. Ancora quella tua folle idea di costruire un robot, amico mio? Nonono, non ti scaldare, sto solo scherzando. Penso che sia un’idea fantastica e che le tue scoperte siano innanzitutto fantastiche. Dimmi quindi, cosa vorresti che facessi esattamente per te?” “Vede Professor Kabuto” Saotome era sempre più eccitato. “Io sono estremamente impegnato nella ricerca al fine di creare e contenere l’energia Getter. Nel frattempo, desidererei che lei studiasse possibili modi di integrarla e fonderla ai suoi studi sulla propulsione basata sulla fotopotenza. Se lei riuscirà prima di me ad utilizzare l’energia Getter, liberandone l’energia insita tra i flussi della fotopotenza, potremmo creare la forma di energia più potente che sia mai stata creata su questo pianeta. Solo che c’è un problema…” “Quale problema?” fece Juzo “L’energia Getter è inspiegabilmente instabile. E’ alla base dei processi evolutivi. Ogni creatura vivente che ho esposto ai suoi raggi ha cominciato ad evolversi, sviluppando caratteristiche adattive all’ambiente migliori delle precedenti. Tranne una. “Cosa stai cercando di dirmi, amico mio? L’espressione sul volto di Juzo era diventata seria e leggermente preoccupata. “Lo vede questo verme?” Saotome aveva estratto un contenitore da laboratorio, dove all’interno giaceca una specie di lombrico di circa una trentina di centimetri “L’ho esposto ai raggi getter questa mattina prima di partire. Solo che questa mattina era un essere unicellulare morto, estratto dai frammenti lunari che ci sono stati fatti pervenire dagli stati uniti” “Tutto ciò è stupefacente! Sembra incredibile, amico mio! “Aspetti professore, la brutta notizia è che questo essere sembra aver assimilato completamente i raggi getter. Sembra un comune lombrico, ma in realtà è essenzialmente un involucro per l’energia getter. Il problema è questo essere non segue il meccanismo evolutivo dei raggi getter come tutti gli altri…” “Che intendi dire?” Juzo era sempre più curioso. “Intendo dire che questo minuscolo essere ha piegato l’energia Getter alla sua volontà. Invece che la strada dell’evoluzione, si è trasformato in un agente infettivo basato sull’assimilazione degli esseri viventi e anche dei metalli. Praticamente si nutre di tutto ed è in grado di infettare qualunque cosa. Se lo mettessi nel motore della sua auto, probabilmente domattina ne avrebbe preso il controllo e se ne andrebbe a spasso per la città” “Accidenti, ma questa è una scoperta terribile!” “Per questo vorrei che lei mi aiutasse negli studi. Perché vorrei essere sicuro che l’energia Getter sia totalmente controllabile, prima di utilizzarla” “Hai già parlato a qualcuno della tua scoperta?” fece Juzo preoccupato. “Purtroppo ho dovuto aggiornare gli americani, in parte sono loro che hanno finanziato le mie ricerche..” “E cosa gli hai detto?” “Solo il minimo indispensabile, solo che hanno voluto un campione di questo essere. Non ho potuto evitarlo, anche se non gli ho fornito informazioni dettagliate sull’energia Getter Negativa…” Il volto di Juzo si contrasse per un attimo in una smorfia di dolore, poì parlò :” D’accordo, ti aiuterò in questa ricerca. Speriamo solo che i laboratori americani abbiano degli scienziati meno interessati di noi a questo argomento…”
Capitolo 16 Parte Seconda
“Adesso basta! Koshiryoku Beam!”. Due onde di luce esplosero dagli occhi di Mazinger Z, mentre Koji sembrava in preda ad un raptus omicida. “Non mi importa in quanti cercherete di sconfiggermi! Fatevi pure avanti maledetti. Io e Mazinger Z vi distruggeremo tutti!” Cinque robot caddero al suolo, i corpi assemblati come fossero un ammasso di pezzi di ricambio, completamente tranciati in due dalle armi del robot di Koji. Il giovane Kabuto non riusciva ancora a capire dove si trovasse, in mezzo ad una città sconosciuta dove la morte sembrava aver mietuto il suo raccolto tra gli umani, ormai da molto tempo. Erano ore ormai che Koji combatteva, ma la battaglia sembrava non avere mai fine. Orde di robot, assemblati con pezzi che sembravano ricambi dei vari modelli di Getter e dei Mazinger, dominavano la città scontrandosi in continuazione in duelli mortali, al fine di smembrarsi e sottrarre ai vinti i pezzi migliori. Aveva abbattuto decine e decine di nemici, ma per quanto combattesse, quelle assurde repliche del Dragon, del Ryger, del suo stesso Mazinger Z sembravano non finire mai. Il mondo sembrava popolato solo di robot, attanagliato in una guerra senza fine. Una battaglia assurda, che Koji però non aveva nessuna voglia di perdere. “Aargh!” un attacco inaspettato proveniente da un fianco aveva colpito Zeta, mentre Koji era distratto. Un Getter Beam proveniente da qualcosa che un tempo avrebbe dovuto somigliare ad un Dragon, crecava di fare breccia nella superlega del suo robot. La testa era quella del Getter Dragon, mentre il tronco era identico a quello di Zeta. Si muoveva sui cingoli tipici di Getter Three e possedeva un braccio al quale era attaccato un pugno atomico del Grande Mazinger. “Ancora non avete imparato la lezione, bastardi? Nessuno può sconfiggere Mazinger Z! Nessuno!... La pagherete cara per quello che avete fatto alla terra! La pagherete per tutte le persone che avete ucciso!”, esclamò, mentre la sua rabbia si faceva sempre più incontenibile. “Breast Fire!”
L’onda di fuoco si scontrò contro il raggio proveniente dal Getter, e per un attimo il confornto dell’energia, sospese le due emissioni in un perfetto equilibrio. Il potere di Mazinger Z però, non poteva essere fermato. Il Breast Fire sovrastò il Getter Beam investendo il robot avversario. L’emissione di calore era troppo potente, e lo strano nemico si sciolse come se fosse fatto di cera.
I resti caddero a terra, mentre la testa rotolava di lato. Il portello di accesso della testa del Dragon si aprì, e Koji vide qualcuno cercare di trascinarsi fuori con le braccia. Per un attimo avrebbe voluto finirlo con Mazinger, ma poi esitò. Koji non era mai stato un assassino. Aveva sempre combattuto per proteggere le persone, per difendere l’umanità. E se ogni tanto la tentazione di compiere gesti impulsivi si faceva largo attraverso i suoi desideri di vendetta, il volto di Daisuke appariva sempre a ricordargli chi era, e perché la giustizia e la pace erano gli unici motivi per i quali fosse giusto battersi. Koji aveva dato la sua parola, quando Duke Fleed decise di tornare a ridare vita al suo pianeta natale. Si sarebbe preoccupato lui di difendere quegli ideali. Avrebbe difeso lui la terra, da qualunque nuova minaccia. E a quella promessa Koji aveva deciso di attenersi, anche se dentro di se, sapeva perfettamente di avere fallito. L’uomo alzò la testa in direzione di Koji, con un ghigno deforme, quasi demoniaco. Quella che si mostrò a Kabuto, era una scena paradossale, carica di orrore. Alla guida di quel robot assurdo non poteva esserci quell’uomo, eppure sembrava nient’altri che lui. “Ryoma!” esclamò. “Mio dio, vengo ad aiutarti!” Ma quello che sembrava Ryoma non rispose. Gli occhi bianchi, iniettati di odio, fissavano Koji mentre arrancava con le braccia per fuoriuscire dall’abitacolo che si stava liquefacendo per il calore. Ma non poteva uscire. Koji rabbrividì per l’immagine che gli si parò davanti. Di Ryoma rimanevano solo la testa ed il tronco, mentre il resto del corpo era composto da cavi che fuoriuscivano dalle carni per collegarsi direttamente al robot. Era tutt’uno con la macchina. In un ultimo spasmo, Ryoma guardò verso Koji, schiumando rabbia. Ma non emise un suono e dopo un ultima contrazione si spense, accasciato con il volto nel terreno. “No!, tu non puoi essere Ryoma! Io…io ti ho visto morire! Che diavolo sta succedendo!” Non ebbe il tempo di pensare ad una risposta perché Mazinger venne scosso da un tremito e venne strappato dal suolo, mentre qualcosa lo trascinava all’indietro. “Magnet power!” sentì Koji alle sue spalle, mentre Zeta veniva trascinato via. Il suo robot sembrava immobilizzato da un energia prodigiosa, e riuscì a malapena a voltare la testa per cercare di capire quello che stava accadendo. Mazinger Zeta era caduto preda dell’energia magnetica di un robot che Kabuto pensava non avrebbe mai più rivisto. Per quanto potesse sembrare incredibile, Jeeg, il robot d’acciaio, lo stava attaccando. Cercò di liberarsi dal campo magnetico in tutti i modi, ma essendo di schiena all’avversario,non aveva modi di attaccarlo. Jeeg lo accolse tra le sue braccia, imprigionandolo in una morsa spaventosa. “Ti distruggerò, chiunque tu sia, e finalmente i tuoi pezzi migliori saranno miei, e potrò andarmene da qui!” “Hiroshi, sono io Koji, sei impazzito? Lasciami maledizione! Aaargh!” La stretta di Jeeg si faceva sempre più potente, e la struttura di Mazinger rischiava di collassare. “Rocket Pucnh!” fece Koji in un tentativo disperato, ma il pugno a razzo partì di lato per scomparire dietro ad un palazzo. La risata di Jeeg aveva qualcosa di satanico. Non era Hiroshi, non poteva essere lui. “Sto per distruggerti, e quando avrò finito, mi approprierò delle tue ali…si hai proprio delle ali magnifiche, penso che mi saranno molto utili” Non fece in tempo a terminare la frase, che da dietro un gruppo di palazzi, il Rocket Punch sbucò ad una velocità incredibile mentre tornava indietro. Lo investì in pieno, colpendolo alla testa, che si staccò di netto disintegrandosi. Il resto del corpo, privo dell’energia magnetica, andò in pezzi quasi immediatamente. “Ma dannazione! Questo è un incubo! Cosa diavolo è questo posto! Sono finito dentro un incubo.” “Un incubo che tu hai creato, stolto!”. Koji si voltò a guardare. Su un palazzo alla sua destra si stagliava la figura dell’ennesimo spettro. Il Grande Mazinger era arrivato.
Il Devil Zeta era circondato dai Proto-Mazinger emersi dai sotterranei dell’hangar. Non vi era nessuno a pilotarli. Molti non avevano nemmeno una cabina di pilotaggio, in effetti. Spinti da un energia evocata da chissà dove, attaccavano il Devil Z senza sosta, ma la loro lotta era impari. Il robot demoniaco tranciava i prototipi con i suoi artigli come se fossero di carta, e chi aveva la sfortuna di finire sotto le onde di calore infernale,che fuoriuscivano dal petto, si liquefaceva all’istante. I Prototipi però non sembravano intenzionati a cedere. Per quanto venissero colpiti o danneggiati, si rialzavano sempre. Anche le parti smembrate o i singoli pezzi continuavano in qualche modo a far parte della battaglia. Si accanivano contro il loro avversario incuranti di qualunque cosa. Mentre due di loro erano riusciti ad arrivare nel corpo a corpo con il robot demoniaco, altri tre si schierarono a triangolo. Il Breast Fire esplose contemporaneamente dai loro toraci con una potenza incredibile derivata dall’attacco combinato. I loro simili vennero vaporizzati all’istante, mentre il Devil Z emise un ruggito infernale, proteggendosi con le ali. Per un attimo sembrò resistere all’attacco, poi l’energia lo sopraffece e scomparì dentro una bolla di calore, sommerso dalle rocce che si erano staccate dal soffitto.
“Chi sei?” Fece Koji “Mostrati, se hai il coraggio! Se è il mio destino combattere in questo mondo dannato, allora combatterò anche te! Il Grande Mazinger balzò giù dal palazzo, rivelandosi a Koji in tutta la sua possente figura. Era identico al robot che suo padre aveva costruito, ma non c’era nessuno a pilotarlo. Come in un’assurda parodia di un mostro guerriero di Micene, dall’addome del Grande Mazinger fuoriusciva una enorme testa. La testa di suo padre, Kabuto Kenzo. “Padre!” Koji era sempre più incredulo. “Ma che succede qui! Dove siamo. Dove sono capitato?” “Fai finta di non capire? Questo è il nostro mondo, sciocco. Il mondo che per colpa tua si è venuto a creare” “Mia? Papà ma che dici? Come posso centrare qualcosa io, con tutto questo orrore? Cosa centro io con questa follia?” Il volto nel torace del Great si fece cupo e beffardo allo stesso tempo. “Questo è il mondo che tu hai deciso di creare. Il mondo derivato dall’aver seguito i progetti di quello scriteriato di tuo nonno. Ora osserva qual’è la punizione. Si, l’evoluzione ultima. Umani e robot fusi insieme, in un mondo completamente contaminato e avvelenato, condannato all’impossibilità di rinascere. “Padre, non capisco…” “Certo che non capisci, perché tu sei come tuo nonno. Uno sciocco impulsivo che agisce prima di pensare. Che non valuta mai le conseguenze delle sue azioni. Ecco qual è la punizione decisa per questo mondo. L’evoluzione ultima dell’utilizzo scriteriato della Fotopotenza unita ai raggi Getter.” Kenzo si azzittì per un attimo “Io l’avevo detto a tuo nonno. Non bisogna inserire la vita in un guscio vuoto. Questa è la punizione per non avermi ascoltato.” “Padre, ma che succede qui. Perché combattono tutti? Perché questa guerra senza fine? “ “Combattono perché è la loro natura. La ricerca del potere passa anche dalla lotta. Ma soprattutto combattono perché desiderano scappare da queste terre morte. Il nostro pianeta non ha futuro. Per poter andare via devono rinforzare i loro robot con i pezzi migliori. Altrimenti, se non sono abbastanza forti, il Signore delle Galassie non li farà passare, e li distruggerà.” “Il Signore delle Galassie?” fece Koji incredulo. “Si, colui che è venuto per punirci. Colui che non ci perdona per aver creato l’Armageddon definitivo. La fine di questo mondo.” “E dove si trova questo Signore delle Galassie?Cosa diavolo è?” “Troverai le tue risposte lassù, dietro quelle nuvole” fece il Grande Mazinger indicando il cielo. “Ora va, io non posso aiutarti. Devi capire con i tuoi occhi” Koji rimase scosso ed incredulo davanti a quelle parole. Ma ormai si stava abituando a quella follia, e decise che era il momento di andare in fondo alla questione. Si girò senza voltarsi indietro, accese il Jet Scrander e spiccò in volo. Un’unica lacrima solcò il suo viso,mentre mormorava tra se e se “Addio, padre.”
Mazinger Z spiccò il volo puntando verso le nuvole. Presto si rese conto di essere circondato da decine di altri robot dalle forme più disparate che volavano nella stessa direzione. Tutti si dirigevano verso il Signore delle Galassie, per riceverne il giudizio e lasciare il pianeta ormai morente. Uno ad uno però, cadevano. Una tempesta di fulmini circondava l’insieme dei robot mano a mano che si avvicinavano agli strati più elevati delle nuvole, e i più deboli venivano colpiti dai fulmini e ricadevano al suolo, distrutti. Koji volava nella tempesta, manovrando attraverso le scariche.
“Dannazione! Non so se Zeta potrebbe resistere ad una scarica del genere. Devo stare molto attento.” Si fermò un istante a guardarsi intorno. L’armata dei robot era stata completamente distrutta. Il Signore delle Galassie li aveva giudicati tutti indegni. Era rimasto solo. Con tutta la determinazione che gli era rimasta in corpo, afferrò la cloche e la spinse verso l’alto “Andiamo, Zeta! Non dobbiamo avere paura!” Il robot, compagno di mille battaglie, schizzò fedele verso l’alto ad una velocità prodigiosa, che Koji non si ricordava di avere mai raggiunto prima. Superarono l’ultimo strato di nuvole e lo spettacolo che gli si parò davanti aveva dell’incredibile.
Un enorme disco luminoso si stagliava nel cielo e la luce che emetteva era abbagliante. Dal disco partivano continue scariche di fulmini, che distruggevano immediatamente tutti i robot che continuavano a salire nella sua direzione. Quello doveva essere il Signore delle Galassie e non sembrava essere intenzionato a perdonare nessuno. Koji non aveva intenzione di lasciarsi intimorire. Ormai era giunto fin li e desiderava avere delle risposte. Spinse lo Scrander al massimo e si diresse verso il disco di luce.
“Fermo!” una voce potente come il più forte dei tuoni lo investì, facendogli perdere per un istante il controllo di Zeta. “Non era previsto che noi ci incontrassimo in questo luogo!” Koji riconquistò i comandi, e dirigendo nuovamente lo sguardo verso il disco si accorse che stava mutando forma. Sulla sua superficie stava apparendo un volto gigantesco. “Non può essere!” pensò infine Kabuto, mentre il volto prendeva forma. “Quella voce, quel volto…sei…tu!” mentre sul suo viso si dipingeva la maschera dell’incredulità. “Perché tutto questo, perché dannazione! Non tu! Chiunque altro ma non tu, ti prego!” Dal disco il volto che andava creandosi, smise di emettere fulmini e per un istante, la sua voce non pareva più così terribile. Era una voce calda e penetrante, e trasmetteva calma e una sensazione di enorme serenità. “Ho dovuto farlo,Koji. Sulla Terra nessuno ha voluto prestare ascolto alle mie parole. Vi siete dimostrati un popolo scriteriato, e siete diventati una minaccia per l’intero universo. Io non posso permettervi di proseguire oltre. Sarete confinati qui, su questo pianeta morente.” “Ma io non capisco, ti prego…” “Non è più il tempo delle spiegazioni, Koji. Perdonami.” E mentre il volto scompariva sulla superficie luminosa, un enorme fulmine investì in pieno Koji e Mazinger Zeta. Un istante prima della fine, Koji seppe che quella che aveva infine udito, era la voce di un dio.
Capitolo 16 terza parte.
Il soldato comparve attraverso la parete di roccia, come se ne fosse stato parte integrante. Attraversò trafelato l’enorme sala, circondata da antiche staute raffiguranti divinità ancestrali che venivano illuminate dalla calda luce di bracieri rituali.“Generale, gli Invasori hanno superato le difese del terzo livello, ormai la situazione è disperata!”. Il soldato rimase in ginocchio, aspettando la risposta del suo signore, che gli dava le spalle mentre sembrava maggiormente assorto nella sua meditazione che attento alle parole che gli venivano rivolte. “Generale…la prego…dobbiamo fare qualcosa…” “Ti ho sentito, soldato.” Il volto di Amaso era carico di preoccupazione, ma ciononostante fece di tutto per non apparire scosso. “Non devi preoccuparti, la grandezza del popolo Yamatai non diminuirà certo anche se dovessimo perdere questa base. Ora va, mentre io mi preparo per scendere in battaglia. Di a tutti gli uomini di resistere e di non cedere terreno fino al mio arrivo. Attivate tutti gli spiriti Haniwa che vi sono necessari, ma non lasciate avanzare il nemico” “Ai suoi ordini, Generale Amaso!” il soldato tornò ad inchinarsi ed infine scomparve nel terreno. L’antico ministro della regina Himika aveva voluto rassicurare i suoi uomini, ma in cuor suo sapeva benissimo che stava mentendo. La battaglia era infine perduta, non c’era più tempo per pensare a soluzioni alternative. Avrebbe dovuto correre quel rischio, e sperare di aver scelto tra i due nemici, il male minore. Con un ultimo sguardo verso la somma statua della Grande Dea Amaterasu, Amaso si avvolse nel mantello e si lasciò scivolare nel terreno.
Riapparve in una stanza dall’aspetto molto più tecnologico rispetto alle strutture classiche dell’Impero Yamatai. Enormi costrutti metallici torreggiavano nel salone, mentre cavi e fili si intrecciavano in un vorticare di linee che dava all’ambiente la sembianza di un’enorme ragnatela. Amaso si soffermò davanti alla teca in pietra che si trovava al centro della stanza. Rimase come immobile per alcuni istanti, come se il gesto che stava per compiere fosse pesante come il più grande dei macini. Poi attivò un pulsante, e la teca si spostò, rivelando il corpo immobile di un uomo, collegato ad una struttura simile ad un sostegno vitale.
L’emissione d’energia dei tre ProtoMazinger aveva colpito in pieno il Devil Z, scatenando un crollo delle pareti e del soffitto che aveva travolto il robot demoniaco, riducendo l’hangar ad un ammasso di macerie. I robot non avevano un pilota. Una strana forma di energia che si era attivata per governarli, ne controllava i movimenti e le azioni, imprimendo in loro una volontà di combattere il nemico che aveva dell’incredibile. Erano macchine, puri e semplici insiemi di circuiti e metallo, che per una ragione sconosciuta sembravano ora pervasi dalla vita. Prototipi completamente bianchi, esattamente come Juzo Kabuto li aveva costruiti, erano stati sotterrati in quanto non rispondevano alle esigenze del loro creatore. Erano stati degli esperimenti, certo, ma esperimenti che avevano dato a Juzo la possibilità di concepire il robot definitivo, l’arma suprema. Colui che poteva permettere ad un umano di divenire un dio od un demone, Mazinger Z. Juzo morì prima di poter rivelare a Koji l’esatta ubicazione del suo Hangar segreto, dove aveva condotto la parte finale dei suoi studi sull’energia evolutiva definitiva, la fotopotenza sostenuta dai raggi getter. Non seppe mai che Koji si recò nel laboratorio sotto casa sua, quello che lui aveva utilizzato per gli sviluppi della Superlega Z. Quel laboratorio che egli aveva abbandonato quando aveva avuto la certezza dei piani di conquista del Dott.Hell. Non avrebbe mai potuto permettere che la sua scoperta definitiva cadesse in mano al nemico, così si spostò in un luogo segreto, sperduto tra le montagne, dove lontano da tutto e da tutti aveva finalmente concluso i suoi studi, ed aveva creato la macchina in grado di salvare l’umanità. Koji non avrebbe potuto saperlo. Si era recato nei sotterranei della casa del nonno, e aveva pensato di aver trovato il robot che Juzo gli aveva descritto. Non avrebbe mai potuto pensare di aver salvato per anni il Giappone, con un semplice prototipo a Fotopotenza del vero Mazinger Z. Quel Mazinger che ora era caduto preda degli Invasori, i quali avevano attivato a loro piacimento il suo processo evolutivo, trasformandolo in un demone. Mazinger avrebbe avuto bisogno di una prolungata esposizione ai raggi Getter per attivare il suo meccanismo di evoluzione definitivo. Gli invasori avevano accelerato quel processo, sovra-alimentando i suoi accumulatori di potenza con la loro energia Getter a fattore negativo. Il risultato di tale processo era quel mostro che aveva fatto prigioniero Koji. Quel mostro che forse era pronto per distruggere l’umanità.
Gli occhi del ragazzo si aprirono lasciando filtrare la poca luce presente nella stanza. Non riusciva a mettere a fuoco nulla, i contorni erano tutti sbiaditi e l’ambiente circostante sembrava un'unica massa gelatinosa. Il corpo sembrava non rispondergli, mentre lui cercava di riacquisire sensibilità negli arti. Era sdraiato, ma non ricordava dove fosse, ne come vi fosse giunto. Un rumore distinto cominciò a farsi largo nelle sue orecchie, fino a che il ragazzo non riuscì a distinguere chiaramente qualcuno che chiamava il suo nome. “Hiroshi…Hiroshi, svegliati!”, i suoni arrivavano ancora confusi alle sue orecchie e non riusciva a mettere a fuoco le immagini. “Padre, sei tu Padre? Dove sono? Cos’è successo?”, provò a muovere un braccio ma il suo corpo si ostinava a non rispondere. “Non sono tuo padre, Hiroshi. Abbiamo poco tempo, quindi tu devi ascoltarmi attentamente.” Amaso si era chinato ora sul corpo del giovane Shiba, che così a lungo aveva protetto all’interno del suo nuovo regno sotterraneo. Gli occhi di Hiroshi tornarono a mettere a fuoco quel tanto che bastava per riconoscere la voce e il volto del suo antico nemico. “Amaso! Dannato, non so come tu faccia ad essere ancora vivo ma ora io…aaarghhh!”. Il suo corpo non era ancora in grado di muoversi, ed il tentare di farlo gli dava dei dolori lancinanti. “Lo sai che potrei dire anche io la stessa cosa su di te?” fece Amaso con aria quasi divertita “Zitto ora Hiroshi, devi ascoltarmi attentamente. Tu non sai nemmeno dove ti trovi, quindi devo cercare di spiegarti in fretta. Cerca di ricordare, mentre ti parlo. Tra poco potrai muoverti di nuovo, sei sempre stato uno con la pelle molto dura. Ora ti trovi sottoterra, nelle profondità del Regno Yamatai, il regno che tu hai contribuito a distruggere e che io ho rifondato dopo la morte dell’Imperatore. Sono passati più di dieci anni da quando ci siamo combattuti, Hiroshi, e quasi altrettanti da quando tu sei morto” “Io morto, ma che dici?” “Si morto, non ricordi? Hai lottato con gli invasori nella battaglia del Kanto, e gli umani che tanto hai difeso nella guerra contro di noi, ti hanno tradito. Si,hanno tradito te e tutti coloro che li difendevano.” “Tradito! Come tradito, ma che dici Amaso…io non …aaarggh!” “Ti ho detto di non agitarti Hiroshi, fammi parlare. Il cannone ad energia che mise fine alla guerra fu attivato dagli umani. Distrussero gli Invasori ma anche tutta l’armata terrestre, compresi i robot che la comandavano. Sono morti tutti.” “Tutti morti? Ma che dici? Non può essere vero…io…” “Morti Hiroshi! Proprio non vuoi capire? Sono passati dieci anni da quel giorno. Solo tu sei sopravvissuto, grazie al potere mistico della Campana di Bronzo. Si la campana che tuo padre ci rubò e miniaturizzò nel tuo petto, per renderti Jeeg, il robot d’acciaio. Noi, i sopravvissuti dell’impero Yamatai, ti abbiamo ritrovato, seguendo gli impulsi trasmessi dalla campana stessa, e ti abbiamo portato nel nostro regno. Il tuo corpo era praticamente distrutto, ma noi lo custodimmo come una reliquia. Avevamo recuperato ciò che era nostro di diritto, ma noi Yamatai non infieriamo sui cadaveri di chi muore in battaglia, quindi ti mettemmo in questa teca. Strano destino il tuo eh? Ucciso dal popolo che avevi giurato di proteggere, e seppellito con tutti gli onori dai tuoi peggiori nemici.” Gli occhi di Hiroshi erano tornati a funzionare correttamente, e poteva chiaramente vedere l’espressione fiera sul volto dell’antico guerriero Yamatai. In quell’istante, seppe che Amaso non stava mentendo e decise di ascoltarlo “E dimmi Amaso, se io sono morto quel giorno…come faccio ad essere qui, ora. Cosa mi è successo? Mi avete forse resuscitato?” “No Hiroshi. Tu non sei morto completamente quel giorno. Il potere della Campana assorbì la tua energia vitale e la protesse. L’alito vitale era quasi del tutto estinto, ma lentamente, il potere della campana cominciò a guarirti. Quando ce ne accorgemmo, ti collegammo a questo impianto di sopravvivenza, per accelerare il processo.” “Ma perché Amaso, perché avete fatto tutto questo? Io ho distrutto il vostro popolo” Amaso eruppe in una fragorosa risata “Giovane impertinente. Tu hai combattuto con una parte del popolo Yamatai, quella che si era risvegliata per portare l’attacco agli umani. Ma il nostro popolo non è estinto. Noi non siamo solo un popolo di guerrieri. La nostra civiltà era ricca e fiorente una volta, e si seppellì nelle profondità della terra molti secoli fa, quando le mire di conquista della regina Himika divennero così folli da scatenare continue guerre sanguinarie. Questo ci portò sull’orlo del collasso, e il popolo dovette nascondersi nelle viscere della terra per non essere annientato dai nostri nemici. Fu così, che dopo molto tempo, quando ci risvegliammo, i nostri nemici erano scomparsi, ma incontrammo te sulla nostra strada.” “Ora capisco, ma perché non mi avete distrutto? Perché mi avete custodito e risvegliato?” “Perché tu sei stato un avversario terribile Hiroshi, e tanto male hai causato al nostro popolo. Ma sei sempre stato un avversario con un grande senso dell’onore, e per noi Yamatai l’onore è tutto. Posso dire che dopo tanti anni, non ti considero nemmeno più un vero nemico…anche perché il vero nemico è giunto alle porte del nostro regno. E’ per questo che ho dovuto svegliarti prematuramente, Hiroshi” “Quindi mi stai dicendo che mi avete risvegliato per farmi combattere per il vostro popolo? Avete davvero pensato ad un’idea tanto assurda?” “Maledetto ingrato! No, comunque. Non ti abbiamo svegliato per farti combattere. Ti ho risvegliato perché devi fuggire, devi allontanarti da qui il più in fretta possibile!” “Allontanarmi? Fuggire? Ma perché, che sta succedendo?” “Ascolta bene, la situazione è critica. Gli invasori dopo la tua morte sono tornati. Hanno preso il dominio della terra e ora stanno cercando di dominare anche il mio popolo. Per farlo hanno risvegliato il nostro antico nemico, il Popolo di Horo, fondendosi con loro e donandogli poteri che sono inimmaginabili” “E perché dovrei fuggire? Io non scappo difronte a nessun nemico!” “Sciocco!” fece Amaso con aria di rimprovero. “Anche il potere di Jeeg, derivato dalla campana di bronzo è immenso. Ma tu ora non sei in grado di combattere, e ormai noi non siamo più in grado di proteggerti. Lo scopo del popolo di Horo è quello di impossessarsi del mondo intero, e se conosco bene il mio nemico, Horo stesso ha stretto un patto scriteriato con gli invasori, con l’intima convinzione di poterli piegare al proprio volere al momento opportuno. Ma per fare questo ha bisogno di tre sacre reliquie, due di queste custodite da sempre dal nostro popolo. La prima è la campana di bronzo, custodita nel tuo petto. La seconda è Yata no Kagami, lo specchio di bronzo divino della nostra dea Amaterasu. La terza è Kusanagi, un essere di pura energia che riappare sulla terra ogni diciassette secoli. Se Horo riuscirà ad impadronirsi di tutto questo, per il mondo sarà la fine.” “E cosa dovrei fare io secondo te? Continuare a scappare in eterno?” “No Hiroshi, ascolta. Ho un dono per te. In fondo a questa stanza c’è una porta segreta. Tu attraversala e percorri il tunnel fino alla fine. Troverai ad attenderti Yamata no Horochi, la nave del Drago ad otto teste, simbolo del nostro Impero. In tutti questi anni l’abbiamo ricostruita e migliorata, in attesa di un giorno come questo. All’interno della nave è nascosto lo specchio di Amaterasu, devi proteggerlo a tutti i costi. C’è anche un’altra sorpresa all’interno della nave, ma la scoprirai da solo”. Suoni inconfondibili di battaglia provenivano dall’esterno della stanza. “Ormai sono arrivati Hiroshi, devi sbrigarti, non c’è più molto tempo!” “Ma io…come farò a guidare la nave? Non saprò certo pilotarla.” “Non preoccuparti, ti ho detto che c’è una sorpresa ad attenderti, basta che tu salga a bordo…la nave farà il resto. Ora ascolta, il popolo di Horo possiede una tecnologia avanzatissima. Hanno dominato il mondo occidentale per secoli, partendo dall’antico Egitto ed espandendo enormemente il loro regno. Possiedono Mostri biomeccanici che dalle antiche popolazioni erano scambiati per dei. Ne hanno un esercito, anche se i più terribili sono i cinque Generali, comandati da Anubis, il Demone portatore di morte. Non scontrarti mai con lui per ora,non potresti farcela. Devi custodire la campana e lo specchio di Amaterasu. E soprattutto devi ritrovare Kusanagi. Il suo spirito si è reincarnato sulla terra, ma nemmeno chi ne è il discendente ne sarà consapevole. Devi riuscirci Hiroshi, sei l’ultima speranza per il mio mondo e anche per il tuo…ora va!” “Ma Amaso, e tu cosa farai?” “Non preoccuparti di me sciocco! Va ora! Non è più tempo per le spiegazioni!” Hiroshi si mosse a fatica, ma riuscì ad alzarsi in piedi e a dirigersi verso l’uscita indicata da Amaso. Passo dopo passo sentiva aumentare il controllo sui muscoli e la forza che gli ritornava. Si girò un ultima volta a guardare Amaso, poi si chiuse la porta alle sue spalle. Per un istante gli era sembrato che il guerriero di pietra gli avesse sorriso. Amaso sguainò la spada proprio mentre un mostro di Horo sfondava la parete della stanza. “Venite avanti maledetti! Vi mostrerò come muore un guerriero del popolo Yamatai!”
Hiroshi percorse il lungo corridoio di pietra al massimo della velocità che gli permettevano le gambe. Era di nuovo vivo, e soprattutto, aveva una missione importante da compiere. Jeeg il robot d’acciaio era svanito per sempre. Senza il Big Shooter e Miwa, Hiroshi non avrebbe mai più potuto trasformarsi, ma non gli importava. Avrebbe portato a termine la sua missione comunque, anche se ora non riusciva a comprenderne perfettamente tutti i dettagli. Avrebbe respinto per sempre il popolo di Horo e i maledetti invasori. Avrebbe vendicato Miwa.
Hiroshi giunse in fondo al lungo corridoio che si apriva in una staza enorme, con la forma di un tempio. Al centro della stanza, una nuova Yamata no Orochi, la fortezza volante del popolo Yamatai, si stagliava immensa. “Va bene, Amaso. Vediamo un po’ se sei solo un pazzo o riuscirò a far decollare questa fortezza”. Si avvicinò alla fortezza Orochi, ed immediatamente una porta si aprì per accoglierlo. Hiroshi entrò e si incamminò per i corridoi interni. Dopo poche decine di passi, la fortezza si agitò e cominciò a tremare. Hiroshi capì che nonostante non avesse fatto nulla, la fortezza stava decollando. “Dannazione, ma cosa succede?” “Non preoccuparti Hiroshi, vieni avanti.” Una voce familiare gli parlò dall’interno della fortezza volante. Hiroshi si guardò intorno ma non vedeva altoparlanti, ma aveva riconosciuto distintamente la voce di Miwa. “Miwa! Miwa! Sei tu? Rispondimi ti prego!” Il ragazzo proseguì fino a raggiungere un salone, simile ad una plancia di comando. Sul monitor centrale, in una colonna al centro della stanza, il volto di Miwa gli stava sorridendo.
“Miwa, mio dio, che succede? Ma allora sei viva anche tu?” esclamò mentre un nodo in gola gli impediva quasi di respirare. “Non proprio Hiroshi, mi dispiace. Durante la nostra ultima battaglia insieme, anche io fui vittima dell’esplosione. La mia unica fortuna fu che combattendo con il Big Shooter ti aspettai fuori dalla fortezza degli invasori continuando a combattere il nemico in volo. Durante l’esplosione non ero proprio vicinissima all’epicentro e il Big Shooter venne scagliato lontano, semidistrutto. L’unica cosa che continuò a funzionare era il mio supporto vitale, ma anche quello era terribilmente danneggiato. Quando il popolo Yamatai mi ritrovò, per il mio corpo non c’era più nulla da fare. Quindi riversarono la mia coscienza dentro il computer di questa fortezza, prima che fosse troppo tardi.” Hiroshi piangeva a calde lacrime come un bambino. “Oh, Miwa, mi dispiace! Io avrei dovuto proteggerti, non avrei dovuto permettere che accadesse una cosa simile.”
“Non preoccuparti Hiroshi, sapere che tu sei vivo mi rende piena di gioia. Non so perché il popolo Yamatai ci abbia risparmiato, ma ora sono felice di poter essere di nuovo con te. Combatteremo ancora insieme…che ne dici? Guarda su quella sedia. Ci sono ancora il medaglione di tuo padre e i tuoi guanti” “Oh, Miwa…certo! Combatteremo e questa volta riusciremo a sconfiggere definitivamente gli invasori! E poi troverò un modo di ridarti un corpo umano Miwa! Te lo prometto!” “Grazie Hiroshi, ma non preoccuparti per me ora. Perdonami, ma siamo attaccati! Devo proteggere la nave!”
Esplosioni risuonarono all’esterno della fortezza Yamatai, che venne scossa come da un terremoto. Hiroshi venne sbalzato di lato e cadde al suolo. “Aaargh…Miwa ma che succede?” “Mostri di Horo, ci stanno attaccando da quando siamo riemersi! Cerco di colpirli per aprirci una via di fuga, tu mettiti al sicuro” Esplosioni in successione, continuarono a squassare la nave, che sembrava finita nel mezzo di una tempesta. “Miwa, ma non c’è niente che io possa fare? Sono così inutile?” “Non puoi trasformarti in Jeeg in queste condizioni, sei troppo debole… aaahhh!!!” La nave venne nuovamente colpita e questa volta il rumore dell’esplosione era assordante. “Trasformarmi in Jeeg? Vuoi dire che io posso trasformarmi? Che abbiamo i componenti su questa nave?” la voce di Hiroshi si fece carica di speranza. “Certo, non lo sapevi? Ma non posso permetterti di combattere. Devo pensare alla tua incolumità” “Se vuoi pensare alla mia incolumità, farai meglio a mandarmi i componenti, perché sto per lanciarmi!” fece Hiroshi, e Miwa capì dal tono della sua voce che niente avrebbe potuto fermarlo.
Hiroshi corse a ritroso lungo il corridoio, e ad ogni passo sentiva tornare l’energia di un tempo. “Dannati Invasori, non mi interessa se vi siete alleati con il popolo di Horo per possederne i mostri guerrieri. Oggi giuro che Jeeg, il robot d’acciaio vi spazzerà via tutti dalla faccia della terra!” Il portellone alla fine del corridoio si aprì al suo arrivo, e Hiroshi potè vedere i Mostri di Horo che stavano attaccando la nave. Il suo spirito di guerriero tornò ad infiammarsi come un tempo. Prese un grosso respiro e si lancio nel vuoto. Dalla fortezza partitono i componenti, mentre Hiroshi univa i pugni nel gesto che tante volte lo aveva portato alla vittoria: “Aaaarghhh!!!! Jeeg! Robot d’acciaio!” ed il suo corpo, pervaso dal potere della campana di bronzo, assunse la forma della testa del robot. I componenti si avvcinavano velocemente, e Hiroshi provò una forte ebrezza nel riattivare dopo tento tempo il campo magnetico che li avrebbe attirati “Build up! Contatto!” Tronco, braccia e gambe si unirono a ricreare il robot leggendario “Jeeg robot d’acciaio!” Fatevi avanti dannati mostri, Jeeg è tornato per liberare la terra da esseri malvagi come voi. Oggi vi distruggerò per sempre!” Davanti a quella spaventosa determinazione, gli esseri meccanici sembrarono per un istante piegarsi per il terrore. “Spin Storm!!!” Jeeg, il robot d’acciaio, era finalmente tornato.
Capitolo 16 quarta parte
“Maestà!”. La voce della sacerdotessa risuonò nell’ampio salone piramidale, chiara e distinta. Mentre si avvicinava al trono, la sua figura femminile veniva illuminata dalle torce poste sulle pareti della struttura, mettendo in risalto il candido piumaggio delle sue ali. Giunta vicino al trono, volse lo sguardo al pavimento e si inginocchiò in attesa degli ordini del suo signore. “Alzati Maat, sai che non devi inginocchiarti davanti a me, quando siamo soli.” L’Imperatore Horus era seduto sul suo trono, abilmente decorato con piume di pavone, che formavano un magnifico gioco di colori intorno al sovrano. La sua pelle, liscia come seta, era ricoperta da lunghe vesti dorate, che mettevano in risalto il suo colore scuro come il legno di ciliegio. La sacerdotessa alzò lo sguardo ad incrociare il suo, e come sempre rimase affascinata da quegli occhi magnetici con le pupille completamente azzurre, che si stagliavano su un volto eternamente giovane, incastonato all’interno di una testa di falco. “La ringrazio maestà, lei è sempre troppo generoso nei miei confronti” disse alzandosi in piedi “cosa può fare la sua umile servitrice per compiacerla ?”
“Suona per me Maat, la tua voce allevia da sempre il mio animo, nei momenti in cui il mio cuore è pesante. Ho fatto portare qui la tua arpa dalle tue stanze. Spero non me ne vorrai, ma avevo veramente bisogno di sentire quel dolce suono inebriante che con tanta grazia sai far uscire da questo strumento”
“Voi mi lusingate,mio sovrano. Sarò lieta di fare il possibile per sollevare il vostro cuore dai pensieri che lo affliggono” Così dicendo, si avvicinò al suo strumento, posizionato a lato del trono di Horus. Scorse con le dita l’intelaiatura in argento e controllò la qualità della tensione delle corde, dopodichè cominciò a suonare. La melodia che usciva dallo strumento era dolce e triste allo stesso tempo, ma era in grado di coinvolgere ed inebriare anche gli esseri inanimati e le creature senz’anima. L’imperatore chiuse gli occhi, sopraffatto da quel suono magico. Stette in silenzio qualche minuto,dopodichè parlò: “Devo farti una domanda Maat, ho veramente bisogno del tuo parere” “Sono ai vostri ordini, mio sovrano. Il mio pensiero è al vostro servizio” La voce di Horus era calda e profonda, maestosa e allo stesso tempo rasserenante: “Dimmi, Maat. Secondo te, il tuo signore è un buon sovrano? Sono ancora degno di governare il mio popolo oppure la mia guida si è indebolita? Sono passati secoli da quando ci siamo ibernati, e ora che ci siamo risvegliati ho bisogno di sapere cosa pensa la mia gente” “Il nostro popolo vede in voi l’unica guida possibile,mio sovrano. Come sempre è stato e come in futuro sarà per sempre. Il nostro desiderio più grande è vedere la grandezza del nostro impero ristabilita. Senza il Divino Horus a guidarci, non avremmo nessuna speranza” “Lo pensi davvero?” disse, mentre le piume che incorniciavano il suo volto, si gonfiavano e si riabbassavano, in preda all’eccitazione. “Certo mio sovrano. Voi sarete l’artefice della nostra rinascita. Per troppi anni abbiamo atteso, affinché la gloria che ci spetta torni a risplendere sulle nostre genti. Un lungo esilio è stata la sorte decisa per noi dal fato, che ha giocato le sue carte a favore della indegna razza umana.”
La voce di Maat stava crescendo di volume e la stizza e l’odio che provava trapelavano chiaramente dalle sue parole “Un popolo di barbari primitivi, che ha lasciato solo macerie e rovine del nostro magnifico pianeta. L’aria è ammorbata da esalazioni velenose, i nostri mari che una volta erano pescosi e pieni di vita sono ridotti ad un immenso cimitero d’acqua. Ma la cosa peggiore è che quelle scimmie hanno lasciato il dominio della terra a quegli schifosi alieni, esseri indegni di posarsi sulle nostre terre. No, mio signore! Tutto questo deve finire, e subito. Su questi esseri tutti cadrà la rovina, ristabiliremo la grandezza del nostro regno! Lunga vita all’eccelso Horus!”. E così senza rendersene conto, si alzò in piedi spiegando le ali in una posa fiera e bellissima. L’arpa, spinta senza volere, vacillò e cadde al suolo, in un agghiacciante tonfo metallico. Maat si gettò in ginocchio, appena resasi conto dell’accaduto con la voce tremante “Perdonatemi, maestà…io non volevo…” “Alzati,mia diletta, non devi preoccuparti, capisco perfettamente quello che provi, poiché anche io avverto i medesimi sentimenti. Proprio per questo ho inviato il generale Sobek con le sue armate, a distruggere definitivamente quello che rimane del nostro antico nemico, gli inetti Yamatai.” “Il popolo Yamatai vivo, mio signore?” “Si, Maat. Si risvegliarono prima di noi con l’obiettivo di riconquistare il dominio del pianeta. E ce l’avrebbero sicuramente fatta, se non fosse stato per un unico umano…Hiroshi Shiba” "Un unico umano? e come avrebbe fatto?" "Egli era il figlio del Professor Shiba, colui che ritrovò la campana di bronzo, l'antico manufatto che è nostro di diritto. La impiantò dentro suo figlio concedendogli poteri inimmaginabili, e la capacità di trasformarsi in un potentissimo robot, chiamato Jeeg. Oggi noi dobbiamo reimpossessarci della campana di bronzo, se vogliamo sconfiggere gli invasori che stanno infestando il nostro pianeta" Il suo volto si fece pallido, e la coppa di vino che reggeva gli cadde di mano. "Maestà, vi sentite male!", disse preoccupata Maat accorrendo velocemente. "No! non è nulla!...ora ti prego, lasciami...ho bisogno di riposare" La bellissima donna alata, si voltò con fare titubante e si avviò fuori dalle stanze regali senza obiettare. Appena uscì, Horus con uno sforzo immenso si alzò per andare a sdraiarsi. Dalle sue vesti dorate, orrendi tentacoli neri, fuoriuscirono danzando nell'aria.
Dieci anni prima. Un altro pianeta Il ghiaccio si estendeva come un deserto a perdita d’occhio. L’uomo camminava ormai da giorni, seguendo il richiamo proveniente dal suo medaglione. Aveva provato ad avvicinarsi alla zona con il suo robot, ma indecifrabili segnali impedivano ai sensori di funzionare correttamente, portando il pilota a volare in cerchio per ore e ore. Una volta compreso come non ci fosse modo di avanzare oltre, l’uomo aveva preso una tuta termica e si era avviato nella tormenta attraverso la landa di ghiaccio. A piedi e solo. Quello era il destino che aveva scelto per se, una missione solitaria per ridare vita al proprio pianeta devastato dalla guerra e dalle radiazioni. Aveva rinunciato a tutto. Non aveva voluto che l’amore facesse breccia nel suo cuore, non aveva permesso al suo bisogno egoistico di sentirsi in una famiglia ,di trattenere la sua unica sorella, affinché almeno lei avesse potuto condurre una vita piena di amore, affianco al suo migliore amico.
Da quando era tornato, solo sul suo pianeta natale, non aveva trovato altro che morte e distruzione. Le immani esplosioni causate dalle armi degli oppressori, avevano spostato l’asse stesso del pianeta, e lo avevano tramutato in una invivibile landa deserta. Per metà era arsa dal sole, mentre l’altra metà era coperta dai ghiacci perenni. Poche creature erano sopravvissute a quell’olocausto, e pochissimi abitanti si erano radunati in sparuti villaggi. La vita sembrava aver abbandonato per sempre quel pianeta, che una volta era stato tra i più floridi e belli di tutta la galassia. Ma l’uomo non aveva il desiderio di arrendersi. Avrebbe ridato la speranza a quello che rimaneva delle sue genti, avrebbe riportato i verdi campi e i mari brulicanti di vita. Avrebbe piantato quel sacchetto di fiori che gli era stato regalato prima del suo viaggio. Quel sacchetto che avrebbe ridato vita e colore alle sue terre. L’uomo era un re su quelle terre, ma per quanto fosse a casa sua, era come se fosse un re in esilio.
Dopo giorni di cammino, in completa solitudine, le forze cominciarono ad abbandonare l’uomo, minando la sua resistenza che fino ad allora aveva avuto dell’incredibile. Si accasciò privo di sensi, con il volto nella superficie gelida. La vita lo stava abbandonando, per restituirne il corpo al pianeta morente che gli aveva dato i natali. Qualcosa però lo risvegliò dal suo stato di incoscienza. Era qualcosa di caldo, di avvolgente, che egli sentiva premere contro il petto. Sentiva il sangue tornare a scorrere nelle vene e l’aria non più ghiacciata ora, tornare a circolare nei sui polmoni. Allungò una mano verso il petto e vide che il suo medaglione stava brillando. Una luce verde e intensa, come mai aveva visto prima di allora. Lo prese in mano ed un calore immenso lo pervase. Era come se qualcosa di sopito si fosse infine risvegliato. Una voce comparve chiaramente nella sua testa, mentre parlava in una lingua sconosciuta. Una lingua sconosciuta che però egli stranamente sembrava capire, parola dopo parola. Una lingua pronunciata da una voce calda e profonda, che sembrava giungere da molto lontano.
“Il tempo della tua venuta infine è giunto, ultimo erede di Sigma. Era da tanto che ti attendevamo. Lascia che ora ti si mostri la vera dimora dei tuoi antenati, che ora è tua di diritto”. Il medaglione si staccò dal collo dell’uomo e volo lontano, attraverso la tormenta. Finì il suo percorso in un bacino ghiacciato,nel quale si inabissò. L’uomo si chiese che cosa stesse succedendo, da dove provenisse quella voce all’interno di quello che lui aveva sempre reputato essere il medaglione di famiglia. Non fece in tempo a trovare le risposte, poiché dal suolo ghiacciato cominciò ad emergere un immensa struttura composta da lunghi cristalli, intrecciati nelle forme più impensabili. Rimase a guardarla mentre emergeva, senza proferire una sola parola. Era immensa eppure bellissima, con i suoi riflessi magnifici nella pallida luce dell’eterno inverno che aveva attanagliato la regione. Quando finì di emrgere, l’uomo sapeva esattamente dove dirigersi. Sapeva esattamente dove trovare l’ingresso in quell’infinito reticolo di cristalli. Per qualche strano motivo, colui che per anni si era sempre considerato un esule nella galassia, sentiva che in qualche modo stava tornando a casa.
L’interno della fortezza ne rispecchiava l’esterno. Era un enorme struttura aperta, suddivisa dai costrutti in cristallo e , cosa più stupefacente di tutte, era viva. Si modificava al suo passaggio, creando corridoi e aperture man mano che procedeva all’interno. Sembrava l’interno pulsante di un essere senziente, piuttosto che un costrutto, e anche se non l’aveva mai visto, l’uomo sentiva di appartenere a quel luogo. Giunse al centro di un enorme sala, attraversando uno stretto ponte di ghiaccio sopraelevato. Una figura che sembrava vuota, un riflesso nell’aria come un ologramma lo stava attendendo. Sembrava un uomo avvolto in candide vesti bianche, circondato da un alone inspiegabile di solennità. Prima che egli potesse chiedere qualunque cosa, la figura parlò.
“Figlio mio,tu non puoi ricordrti di me. Io sono Shedar. Sono tuo padre.Ormai avrai superato i tuoi vent’anni, come li misurano su Fleed. Secondo i loro calcoli, io sarei morto da molte centinaia dei loro anni. La conoscenza che ho dei processi sia fisici che storici, te l’hanno trasmessa i tuoi genitori adottivi, durante il tuo lungo soggiorno su questo pianeta, come da mie volontà. Sono fatti importanti, certamente,ma tuttavia sono solo fatti. Ci sono tante domande e tanti dubbi ancora da risolvere. Qui in questa fortezza eredità dei tuoi antenati, cercheremo insieme di trovarne la soluzione. Ora figlio mio… parla…”
L’uomo non poteva credere a ciò che sentiva. Tutto ciò in cui aveva sempre creduto, era ora messo nuovamente in discussione. Per l’ennesima volta la sua vita sembrava trovarsi ad una svolta improvvisa ed inaspettata. Una svolta che gli avrebbe rivelato dettagli fondamentali, dei quali non era mai stato a conoscenza. La sua voce solitamente ferma e sicura, si fece per un istante incerta e sottile “Chi sono io, dimmi…ti prego.” L’evanescente figura riprese a parlare, come se comprendesse le parole dell’uomo: “Il tuo nome è Actarus, tu sei l’unico sopravvissuto del pianeta Sigma. Anche se sei stato allevato con un altro nome e come un Fleediano, tu non sei uno di loro. Tu hai grandi poteri, dei quali alcuni soltanto, hai scoperto finora. Vieni con me allora figlio mio, attraversiamo le barriere della tua natura mortale viaggiando attraverso il tempo e lo spazio nelle sei dimensioni conosciute.”
Tutta la struttura intorno sembrò improvvisamente sparire, e al ragazzo sembrò di essere stato trasportato improvvisamente al centro dell’universo. Milioni di stelle e galassie lo circondavano, e scorrevano veloci mentre egli scivolava nelle profondità dello spazio ad una velocità incredibile. Il confine tra realtà e illusione non era più percepibile, ed egli si trovò sospeso nel vuoto, galleggiando leggero come in un sogno. La figura di quello che si proclamava suo padre continuava a parlare, ripetendo più volte le stesse cose, in un vorticare infinito di voci e parole che si confondevano nella sua testa. Per ogni parola che perdeva, mille volte gli veniva ripetuta, affinché ogni più piccola parte del discorso fosse sviscerata nella sua interezza.
“I tuoi poteri supereranno di gran lunga quelli di qualunque mortale. Per questo insieme a te ho inviato la Matrice, il più alto ritrovato della nostra scienza. Attraverso essa ho insegnato ai tuoi genitori adottivi come costruire Grendizer, il robot che ti permetterà di proteggere coloro che necessiteranno del tuo aiuto. Se ne sei già entrato in possesso, sappi che poco del suo vero potere, hai scoperto sin’ora…” Le voci nella sua testa erano multiformi e a volte confuse, il tempo sembrava passare velocissimo, altre volte sembrava immoto, mentre suo padre gli passava le informazioni che lui istintivamente richiedeva.
"Ti è proibito interferire con la storia dei popoli della tua galassia, devi invece far si che la tua guida sproni altri a farlo…Durante il prossimo anno studieremo il cuore di tutti gli umanoidi… è più fragile del tuo. Nei due anni seguenti, passando attraverso il tumulto fiammeggiante che è il bordo estremo della tua galassia, entreremo nel regno del sole di Sigma , fonte della tua forza e del potere di Grendizer e causa della nostra distruzione. Il pianeta Sigma, figlio mio. La tua vera casa, come era una volta. L’anno seguente studieremo i vari concetti di immortalità e la loro base nei fatti reali, l’accumulazione totale di tutta la conoscenza che copre le ventotto galassie conosciute è racchiusa nel medaglione che ho inviato insieme a te. Studiala bene figliolo. Quando sarai tornato ai confini della tua galassia saranno trascorsi dieci dei loro anni. Per questo motivo tralatro ho scelto per te il pianeta Fleed…Ora è giunto il momento che tu torni al tuo nuovo mondo e che tu serva la sua collettività. Vivi come uno di loro Actarus, per scoprire dove sono necessari la tua forza e il tuo potere, ma conserva sempre nel tuo cuore l’orgoglio per la tua particolare eredità. Le genti della tua galassia possono essere un unico grande popolo Actarus, desiderano esserlo. Manca loro soltanto la luce che mostri loro la strada.”
La voce dell’uomo andava affievolendosi, mentre il ragazzo ritornava dopo anni al tempo presente.
“Per questo motivo soprattutto, per la loro capacità di provare il bene, io ho inviato te …mio unico figlio. Tu sei Actarus! L’ultimo discendente del popolo Sigma. Anche se il resto della galassia ti conoscerà come… “Duke Fleed”!”….
Capitolo 17. Prima parte.
Pianeta Terra. Fortezza delle Scienze. Sede dell’alto Consiglio. Undici anni fa.
“Dicono che fosse il Generale Nero! Dicono che sia tornato dal regno dei morti per distruggerci. Lo hanno visto squarciare il Bolt Mazinger in due con un unico colpo di spada, e pare che abbia schiacciato Argo dentro la sua stessa cabina, senza che potesse fare nulla per reagire”. Il volto di Benkei era teso e preoccupato, e non riusciva a smettere di balbettare mentre cercava di spiegare a Tetsuya l’accaduto. “Dicono un sacco di cose, vero?”. Tetsuya parlava ma non distolse lo sguardo dalla console alla quale stava lavorando. Il suo sguardo era di ghiaccio e non pareva minimamente scosso dalla notizia. Forse avrebbe dovuto esserlo. E se fosse stato tutto vero? Possibile che il Generale Nero fosse risorto a nuova vita? Per quale motivo poi, avrebbe dovuto allearsi con gli invasori. “No, la cosa non ha alcun senso”, pensò il pilota del Great Mazinger. “Io stesso l’ho spedito all’inferno con le mie mani, e quella è stata sicuramente la più dura battaglia della mia vita...non può essere…” Certo che la notizia della sconfitta del Bolt Mazinger non era per nulla rassicurante. Il Bolt era un modello evoluto del primo Great Mazinger fatto dai russi. Quando la guerra con gli invasori era scoppiata definitivamente, Tetsuya si era visto costretto a consegnare al Consiglio internazionale le tre copie rimaste del suo robot, costruite dalla Neo Suminichi, l’azienda di quel pazzo che si era messo in testa di costruire dei Great Mazinger in massa per poi rivenderli agli stati esteri. Dei dieci modelli originali, alla fine di una battaglia terribile in cui Tetsuya uccise il Duca Gorgon, il giovane pilota con il Professor Kabuto avevano deciso di seppellire i rimanenti tre in fondo al mare, in modo da non far cadere in tentazione nuovamente altri umani bramosi di potere.
Ora, per difendere l’intero pianeta, era dovuto ritornare sui suoi passi. Aveva consegnato i Great e i loro piani di costruzione. Tutte le nazioni si erano attivate per costruirne un modello proprio, modificando a proprio piacimento alcune delle caratteristiche del robot. Il Bolt era il Mazinger russo, e per quanto Tetsuya detestasse ammetterlo, era un robot molto potente, sicuramente più potente del Great sul piano della forza pura e Argo Gulsky, il pilota che lo comandava, era veramente un osso duro. Se era vero che qualcuno lo aveva sconfitto con un unico colpo di un enorme spada, il Generale Nero era sicuramente un candidato plausibile.
“Sto cercando di lavorare qui, Benkei. Ho ancora più di quaranta zone esterne da controllare e sono arrivati cinque nuovi carichi di civili da mettere in quarantena. Se credi a tutto quello che si dice la fuori, Daisuke stesso è tornato sulla terra e si è venduto al nemico, ed ha distrutto personalmente sedici province e i loro rispettivi eserciti di robot, e tutto questo nel tempo che tu ci hai messo per parlarmi di quello che è successo al Bolt”. Le reazioni del pilota riuscivano ancora a stupire Benkei dopo tanti anni “Ma Tetsuya! Il Generale Nero…” “Cose delle quali in ogni caso io sono a conoscenza da prima che tu mettessi piede in questa stanza, essendo interconnesso al sistema di vigilanza centrale. Ora per favore…” La frustrazione di Benkei aumentò di colpo “Ah, e questo è tutto per te vero? Fatto e finito. Se non te ne sei accorto stiamo perdendo la fuori. Stiamo morendo a centinaia. Un momento siamo in una zona che sembra tranquilla, ed un istante dopo quello stesso posto è pieno di Invasori! Non sappiamo nemmeno da dove diavolo arrivino, vengono fuori dal terreno…saltano fuori dalle dannate pareti e noi non sappiamo nulla di loro! Ci hanno coinvolto in una guerra civile su scala mondiale! Mentre stai combattendo i tuoi compagni ti si trasformano di fianco e tu non hai nemmeno il tempo di riflettere prima di dovergli staccare la testa, a meno che non vuoi che siano loro a strappare la tua a morsi! E la cosa peggiore di tutte è che io ora non sono più solo un pilota di Getter, sono diventato un maledetto soldato!” “Benkei…” il tono di Tetsuya si fece più comprensivo “capisco quello che provi vecchio mio. Scusami se sono stato un po’ ruvido, ma sono molto preso e…”
Il pilota del Getter Poseidon sembrava non essersi nemmeno accorto delle parole del suo compagno “Quello che intendo io Tetsuya, è che noi non siamo fatti per questo genere di cose. Cosa ne sappiamo noi di guerre su scala mondiale? Noi siamo piloti, combattiamo per un ideale, guidati solo dalle persone che consideriamo come un padre e lottiamo solo con i nostri fratelli al fianco. Io quella gente la fuori non la conosco e la vedo morire. In molti sono morti perché io vivessi, e io non mi ricordo nemmeno il loro volto. Non ho nemmeno una tomba sulla quale portar loro dei fiori per ringraziarli!...No, non siamo fatti per queste cose. Ora capisco Koji. Deve essere meno brutto da qua dentro. Leggere report ed analizzare dati anonimi che ti mandano gli altri. Perché la fuori c’è un mondo di morte e dolore e noi non eravamo pronti…non abbiamo nemmeno capito che stessero arrivando…”
Tetsuya si era alzato e avvolse con il braccio le spalle del vecchio amico. “Andiamo Benkei, è ora di andare a letto. Ho controllato i tuoi dati vecchio testone…sono tre giorni che non dormi” “Almeno tu ti preoccupi ancora di me.” Benkei sorrise mentre l’amico lo conduceva alle sue stanze. Mentre si allontanavano il personale della base potè sentire che continuavano a conversare, con un tono disteso che non si udiva da tempo tra quelle pareti di acciaio. “Hei Tetsuya, come faceva quella canzoncina che ti aveva dedicato Shiro? Ah si… Ha la mente di Tetsuya ma tutto il resto fa da se….si…era proprio bella…” I due piloti risero, mentre le loro voci si perdevano in lontananza.
Giappone. Anello di difesa esterno. Area Desertica. Undici anni fa.
Il pilota del Getter Two era stato preparato perfettamente in anni di lungo addestramento. Si era fatto valere in molte battaglie ed era preso ad esempio da molti suoi compagni. Rimasero tutti sorpresi quando venne trafitto da un cannone energetico di una MachineBeast degli invasori. Avevano appena imparato ad assimilare le componenti meccaniche delle armi terrestri, e contemporaneamente avevano appreso come utilizzarle con una precisione estrema. Il pilota era stato preparato per combattere gli invasori, ma non era pronto ad adattarsi velocemente agli imprevisti. Era il pilota migliore del suo corso, ma non era Hayato Jin. Non lo sarebbe diventato mai più.
“Getter Two a terra!” il pilota del Getter One continuava a combattere strenuamente cercando di rinserrare i ranghi con il resto dell’armata di difesa terrestre. “Ci stanno massacrando qua fuori, Maggiore Schwarz! Gli invasori ci hanno circondato e hanno rotto le difese! “Mantieni la posizione soldato! Rispondete al fuoco, bastardi!” Schwarz era il pilota del Mazinger Maxter, il robot americano. Era un combattente forte e spietato e il suo spirito era duro come il ferro. Era il comandante sul campo di quella missione. Un gruppetto male assortito di robot nemmeno in perfette condizioni, in campo aperto contro un’ondata nera di invasori che avanzavano senza possibilità di essere fermati. Era una missione suicida. Esattamente il tipo di missioni per le quali Schwarz amava offrirsi volontario.
CITAZIONE
Schwarz
“Ma Maggiore…” “Stai zitto, dannato muso giallo! E’ colpa della tua razza se il pianeta è in queste condizioni. Ora continua a sparare se non vuoi che ti faccia saltare la testa… Frost! Quanto tempo?” Frost era il pilota della squadriglia americana. Combatteva da sempre al fianco di Schwarz, e lo aveva sempre seguito, anche se non ne condivideva i modi rudi e a volte brutali. Era un soldato fedele, ed obbediva agli ordini senza fare domande. Il suo veicolo sperimentale si chiamava Stealther. Somigliava ad un cacciabombardiere, ma poteva assumere un assetto da battaglia assumendo forma antropomorfa. “Un momento Maggiore!” stava cercando di captare dei segnali radio provenienti dalla cittadella alle loro spalle. La cittadella che stavano cercando di proteggere. “Cosa? Ripetere prego…dove? Dannazione!” “Frost! Rapporto maledizione! Ora!” “L’ultimo trasporto è ormai pronto per il decollo. Lo stato di evacuazione è quasi completato signore!” La voce di Schwarz si fece dura e tagliente come un coltello “Ormai? Quasi?!” “Sembra che abbiano avuto un piccolo contrattempo la dentro signore. Una ventina di monaci si rifiutano di abbandonare il loro tempio”
CITAZIONE
Stealther
Giappone. Cittadella interna. Area Desertica. Undici anni fa.
“Sono sopra di loro Schwarz! Un intero stormo di quelle maledette bestie volanti ha sentito la presenza di umani dentro la struttura. Stanno attaccando. Arrivano a decine!”. Hiroshi era la, in assetto da battaglia con i Mach Drill. Da due giorni si stava occupando di proteggere i civili e di affrettare le operazioni di evacuazione. Era impossibile contare quanti Invasori avesse fermato. Probabilmente un numero uguale a quanti Schwarz ne avesse fatti fuori sulla cinta più esterna della cittadella. Erano due robot, ma Jeeg ed il Mazinger Maxter valevano per un esercito.
CITAZIONE
Mazinger Maxter
Anello di difesa esterno
Schwarz ricevette il segnale e si girò verso Frost “Fammi avere supporto aereo la dentro, allerta rinforzi di terra e organizzami una copertura!” “Tutti impegnati su altri fronti maggiore…e comunque …arriverebbero troppo tardi”
Cittadella interna
Un’orda di Invasori calò sul tempio, come uno stormo di enormi pipistrelli demoniaci. Hiroshi non riuscì a fermarli tutti. Per quanto Jeeg fosse potente, i nemici erano troppi. Il tempio si incrinò dapprima sotto il peso degli alieni che lo sovrastavano, poì collassò schiantandosi di colpo. Gli invasori si trasformarono, rapidi e silenziosi, assumedo un assetto fluido e plasmabile. Si infiltrarono tra le intercapedini createsi, per andare a nutrirsi dei corpi ancora caldi degli umani rimasti sepolti sotto le macerie. Per quanti nemici avesse affrontato, Hiroshi non riusciva a capacitarsi della follia distruttiva di questi nuovi nemici. “Nooo!” urlò il giovane Shiba mentre si lanciava nuovamente in un disperato assalto. Non riuscì però ad avanzare. Le braccia di Getter Three lo avevano afferrato e lo tenevano saldamente a terra. “Hiroshi andiamo! Le comunicazioni ci avvertono di un’altra ondata in arrivo. La fuori non ce la fanno più a coprirci. Dobbiamo ultimare evacuazione. L’ultimo cargo deve partire!” “No! Qualcuno può essere ancora vivo la sotto! Non posso abbandonarli!” “Andiamo dannazione! Questa cittadella è storia ormai! Pensa a tutti gli altri civili che dobbiamo proteggere!” Hiroshi rimase paralizzato dalla rabbia ancora un secondo. Poi si arrese all’evidenza. “Ok… dai il segnale. Ce ne andiamo.”
Anello di difesa esterno
Gli invasori erano sempre più vicini all’ultima linea di difesa e la situazione non sembrava destinata a migliorare. La maggior parte dei robot stava finendo le munizioni e terminando l’energia. Non avrebbero resistito ancora a lungo. “Maggiore, possiamo andare!” Frost aveva ricevuto comunicazioni dall’interno e si avvicinò a Schwarz per essere sicuro che ricevesse il segnale. “Dannazione! Finisce sempre con una maledetta ritirata. Se continuiamo così non ci sarà più nessun posto dove ritirarsi. Bastardi! Create fuoco di copertura! Non rimanete indietro!” L’armata dei robot si alzò in volo mentre il pilota del Maxter continuava a sparare come un pazzo con le due Machine Gun tipiche del suo modello. Tetsuya non si sarebbe mai abituato a vedere un modello di Mazinger con due specie di colt in mano. Ma gli americani avevano gusti strani, aveva sempre ripetuto. E Scwharz, come pilota di quel robot, non aveva mai perso uno scontro diretto. “Dobbiamo avere un piano, studiare una strategia. Il tempo degli scienziati che comandavano dai loro laboratori è finito ormai. Questo nemico richiede un approccio diverso. Ci serve un leader combattente ora, un comandante sul campo. E ne abbiamo bisogno ora!”
Il giovane ed agguerrito americano, rinfoderò le due pistole ed attivo i comandi per alzarsi in volo “Scramble Dash!”. Giunto ad un altezza di sicurezza sufficiente, sollevò la sicura dell’arma che aveva tenuto in serbo fin’ora e si preparò a fare fuoco. “Maledetti bastardi! Pensavate di potervene andare a casa dopo avere banchettato con me? Mangiatevi questa sorpresa che ho portato per voi. Nerble Nuclear Missile!” Il missile che partì dal Maxter si schiantò causando un esplosione immane, con un onda d’urto spaventosa che spazzò via gli invasori per centinaia di metri. Molti membri dell’armata dei robot fecero fatica a mantenere l’assetto di volo, pur trovandosi ad una distanza di sicurezza ben maggiore di quella di Schwarz. Quando gli invasori superstiti si avvicinarono alle barricate, tutti i robot erano ormai scomparsi da tempo.
Fortezza delle Scienze
“Cosa? Io?” Tetsuya non poteva credere alle sue orecchie. “Voi vorreste che io prendessi il comando delle truppe nel bel mezzo di una guerra come questa? Ma io sono un guerriero, non sono un soldato in grado di prendere ordini ne tanto meno di darne. Temo che il consiglio abbia commesso un errore” Ryoma, Hayato e Benkei erano di fianco al loro amico, al centro nella stanza del consiglio allestito nella fortezza delle scienze. “Nessun errore, Tetsuya. Tu sarai il capitano delle armate terrestri. E la squadra Getter sarà al tuo fianco in questa missione. Non ci sono alternative. Tutti i dati a nostra disposizione indicano chiaramente come tu sia il più indicato per questo incarico.” “Ma non diciamo sciocchezze! Scegliete Ryo o Hayato piuttosto. Io non ne voglio sapere di queste cose. Io combatto quando c’è da combattere ma non posso fare da balia a nessuno. Non so se ve ne siete accorti ma la fuori c’è una guerra che stiamo perdendo, e le cose non sembrano migliorare!”
Benkei diede una piccola gomitata ad Hayato parlandogli sottovoce “Allora durante quella ramanzina di ieri mi stava ad ascoltare” Hayato ricambiò con una veloce strizzata d’occhio.
Un uomo piccolo e curvo si alzò da una delle poltrone del consiglio e chiese la parola: “Faccia parlare me la prego, mio caro Cowen”. “Ma certo, professor Stinger, prego…” L’ometto si rivolse a Tetsuya con un fare stranamente eccitato. “Vedi Tetsuya, è proprio per questo che noi abbiamo bisogno di te, della tua esperienza in battaglia, della tua determinazione. Solo tu qui saresti riconosciuto come un leader indiscusso da tutti sul capo di battaglia. Ed è di questo che noi abbiamo bisogno oggi. Di una leadership forte, sicura. Abbiamo bisogno di un uomo di cui tutti possano fidarsi e che tutti siano disposti a seguire fino alla morte” Tetsuya si girò verso i suoi compagni, che lo guardarono annuendo al discorso dello strano professore. Tetsuya sibilò stupito tra i denti “Dannazione..anche voi allora siete convinti che…”
CITAZIONE
Stinger e Cowen
Stinger continuò senza sosta, sempre più eccitato. “ Vedi Tetsuya, tu a tuo modo sei un soldato no? Bene, quindi devi anche comprendere che in definitiva noi siamo solo dei piccoli angoli in una geometria più vasta che riguarda questa terribile guerra. Non possiamo comprenderne l’intero disegno, ma la struttura della guerra si modificherà in funzione delle nostre azioni. Anche il nostro mondo in realtà è solo un piccolo scorcio di qualcosa di molto più vasto, che riguarda lotte intestine nell’universo. Lotte che noi non possiamo ora nemmeno comprendere. Gli invasori sono solo una piccola parte di tutto ciò.”
Tetsuya sembrò esitare un istante, davanti a quei discorsi ai quali non era abituato. Cosa stava succedendo? Poi vide Jun. Era in piedi, in un angolo buio della stanza e lo guardava in silenzio. Non aveva detto una parola, ma Tetsuya comprendeva benissimo quali fossero le sue preoccupazioni e come si dovesse sentire in un momento come quello. “E poi, mio caro Tetsuya…a chi pensi che potremmo affidare il nuovo modello del Great Mazinger?” Tetsuya trasalì “Il nuovo Great Mazinger? Di cosa state parlando?” “Lo abbiamo ricostruito seguendo gli appunti di tuo padre adottivo che erano andati quasi persi. Il Great Mazinger definitivo. Pensi che il Professor Kabuto avrebbe voluto che finisse nelle mani di qualcun altro? Dobbiamo chiedere al pilota americano se lo vuole lui? O dobbiamo sentire da Koji se vuole tornare a combattere al tuo posto? “Maledetti!” pensò Tetsuya. I suoi occhi si fecero duri come la pietra e il suo corpo teso, esprimeva ben più di quello che il suo silenzio lasciava trasparire.