Last Armageddon
Sono passati esattamente dieci anni. Quello fu il giorno in cui esplose l’area del Kanto. Il giorno in cui cumuli di metallo incandescete caddero al suolo,rappresentando la fine dei nostri sogni. In quel momento esatto le nostre fantasie di una nuova era si dissolsero di colpo. Eppure l’umanità sembrava avviata a vivere un futuro finalmente luminoso.Stretti per oltre un anno nel fuoco incrociato degli Invasori e dell’armata di Robot che difendeva il pianeta, i governi del mondo decisero che non sarebbero più potuti restare a guardare pochi umani guidati da istituti di ricerca indipendenti, decidere il destino dell’umanità...

Daishonin Velvet

PROLOGO

NB
Attenzione...per una migliore fruizione dell'opera consiglio di leggere il tutto immaginandosi la voce del narratore di Getter Robot-The Last Day :P giuro che fa un altro effetto... ;)

Sono passati esattamente dieci anni. Quello fu il giorno in cui esplose l’area del Kanto. Il giorno in cui cumuli di metallo incandescete caddero al suolo,rappresentando la fine dei nostri sogni. In quel momento esatto le nostre fantasie di una nuova era si dissolsero di colpo. Eppure l’umanità sembrava avviata a vivere un futuro finalmente luminoso.Stretti per oltre un anno nel fuoco incrociato degli Invasori e dell’armata di Robot che difendeva il pianeta, i governi del mondo decisero che non sarebbero più potuti restare a guardare pochi umani guidati da istituti di ricerca indipendenti, decidere il destino dell’umanità. image

Con un voto unanime,ordinarono l’Operazione Freedom contro la base degli Invasori, situata nel centro del Kanto. Un assalto combinato di Robot e forze terrestri per porre fine alla guerra che imperversava su base mondiale,a qualsiasi costo.

E il costo fu altissimo. Sotto la guida di Tetsuya Tsurugi e Ryoma Nagare, i leader dell’armata terrestre alla guida del Grande Mazinga e del Getter G, le perdite umane furono incalcolabili. Nella battaglia finale gli Invasori usarono un gigantesco cannone ad energia, alimentato dai raggi Getter provenienti dal nucleo stesso del nostro pianeta. “Fu come se ogni stella dell’universo collassasse sulla terra”. Così molti testimoni descrissero il terribile evento.

L’operazione Freedom sembrò irrimediabilmente fallita. Ma un singolo atto di eroismo improvvisamente ribaltò le sorti della Guerra. Senza alcun rimpianto per la propria vita, Benkei Kuruma, il pilota del Getter Poseidon guidò la sua Getter Machine fin dentro al quartier generale degli Invasori. Al prezzo dell’estremo sacrificio, l’esplosione disorientò gli Invasori quel tanto che consentì all’esercitò guidato dai Robot di penetrare nella loro fortezza. Grande Mazinga, Getter One, Getter Two, , Jeeg, Texas Mac, Legionar V-4 e i veicoli d’assalto terrestri ebbero la meglio e gli Invasori stavano per essere sconfitti. Le sorti della guerra però, erano già state decise altrove.

Mentre la battaglia volgeva a nostro favore, dopo sacrifici e perdite incalcolabili, l’Organizzazione Unita degli stati terrestri lanciò l’arma più distruttiva mai costruita contro la fortezza degli invasori. Creato dalla sorgente dei raggi Getter e dallo studio degli effetti distruttivi combinati del fotoquantum, il satellite ad energia Ion sparò con tutta la sua mortale potenza nel luogo in cui imperversava la battaglia. Tutto finì in quell’istante.

La causa ufficiale dell’esplosione che sterminò i più grandi eroi della storia dell’umanità, venne imputata ad un “guasto meccanico”, i cui dettagli non furono mai spiegati. Simulando sommo dispiacere per la scomparsa della nostra armata di robot, i governi uniti si preparavano a ricostruire un’egemonia totale sul pianeta terra. Nessuno ora avrebbe potuto fermarli.

Nessuno avrebbe mai sospettato che non fu una tragica fatalità a causare la morte del Dottor Saotome e di Michiru. Nemmeno che fu l’esplosione del nucleo del Laboratorio Saotome a sprigionare quell’enorme quantità di raggi Getter che richiamò gli invasori dallo spazio. Tutti erano scomparsi, non c’erano più minacce aliene ,ne robot terrestri con quelle assurde idee di pace e libertà.

Nessuno però aveva considerato che non tutti gli Invasori erano nel Kanto al momento dell’esplosione. Si nascosero. Attesero. Alcuni di loro si mischiarono a noi. Si moltiplicarono. E quando tre anni fa decisero di terminare la loro opera di dominio sulla terra, i governi terrestri non erano preparati a ciò che avvenne in seguito.Le forze terrestri non erano all’altezza degli assalitori, e nessun robot era rimasto per difenderci.

Questa è la mia storia, la storia di un sopravvissuto. La storia di colui aveva smesso i panni del pilota per essere scienziato, quando i suoi fratelli avevano maggiormente bisogno di lui. Io non sono morto in quella battaglia. Io dirigevo le operazioni dal centro di comando, sperando di individuare una falla nella roccaforte degli invasori. Io sono Koji Kabuto e non mi perdonerò mai di essere vivo.

CAPITOLO UNO

Nel sogno Koji Kabuto si trova al centro di un’ennesima cittadina giapponese incendiata, ma in questa c’è stato altre volte. Anche se diroccati ed anneriti, gli edifici che lo circondano sono ancora riconoscibili. Kabuto è al centro dell’incrocio principale: da quel punto le strade spazzate dal vento corrono verso l’orizzonte come quattro nastri grigi, sempre più sottili.Un cartello stradale arrugginito e bruciato gli conferma che si trova all’angolo tra la prima e la terza strada.

La cittadina è una scacchiera di otto isolati compatti,due in ciascuna delle direzioni che partono da Kabuto, e poi si rarefà in un cumulo di macerie,officine meccaniche, abitazioni e capanne, parcheggi ricavati negli edifici che furono abbattuti. Più avanti si scorgono le rovine di un paio di supermercati e di un viale alberato, e vicino al fiume si ergono ancora i resti delle ciminiere e i tetti di lamiera arrugginita dei lunghi capannoni dell’acciaieria. In lontananza il fragore sordo di una cascata. Quella cascata che…nel sogno i ricordi sono vaghi e confusi, Kabuto non riesce a ricordare.

L’uomo si guarda attorno con calma,per assicurarsi di essere nel posto giusto, perché è passato molto tempo. Il cielo è scuro e nuvoloso. C’è aria di pioggia e probabilmente prima di sera ci sarà un acquazzone. È mezzogiorno, ma la luce è così scarsa che sembra di essere al tramonto. Con il dominio di quegli esseri,cielo e terra hanno perduto le loro varietà cromatiche. Case,strade,auto abbandonate, nuvole e rottami hanno la stessa tonalità di grigio, fatta colare su ogni cosa senza soluzione di continuità. Nel silenzio si leva il gemito del vento che giunge dal fiume e sferza le strade deserte. Le porte aperte degli edifici pencolano sui cardini. Le facciate degli edifici sono nere di cenere e fuligine, dove le fiamme hanno bruciato i rivestimenti di legno e le verniciature. Kabuto esamina con attenzione la città,come se fosse un cadavere, e pensa com’era da viva.

Da un edificio esce all’improvviso un branco di cani. Almeno dieci animali magri e affamati, occhi che guizzano come argento vivo, sguardo tagliente. Quando il latrato stridulo inizia, basso e debole, Kabuto è gia arrivato al centro del piazzale. Lo riconosce subito e sente un brivido mentre i suoi muscoli si tendono. Si immobilizza subito,mentre mormora una parola tra sé :”Invasori”. Naturalmente.Segugi del nemico. Oramai assumono qualunque forma pur di dargli la caccia. Respira a fondo. Il latrato diviene sempre più forte. “Che fare?” si chiede. Lui ha l’arma più forte, quella che ha sempre battuto i denti e gli artigli degli invasori. Quell’arma. Lui è più esperto e più intelligente e la sua abilità è stata temprata in mille lotte. Ma gli invasori sono spinti da un istinto che non attribuisce alcun valore alla salvezza e all’autoconservazione. Quando trovano una preda, la mentalità del branco si impadronisce di loro e continuano a aggredire sino a che loro stessi o il nemico non sono distrutti. Non danno quartiere e non lo chiedono. Gli invasori conoscono un solo modo di vita e quel modo è al di la della ragione. Kabuto è finito in mezzo ad un branco di assassini spietato ed inesorabile.

Sull’altro lato della strada c’è ancora un grande cartello stradale. La scritta è sbiadita ma alcune parole si leggono:

BENVENUTI A SH##JU#U!
LA #ITTA’ ADO###VA D# D#KE F#E##

CAPITOLO DUE

Koji Kabuto si svegliò di soprassalto da quel sogno spaventoso e si raddrizzò così in fretta da lasciarsi sfuggire un gemito di dolore per le ferite ancora aperte che aveva sulla schiena. Gli occhiali gli caddero, rimbalzando rumorosamente sul pavimento del furgone, usato per trasportare i prigionieri. Per un momento non riuscì a ricordare dove si trovava. Era notte e gran parte dei passeggeri dormiva. Impiegò un istante a raccogliere i pensieri, a ricordare che viaggio fosse, che mondo fosse. Poi spostò rigidamente tra i sedili la gamba che si era steccato, e sporgendosi dal suo posto riuscì a chinarsi e riprendere gli occhiali.

Si era addormentato contro la sua volontà. Pur sapendo che correva il rischio di sognare.

Posò gli occhiali sul sedile accanto al suo, fermandoli con la cordicella in modo che non cadessero nuovamente. Una vecchia era ancora sveglia, a qualche sedile di distanza;si era girata sentendo il rumore e ora lo guardava con un misto di paura e sospetto. Ma c’era un altro uomo che era sveglio anche se non dava a vederlo. Era solo in fondo al furgone, e Kabuto ci fece caso solo allora. Tranne un ragazzino, tutti gli altri prigionieri, per un motivo o per l’altro, erano andati ad ammucchiarsi davati. Forse era per quella enorme e sgualcita sciarpa nera, che gli copriva il viso, dandogli un’aria inquietante. Forse per quelle bende che gli ricoprivano ogni parte di pelle che usciva dai vestiti. Forse per i vestiti veramente a brandelli. O per la cappa di inquietudine che gli gravava addosso. O forse per gli occhi, che parevano capaci di scorgere al buio cose che gli altri non riuscivano a vedere: occhi gelidi ed attenti,ma lontani e inafferrabili,inquietanti per la loro contraddittorietà. Occhi che anche al buio apparivano a Koji Kabuto terribilmente familiari.

Forse,ma c’era dell’altro. Kabuto abbassò lo sguardo per osservargli le mani,fingendo di guardare altrove. Come tutti coloro che si rassegnano ad essere evitati dalla gente, l’uomo riusciva a sopportare senza sofferenza quella forma di esilio. E gli altri passeggeri avevano preso una decisione perfettamente plausibile,anche se l’avevano fatto in modo inconsapevole.

Si lascia sempre il maggior numero possibile di sedili vuoti tra noi e la Morte.

CAPITOLO TRE

La voce dell’uomo esplose nella testa di Koji come un tuono improvviso. “Kabuto! Koji Kabuto!”. Nessuno si svegliò e nessuno si mosse. L’uomo non stava parlando. Il suono era trasmesso direttamente affinché solo lui potesse sentirlo. Lo straniero usava la tecnica telepatica degli invasori, tecnica che Kabuto aveva incontrato più volte in passato. Cosa significasse tutto ciò, ancora non era chiaro. “ Tu che conosci il mio nome, rivelati! Dimmi che cosa vuoi!” provò a trasmettere Kabuto. L’uomo sembrò capire. “Ho fatto molta strada per venire ad incontrarti,Koji Kabuto, ora ascolta attentamente,perché quello che ti riferirò può cambiare molto il corso degli avvenimenti”. Kabuto sussultò, il tono dell’uomo era freddo come una lama nella sua testa, deciso e duro, ma con una strana aria familiare. “Deve essere importante, allora” “Sarai tu a deciderlo” rispose l’uomo,lentamente. “Io non ho visto di persona quello che sto per rivelarti,perciò mi è difficile giudicare. Penso che sarà difficile anche per te” “Racconta,allora” L’uomo si sistemò raddrizzando la schiena e si voltò a guardarlo nel buio. “C’è una strana attività nel Kanto,Kabuto” disse. “Il rapporto non viene dagli umani, che non amano recarsi in quei luoghi di devastazione, ma da altre creature, che vanno laggiù e a volte chiedono un compenso per riferire quello che hanno visto. Ciò che vedono adesso fa venire alla mente altri tempi,più cupi di questi” “Le rovine della battaglia di dieci anni fa” commentò Kabuto. “Un brutto posto ancora oggi,tutto rovine e ossa sparse. Tracce di energia di Ion rimangono ancora molto presenti in quella terra. Cos’hanno visto le creature di cui parli?” “Stranezze e cose insolite, più che altro. Fuochi accesi nella notte che al sorgere dell’alba sono già freddi. Piccole esplosioni di luce che suggeriscono qualcosa di più del legno che brucia. Odori acri che possono giungere solo da quei fuochi. Macchie scure su pietre piatte che hanno tutto l’aspetto di altari. Segni su quelle pietre che potrebbero essere simboli. Queste tracce erano occasionali sino ad un passato recente,ma ora si vedono quasi ogni notte. Strane cose che prese singolarmente non sembrano preoccupanti,ma che nel loro complesso assumono un aspetto minaccioso” Respirò a fondo. “Ma c’è dell’altro. Alcuni di coloro che si addentrano nel Kanto dicono che ai margini delle nebbie e dei fumi si muovono esseri privi di sostanza ma non ancora del tutto formati, riconoscibili come qualcosa di più del frutto dell’immaginazione. Si agitano come uccelli ingabbiati che cercano di liberarsi”

Kabuto si irrigidì al pensiero di ciò che poteva nascondersi dietro quegli avvistamenti. Gli invasori che avevano conquistato il pianeta, erano diversi da quelli che avevano combattuto la battaglia finale. Erano simili, proteiformi, mutaforma. Ma usavano una strategia diversa. Non attaccavano frontalmente. Si impossessavano dei corpi degli umani e li possedevano. Uno per uno, si impadronirono dei maggiori capi di stato e acquisirono il controllo delle forze militari dei singoli stati. Il mondo cadde in una settimana. Cosa stava accadendo ora? Cosa si nascondeva dietro gli avvenimenti del Kanto? L’energia Getter rimanente stava richiamando nuovi invasori? Oppure…

Quando Kabuto alzò nuovamente lo sguardo, l’uomo misterioso era sparito.

CAPITOLO QUATTRO

Non poteva più aspettare. Colpì il portellone che cedette di schianto e rotolò a terra, lasciando il furgone che si arrestò dopo pochi metri. Immediatamente due invasori dalla forma antropomorfa scesero dal furgone e il più vicino mosse alla carica contro di lui, mentre assumeva una sembianza sempre più animalesca. Kabuto corse sull’orlo della strada e vide un precipizio di quasi trenta metri. Non sarebbe mai riuscito a scappare da quella parte, con la sua gamba malandata. Più in la il burrone era meno scosceso. Ma adesso altri invasori-segugio puntavano su di lui, sbucando improvvisamente dall’erba. Non aveva scelta. Girò dietro il furgone proprio mentre un segugio caricava contro il fanalino posteriore frantumando la plastica.

Un terzo invasore si precipitò contro il retro del furgone costringendo Kabuto a saltare sulla ruota di scorta. Il colpo lo fece cadere a terra mentre gli invasori soffiavano intorno a lui. Si alzò, colpì con un pugno quello più vicino: “Maledetto bastardo. Non mi sottovalutare!”, poi corse al lato opposto della strada e si arrampicò sul pendio inoltrandosi tra il fogliame. Gli invasori non lo inseguirono. Ma quello non era un grande vantaggio…visto che si trovava sul lato sbagliato della strada.

In qualche modo doveva tornare sul ciglio opposto. Salì sull’altura e si guardò attorno imprecando. Decise di avanzare per un centinaio di metri, in modo da superare il punto in cui stranamente gli invasori si erano fermati, e poi attraversare la strada e raggiungere un riparo sul fondo della valle. Quasi immediatamente si trovò immerso in una folta giungla. La sua gamba cedette più volte, inciampò,scivolò lungo il pendio fangoso e quando si rialzò non sapeva più in che direzione procedere. Era in fondo ad un burrone, e i palmizi erano fitti e alti tre metri. In preda alla rabbia, avanzò tra la densa vegetazione sperando di riuscire di nuovo ad orientarsi.

Aveva poco più di undici anni ed era aggrappato alle inferriate della finestra: “Perché mi hai fatto venire qui?” “Per insegnarti una cosa” rispose l’uomo dagli abiti sgualciti, sempre avvolto nella sua sciarpa nera. “Andare in giro di notte di questi tempi, significa andare in cerca di guai”

“Che genere di guai?”
“Guarda” rispose l’uomo, con una voce bassa e intensa.
“Cosa c’è?”
“Un uomo”

Kabuto, ansante, bagnato e infangato,uscì dalla giungla. Perlomeno qui, in questa distesa pianeggiante, riusciva a capire dov’era. Si fermò per cercare di orientarsi. Scoprì presto delle baracche in lontananza. Davanti a lui si stendeva una vasta pianura erbosa solcata da un fiume. Era quasi deserta, con l’eccezione di qualche invasore fermo lungo le sponde. Chiaramente doveva seguire il corso del fiume fino a raggiungere le baracche, dove avrebbe potuto trovare riparo. Ma doveva stare attento a quei segugi che ancora gli davano la caccia. Quanto avrebbe impiegato a raggiungere la baracca più vicina? Quella era la questione fondamentale. Niente comunque che il pilota di mille battaglie con il primo dei grandi robot giapponesi non potesse affrontare,ferito o non ferito. Ma lui era ancora quell’uomo? Era ancora un pilota? Era ancora un eroe?...Non lo sapeva più…era tutto così confuso.

Mentre i suoi pensieri vagavano udì un sibilo da rettile, proveniente dall’erba alla sua sinistra. E notò uno strano odore di marcio. Si fermò. Alle sue spalle udì uno sciacquio.Veniva dal fiume. Si girò a guardare.

“E’ quell’uomo che si trovava sul furgone”, disse il ragazzino. “Ma perché se ne sta li fermo?” Da dietro le sbarre della finestra vedevano le forme scure dei segugi che avanzavano nell’erba sulla sponda opposta del fiume. Due di essi balzarono in acqua, puntando su Kabuto. “Oh,no!” gemette il ragazzino.

Kabuto vide due grandi segugi simili a enormi rettili attraversare il fiume. Avanzavano a balzi, reggendosi sulle zampe posteriori. I loro corpi erano riflessi nell’acqua bassa. Aprivano e chiudevano le mascelle, e mentre i loro innumerevoli occhi ruotavano vertiginosamente in tutte le direzioni, emettevano sibili minacciosi.

Guardando a monte Kabuto notò altri due invasori, seguiti da un terzo.Erano già nell’acqua profonda e avevano cominciato a nuotare. Il cuore gli battè forte, serrò i denti e strinse i pugni.

CAPITOLO CINQUE

Kabuto indietreggiò dalla sponda. Poi si girò e si mise a correre. Era immerso nell’acqua sino al petto e sentiva il cuore scoppiargli, quando improvvisamente un altro segugio-bestia si levò davanti a lui, ringhiando e sibilando. Si scansò e scappò in un'altra direzione, ma l’essere fece un balzo tanto alto da sollevarsi sopra l’erba, gli artigli pronti a colpire. Kabuto si girò di nuovo e il segugio,con uno strido, atterrò alle sue spalle. Kabuto non rallentò: era la rabbia a dargli la carica. Sentì il mostro ringhiare dietro di lui. Davanti ad una ventina di metri,si stendeva la fitta coltre della giungla. Forse avrebbe potuto seminarlo tra gli alberi e sfuggirgli. A sinistra vide un altro Invasore traversare diagonalmente la radura,diretto verso di lui. Sembrava avanzare a una velocità prodigiosa. Pensò: non ho scampo. Ma ci avrebbe provato.

Qualcosa cominciò a bruciargli nel petto, forte e pulsante come se fosse vivo. Il medaglione. Quel medaglione che non era suo…gli era stato donato da… Era confuso, la testa gli girava. Non riusciva a ricordare. Perché? Cos’era quel medaglione? Si ricordava che era un simbolo, un simbolo regale. Chi glielo aveva dato? E Quando?. Non riusciva a ricordare. Qualcuno che gli voleva bene, che voleva proteggerlo. Qualcuno che nel momento più buio gli chiese un favore. Cos’era successo alla sua memoria? Improvvisamente il medaglione sembrò rinvigorirlo, dargli forza. Kabuto strinse i pugni, il primo assalitore era vicino. Artigli gli esplosero addosso, ma incredibilmente lo mancarono. Kabuto era alle spalle del suo assalitore, e lo colpì. La creatura cadde come travolta da un maglio, con il ventre nel fondo fangoso.

Kabuto sapeva che non avrebbe potuto resistere a lungo, non aveva armi. Quegli esseri si rigeneravano, figuriamoci come avrebbe potuto sconfiggerli a mani nude. Schizzò verso gli alberi, senza fiato, i polmoni in fiamme. Altri dieci metri. Corse con tutta la forza della sua antica determinazione. Poi qualcosa lo colpì, buttandolo a terra, e lui sentì un dolore lancinante alla schiena e capì che dovevano essere nuovi artigli conficcati nella carne. Cadde pesantemente al suolo e cercò di rigirarsi, ma la creatura non mollò. Era inchiodato a terra,prono e nelle orecchie gli risuonava il ringhio minaccioso dell’Invasore. Il dolore alla schiena,già precedentemente ferita era lancinante, e gli dava le vertigini. Poi sentì il fiato freddo sulla nuca e il respiro sibilante e il terrore lo pervase. Era stato un eroe, aveva combattuto mille battaglie. Ma in quelle condizioni non poteva lottare, non poteva resistere. Nell’ultimo istante, un nome gli balenò nella mente. Era un nome caldo e rassicurante,proveniente da un passato lontano, e Kabuto lo pronunciò con la forza della disperazione,con quanto fiato gli rimaneva: “Da..Da…DAISUKEE!”

Qualcosa apparve dalla radura…o qualcuno. Rumore di passi fulminei. Kabuto sentì un tonfo sordo, ed improvvisamente non era più bloccato a terra. Un uomo era in piedi li accanto. Era tutto vestito di nero, la sciarpa enorme a coprirgli il viso, le bende su tutto il corpo, la testa abbassata. Era l’apparizione del furgone. Lo straniero lanciò a Kabuto una breve occhiata e poi si voltò. Erano circondati. Gli Invasori li avevano trovati. “Cosa credete di fare?” chiese l’uomo rivolto a quegli esseri. Incredibilmente, dalle loro mascelle irte di denti uscì un sibilo simile a parole umane: “ Ssssspostatii se non vuoi morire…non ssseeei tu ora che ci interesssi” Lo straniero si strinse nelle spalle. Aveva in mano qualcosa, ma la tenne nascosta. “E’ davvero così interessante questo ragazzo?”, “perché non lo lasciate andare?” suggerì a bassa voce. L’invasore più vicino gli si scagliò contro, artigli che volavano verso il suo volto. Ma lo straniero fu più rapido di lui e gli recise un arto con il coltello che teneva nascosto nella mano. Poi si fece avanti, un movimento agile, senza sforzo. Sollevò l’enorme coltello che calò una, due volte. Il primo colpo sventrò l’essere, facendolo piegare in due. Il secondo gli cadde sulla testa, facendolo crollare a terra come un albero abbattuto.

Per un istante nessuno si mosse. Poi, con un ululato di sgomento gli altri segugi-bestia attaccarono, sguainando artigli e digrignando le zanne mentre i loro occhi vorticavano all’impazzata. Sette conversero sulla solitaria figura nera. Con velocità felina, lo straniero bloccò l’assalto, facendo turbinare la grande lama. Altri due invasori crollarono con la testa spiccata di netto. I rimanenti si gettarono su di lui colpendo come impazziti, ma egli schivava, agile e disinvolto. Un luccichio metallico balenò improvvisamente sotto il cappotto nero, e una corta ascia comparve nella sua mano. Qualche secondo dopo,altre tre creature giacevano a terra colpite a morte.

Ora ne erano rimaste soltanto due. Lo straniero si piegò sulle ginocchia, facendo delle finte con il coltello. I due invasori si scambiarono un cenno di intesa e indietreggiarono. Poi uno vide Kabuto, mezzo nascosto nell’erba. Abbandonato il suo simile, saltò verso Koji,ma, con stupore di Kabuto stesso, una luce color smeraldo proveniente dal medaglione gli sbarrò la strada. Una barriera di energia lo stava avvolgendo per proteggerlo.

Distante qualche metro,lo straniero scattò con velocità incredibile. Avventandosi con la rapidità di un serpente, fece guizzare un braccio in avanti e il segugio rimase come paralizzato, un lungo coltello piantato nella nuca. Mentre l’ultimo lo assaliva alle spalle, una rotazione fulminea della sua ascia attraversò quell’essere immondo che rimase un attimo come sospeso. Poi crollò di schianto.

Mentre Kabuto ormai privo di sensi, giaceva stremato al suolo, lo straniero gli si avvicinò. Sotto i brandelli di vestito che gli nascondevano il volto, sembrava quasi sorridere. “Sei sempre ricco di sorprese,Koji…anche dopo tanti anni…” Un brivido corse lungo la schiena di Kabuto “Mio dio,no! Non può essere…tu sei…morto! Io ti ho visto morire!...” Un sorriso beffardo comparve sul volto dello straniero, mentre si toglieva la pesante sciarpa “Ma davvero…” Le forze abbandonarono Koji, che svenne stremato. Riuscì solo a pronunciare un ultima parola… “Ryoma”.

CAPITOLO SEI

Kabuto si risvegliò nel buio,al chiuso dentro quello che una volta era un negozio. Non riusciva quasi a muoversi e a malapena riusciva a parlare. In controluce Ryoma e un ragazzino rimanevano immobili alla finestra, guardando oltre la radura, dove gli alberi si facevano più fitti.

“Cosa c’è, Ryoma?” chiese sottovoce il ragazzino. Il pilota del Getter non si voltò. “Qualcosa sta arrivando, Jin.Ascoltate.” Koji si avvicinò.Aspettarono immobili accanto a lui. Così totale era il silenzio,ora,che persino il loro respiro risuonava aspro alle loro orecchie. Improvvisamente, ci fu un rumore, debole e cauto: un fruscio di foglie secche provocato da qualcosa che si muoveva. “La!” gridò Kabuto,indicando con la mano. Qualcosa si delineò tra gli alberi sull’altro lato della radura. Sempre nascosto nell’oscurità, si fermò improvvisamente, scorgendo i tre che lo osservavano. Per lunghi istanti, rimase immobile nel suo riparo, e occhi invisibili li fissavano, un’ombra silenziosa nel buio. Poi, rapido e deciso emerse dagli alberi. In Jin la sensazione di gelo si intensificò fino a paralizzarlo. Nessuno aveva mai visto niente di simile a questa creatura che ora si ergeva davanti a loro. Era d’apparenza quasi umana, eretta sulle zampe posteriori, ma ingobbita,le lunghe braccia che oscillavano in avanti. Era grossa, robusta e dotata di muscoli potenti. La pelle era di uno strano colore rossastro,tesa sul corpo forte; era glabra tranne che sui lombi, ricoperti di forti peli. Dalle dita delle mani e dei piedi spuntavano grandi artigli uncinati. Guardò verso di loro; aveva un muso bestiale,grottesco,schiacciato e ricoperto di cicatrici. Lucenti occhi gialli li fissarono, e il muso si aprì in un ghigno odioso, rivelando una massa di denti ricurvi.

“Che cos’è?” sussurrò inorridito Koji. “Quello che era stato promesso quel giorno” rispose piano Ryoma,la voce stranamente turbata. Il mostro rossastro avanzò verso di loro, di qualche passo fino ai bordi della radura. Poi si fermò, in attesa. Ryoma si voltò verso i due compagni. “E’ un demone Dilaniatore, un essere di un’altra era, di grande malvagità. In un epoca antecedente all’alba dell’uomo vennero cacciati dalla terra, da una forza che li bandì. Soltanto un’energia di uguale potenza ha potuto liberarla. ” Si raddrizzò e si avviluppò intorno al corpo il cappotto nero. “Evidentemente mi sbagliavo…gli Invasori hanno previsto che venissimo da questa parte. Soltanto nel Kanto,un luogo dove l’energia Getter vive ancora con estrema potenza, si poteva liberare una cosa come il Dilaniatore. Gli Invasori ci hanno mandato incontro un avversario assai più pericoloso di loro stessi.” “Possiamo batterlo insieme,Ryo” fece Kabuto coraggiosamente, “come facevamo un tempo!...dammi un’arma,presto!” “No.”Ryoma lo afferrò rapidamente per un braccio. “Questa battaglia è mia” Kabuto gli lanciò uno sguardo carico di speranza “Io credo che ora più che mai, ogni battaglia di questo viaggio debba essere combattuta da tutti” Ma Ryoma scosse il capo. “Non questa volta, figlio di Kenzo Kabuto. Hai già dato prova del tuo coraggio in infinite battaglie. Io non ho alcun dubbio in proposito. Ma il potere di questo demone va al di là delle tue possibilità Dovrò affrontarlo da solo”

“Ryoma,non farlo!” gridò improvvisamente Jin afferrandogli il braccio. Il pilota leggendario abbassò gli occhi sul ragazzino,e il volto consunto e gli occhi penetranti,capaci di vedere i sentimenti che lui voleva nascondere, esprimevano una triste determinazione. Si guardarono l’un l’altro,intensamente, e poi senza sapere perché, Jin lo lasciò andare. “Non farlo” ripetè a bassa voce. Ryoma si chinò a sfiorargli una guancia. Sull’altro lato della radura, il Dilaniatore uscì improvvisamente in un grido aspro che frantumò il silenzio dell’alba…un grido che era quasi una risata.

“Lasciami venire con te!” insistette Kabuto,già pronto a seguirlo. Il capo della squadra Getter gli si parò davanti. “Resta dove sei,Koji. Aspetta fino a che sarai chiamato” Gli occhi neri lo fissavano. “Non interferire in questo. Qualunque cosa succeda sta alla larga. Promettilo” Kabuto esitava: “Ryo, non posso…” “Promettilo!” “Ma dannazione Ryo! Perché!!! Abbiamo combattuto sempre insieme tu e gli altri ed io! Sempre fianco a fianco!!! Nel pericolo e nella morte! Perché non vuoi che venga!!!” Un attimo infinito di silenzio calò tra i due…poi Ryoma parlò “Perché quella cosa…quel demone…” Koji era stravolto dal furore “Si?! Cos’è quel demone!!!” “……..quel demone è stato mandato a riprendermi…quel demone ….quel demone è mio fratello MUSASHI TOMOE!!” Kabuto rimase davanti a lui ancora un attimo, poi abbassò lo sguardo in segno di resa…infine aveva compreso. “Lo prometto” annuì, con uno sguardo carico di commozione. Gli occhi di Ryoma si volsero per l’ultima volta verso il fanciullo,con un’espressione assorta e distante. “Abbi cura di lui,Koji!” sussurrò. Poi si voltò, uscì dalla porta e cominciò a scendere verso la radura.

CAPITOLO SETTE

Il sole che splendeva nell’azzurro cielo limpido dell’alba delineava nettamente i contorni dell’alta figura spettrale di Ryoma mentre si muoveva contro lo sfondo dei colori della foresta. Il calore e i profumi dolci dell’autunno veleggiavano nell’aria, un sussurro fastidioso per i sensi del guerriero, e tra gli alberi soffiava una brezza delicata che gonfiava il lungo cappotto nero.Fra le sue sponde erbose,ancora verdi come d’estate, il fiume scintillava azzurro e argento, e il suo luccichio si rifletteva freddo negli occhi del capitano della squadra Getter. Ora, davanti a lui, non vedeva altro che la forma liscia, rossastra che strisciava come un gatto giù per il pendio della piccola conca in cui si trovava la radura, gli occhi gialli stretti come fessure,il muso increspato. Ti prego,ritorna! Jin gridò le parole nel silenzio della sua mente.

Il Dilaniatore si mise a quattro zampe, e i muscoli si increspavano in nodi sporgenti sotto la pelle tesa mentre sulla sua bocca cominciava a formarsi la bava. Gli aculei si alzarono lungo tutta la ua spina dorsale, piegandosi secondo i movimenti del suo corpo mentre strisciava sulla radura illuminata dal sole. Sollevando il muso verso la figura nera davanti a lui, il demone gridò una seconda volta…quello stesso orrendo ululato che sembrava la risata di un folle.

Ryoma si fermò a una dozzina di metri da dove la bestia era accovacciata. Immobile, la fronteggiava. Sul suo volto duro, cupo, apparve un’espressione di tale spaventosa determinazione che a Kabuto sembrò che nessuna creatura vivente, per quanto malvagia,potesse resistergli. E invece il ghigno del Dilaniatore si allargò ancor di più;altri denti ricurvi apparverosul muso spaccato in due dalla smorfia maligna. C’era la follia negli occhi gialli.

Dalla radura spuntarono una decina di segugi invasori. Ryoma era circondato. Tese i muscoli e attese. Gli invasori scattarono. Uno dopo l’altro lo evitarono, scattando fulminei contro il Dilaniatore. Con un urlo bestiale il demone cominciò a farli a pezzi, zanne e artigli che mulinavano follemente. Gli invasori cadevano come fossero carta,e mentre il demone li dilaniava cominciava ad ingurgitarli. E mentre li ingurgitava , il demone cominciò a crescere. Ryoma all’improvviso capì. Gli invasori non lo stavano attaccando, si stavano sacrificando.

Sovrastato da un demone alto il doppio dell’albero più alto della radura, Kabuto vide Ryoma improvvisamente spacciato.

Colui che era noto come il pilota della leggenda, non arretrò di un millimetro. Sguardo di ghiaccio fermo sul mostro. Lo guardò sprezzante, con aria di sfida, poi emise il suo grido: “GETTAAAAAAAAAAR!!!!!!!!!”

Il fiume esplose. Dalle acque che si aprivano emerse qualcosa che Kabuto non aveva mai visto, un Getter One completamente nero. Aveva lame che fuoriuscivano dagli avambracci, un mantello scuro come la notte e due occhi organici che fissavano con una rabbia profonda come l’inferno il Dilaniatore, mentre il robot si chinava per raccogliere Ryoma e accoglierlo dentro la griglia aperta davanti alla bocca, che immetteva nella cabina di pilotaggio.

Kabuto non credeva ai suoi occhi. Un Getter Nero apparentemente senziente. E riconosceva Ryoma come suo pilota. Per un lungo, terribile istante, il Black Getter e il mostro si fronteggiarono nel silenzio profondo dell’alba autunnale e fu come se tutto il mondo intorno a loro cessasse di esistere. Di nuovo risuonò la risata del Dilaniatore. Si mosse di lato…con uno strano movimento oscillante. Poi ,con terrificante subitaneità, si scagliò contro Ryoma. Mai nulla si era mosso con tanta rapidità. Simile a una macchina confusa di furia rossastra,balzò da terra e investì il Getter.

Stranamente lo mancò. Il Black Getter pilotato da Ryoma non era un comune Getter One, e Kabuto se ne accorse immediatamente. Era più veloce del suo aggressore, e si scansò rapidamente come un’ombra dissolta nella notte. Il demone volò oltre il Getter,affondando gli artigli nella terra. Ruotando senza un attimo di pausa, si lanciò di nuovo contro la sua preda. Ma già Ryoma era pronto per il contrattacco: “GETTAAAAAAAAAAAR BEEEEEEEEEEEEEEEEEAAAAAAAAAM!!!!”

Dal centro del torace, il robot emanò il raggio di energia, che penetrò lacerante nel demone,buttandolo indietro mentre stava per calare su di lui. Cadde pesantemente per terra, in un groviglio di arti, mentre l’energia Getter lo bruciava ancora, gettandolo indietro finchè non andò a schiantarsi contro un grande edificio.

Ma sorprendentemente,quasi subito fu di nuovo in piedi. “Dannazione!” sussurrò Kabuto. Si avventò di nuovo su Ryoma, a zigzag per evitare il raggio che fluiva dal torace del Getter. Furioso, si scagliò contro il robot con la mortale rapidità di un serpente. Il raggio Getter lo trafisse di nuovo, spingendolo via, ma il Dilaniatore riuscì ad afferrare il Black Getter con gli artigli di una zampa, lacerandogli il mantello nero e affondandogli pesantemente nella lega polimorfica. Ryoma indietreggiò, barcollando, quasi contraendosi per la violenza dell’assalto, quasi perdendo il controllo dei comandi. Fra gli alberi il Dilaniatore,poco distante, si rimetteva di nuovo in piedi.

Cauti, i due antagonisti si fronteggiarono, muovendosi in tondo. Il Black Getter teneva due Tomahawk tesi davanti a se, per proteggersi, e il volto scuro di Ryoma era una maschera di furore. Ma ,dove passava, gocce di fluido biorganico striavano di nero il verde profondo dell’erba.Il muso del Dilaniatore si spalancò di nuovo in un ghigno maligno,folle. Spirali di fumo si alzarono dalla pelle rossastra dove il raggio Getter l’aveva bruciato, ma sembrava indenne. I muscoli di ferro si incresparono mentre si muoveva in una disinvolta e sicura danza della morte per stuzzicare la sua vittima.

CAPITOLO OTTO

Di nuovò attaccò con un tuffo rapido,fluido che lo portò davanti al Getter prima che potesse scagliare il suo raggio. Le mani del Black Getter si strinsero intorno ai polsi del demone,tenendolo dritto in modo che non potesse raggiungerlo. I denti ricurvi si avventarono maligni, tentando di azzannare la cabina di pilotaggio. Avvinghiati in quella posizione, i due avanzavano ed indietreggiavano attraverso la radura,contorcendosi e dibattendosi nel tentativo di conquistarsi un vantaggio. Poi , con uno sforzo tremendo, Ryoma scagliò il Dilaniatore lontano da se, sollevandolo in aria e buttandolo a terra. Immediatamente una scure comparve nelle mani del robot: “GETTAAAAAAR TOMAHAAAAAAWK!” andandosi a piantare nella schiena del mostro insieme alle lame dell’altro braccio con le quali Ryoma colpiva ripetutamente e con un furore folle la schiena del demone “Muori, maledetto Demone! Lasciami pregare in pace per l’anima di mio fratello! MUORI,CHE TU SIA DANNATO! Il mostro emise un grido alto e terribile, un ululato che sembrò agghiacciare tutti i boschi circostanti. C’era della sofferenza in quel grido,che però aveva una inspiegabile nota di esultanza. Il Dilaniatore saltò scartando di lato sotto i colpi infuriati del Black Getter, contorcendosi dal dolore, la potente mole rossa sanguinante e con la pelle a brandelli, ma viva. “GETTAAAAAAR BEEEEEEEEEEEEAAAAAAAAAAM!” Rotolò più volte sull’erba, una cosa pazza di furore, consumata dall’energia distruttiva ancora più cupa che le bruciava dentro. Si rimise in piedi, digrignando i denti ricurvi, luccicanti, gli orrendi occhi gialli accesi. Ama il dolore,comprese Kabuto inorridito. Si nutre di esso. Di nuovo il Dilaniatore si avventò contro Ryoma, balzando attraverso il bagliore dei raggi Getter, sfoderando gli artigli , e di nuovo il pilota si scansò appena in tempo, scagliando via la creatura con un potente colpo di scure. Kabuto seguiva ogni mossa, stupefatto dalla violenza e dalla velocità dello scontro; incapace di distogliere lo sguardo. Un pensiero ritornava costantemente alla sua mente. Il Dilaniatore era troppo persino per Ryoma. Forse il pilota più grande di tutti, aveva combattuto tante terribili battaglie,sopravvivendo; aveva affrontato creature spaventose nate dalle viscere dello spazio e della terra. Ma il Dilaniatore era un'altra cosa. Era una creatura inconsapevole e incurante della vita e della morte, la cui esitenza sfidava tutte le leggi della natura…un mostro animato da una selvaggia follia, un cuore di un amico distorto e corrotto dai poteri demoniaci, votato alla distruzione di Ryoma.

Un urlo lacerante esplose dalla gola della bestia mentre si scagliava di nuovo contro il Black Getter. Le pareti della baracca dove Jin e Koji erano rifugiati, rischiarono di implodere sotto quella terribile onda sonica. Ryoma muoveva così velocemente il Black Getter da erigere un muro difensivo col solo mantello tra se e il suo aggressore, raggi e scuri schizzavano come lampi da sotto il mantello contro il Dilaniatore che cercava inutilmente di aprirsi un varco. Il pilota era tutto concentrato a preservare la barriera, le braccia che sembravano scomparire sotto il mantello per la velocità dell’assalto. Poi,improvvisamente, abbassò le braccia con un movimento circolare, espandendo orizzontalmente ed abbassando il raggio Getter , che cadde come una rete sul Dilaniatore, divorandolo. “SHINIIIIIIIIING WEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEB” Per un attimo, il demone scomparve in una furibonda sfera di energia distruttrice. Contorcendosi e dimenandosi, cercava di fuggire, ma la rete di raggi del Black Getter si avvinghiava a lui tenacemente, trattenuto dalla forza di volontà simbiotica di Ryoma e del suo Robot. Per quanto si sforzasse, il demone non riusciva a liberarsene.

Le mani di Jin stringevano il braccio di Koji. Forse… Ma poi il Dilaniatore schizzò via dal Getter e dalla radura, scomparendo dietro le rocce. Era ancora nella morsa dei raggi Getter che però cominciavano già a dissolversi. Troppa era la distanza tra il robot e il demone, e Ryoma non poteva mantenere la sua presa. Ululando, il mostro si gettò in un bosco di pini, spaccando tronchi e rami, seminando brandelli di carne dappertutto. Il legno e gli aghi di pino si frantumavano e prendevano fuoco, e nuvole di fumo salivano tra le ombre.

Al centro della radura,Ryoma, sfinito, abbassò le braccia del suo Getter. Nella baracca, Jin e Koji aspettavano in un silenzio carico di tensione, fissando l’oscurità densa di fumo in cui era scomparso il demone. Sulla foresta era nuovamente calato il silenzio.

“Se n’è andato” sussurrò infine Jin. Kabuto non parlò. In silenzio, aspettava. Un attimo dopo, qualcosa si mosse tra i pini bruciati e carbonizzati. Koji sentì il gelo che l’aveva pervaso stringerlo in una morsa tremenda. Il Dilaniatore uscì dagli alberi, scivolò fino ai bordi della radura, il muso spalancato in quel ghigno odioso, gli occhi gialli luccicanti. Era indenne.

CAPITOLO NOVE

“Che diavolo è mai questo?” sussurrò Koji Kabuto Il mostro strisciò di nuovo verso Ryoma, col respiro rauco,ansimante. Un gemito basso,ansioso eruppe dalla sua gola, e il suo muso si sollevò come per intercettare l’odore del Black Getter. Davanti a lui, l’erba alta era striata del fluido bio-organico del robot,che macchiava il verde di nero. Il Dilaniatore si fermò. Lentamente, deliberatamente, si chinò sul liquido e cominciò a leccarlo. Il gemito si fece improvvisamente rauco di piacere. Poi attaccò. Con un solo,fluido movimento,si raccolse sulle zampe posteriori e si scagliò contro Ryoma. Il Getter sollevò le braccia, allargando il torace…ma troppo lentamente “GETTAA…AAAAARGGGGGGGHHHHHHH! MALEDETTO BASTARDO!”

Il mostro fu su di lui prima che potesse scagliare il raggio. Caddero tra l’erba alta rotolando e ruzzolando, avvinghiati insieme. L’attacco era stato così rapido che il demone era calato su Ryoma prima ancora che egli potesse sentire il grido di avvertimento di Koji. Il raggio Getter eruppe dal torace del robot, bruciando il ventre dell’aggressore avvinghiato, ma senza effetto. Gli artigli del Dilaniatore affondarono nel corpo del Black Getter, lacerandone il mantello e la lega polimorfica, penetrando fino alle strutture interne. Fu allora che dagli artigli del mostro, eruppe un energia mostruosa che dilaniò la struttura del robot. La testa di Ryoma sussultò e cadde all’indietro, mentre il dolore lo trasfigurava, un dolore che andava al di là della sofferenza fisica. Disperatamente, egli cercò di togliersi di dosso la bestia demoniaca, ma il Dilaniatore era troppo vicino e non c’era spazio per far leva contro il suo corpo.

“No!” si levò improvvisamente un grido dalla foresta. Un robot da battaglia vecchio modello, tenuto insieme come se fosse un ammasso di rottami, eruppe dagli alberi e si lanciò alla carica, stringendo con tutte e due le mani la lama scintillante di una grande spada. “MAZINGAAAA BLAAAAAAAADE!” gridò furibondo. Era un vecchio soldato, veterano di mille battaglie. Durante il primo armageddon, Ryoma gli aveva salvato la vita, e ora lui si sentiva in debito con lui. Da quando lo aveva ritrovato aveva cominciato a seguirlo. Non si rendeva conto che il suo robot era praticamente inservibile, tranne per la grande spada, appartenuta al Grande Mazinga, che il veterano aveva ritrovato tra le rovine, un giorno di tanti anni fa. Nella sua testa c’era un solo pensiero. Non poteva restarsene con le mani in mano mentre Ryoma moriva. Una volta lui lo aveva salvato;era il momento di ricambiare il favore.

“Torna indietro,vecchio! NON FARE SCIOCCHEZZE!” gli gridò Ryoma inutilmente. Un attimo dopo, il vecchio pilota aveva raggiunto i due avvinghiati in una lotta mortale. Sollevò la grande lama della Spada Diabolica e la calò in un arco scintillante, affondandola nel collo e nelle spalle del Dilaniatore, con la forza della disperazione,penetrando attraverso muscoli e ossa. Il demone indietreggiò, mentre un ululato spaventoso erompeva dalla sua gola, e il corpo rossastro si raddrizzava di scatto come se qualcosa gli si fosse spaccato dentro. “Muori,mostro!” gridò furibondo il vecchio, quando scorse nella cabina di pilotaggio la figura lacera ed insanguinata di Ryoma. Ma il Dilaniatore non morì. Un braccio muscoloso si alzò bruscamente e colpì il robot fatto di rottami in pieno volto con una forza terribile. Il vecchio cadde all’indietro, abbandonando la presa sulla Spada Diabolica. Subito il Dilaniatore gli fu addosso, ululando con frenetico piacere, come se quella sofferenza gli procurasse qualche immondo, incomprensibile godimento. Prese il malandato robot prima che cadesse, lo afferrò con gli artigli e lo gettò oltre la radura, dove il vecchio cadde a terra sbalzato dalla cabina. Il suo corpo si affievolì al suolo come una foglia morta, il collo rotto, penzolante da un lato.

Poi il Dilaniatore si raddrizzò. La grande lama della Spada del Grande Mazinga era ancora sepolta nel suo corpo. Allungando un braccio dietro le spalle, se la strappò via come se niente fosse. Esitò un istante, tenendo la lama davanti ai suoi occhi gialli. Poi scagliò la spada, in alto sopra le acque della cascata, dove cadde, per essere trascinata via come un qualsiasi tronco di legno, oscillando e ruotando nella rapida corrente. Il dilaniatore si girò di scatto verso il Black Getter. Sorprendentemente, Ryoma era nuovamente in piedi col suo robot, il mantello nero a brandelli macchiato di sangue del mostro e fluido bio-organico. Vedendolo ancora in piedi, il mostro sembrò impazzire del tutto. Ululando furibondo, si lanciò contro di lui. Ma questa volta Ryoma non cercò di fermarlo. Afferrandolo mentre era ancora a mezz’aria, chiuse le possenti mani del robot da lui stesso creato attorno al suo collo come una morsa. Incurante degli artigli che laceravano il Black Getter, costrinse il mostro per terra stringendogli sempre più le mani intorno al collo. Urla uscivano dalla gola lesa del Dilaniatore e il suo corpo rossastro si contorceva come un serpente trafitto. Ma le mani del robot continuavano a schiacciare, finchè il muso si spalancò, i denti che azzannavano e laceravano l’aria.

Poi, bruscamente, Ryoma infilò la mano destra nel torace del robot, squarciandolo sempre più in profondità. Un abbagliante luce esplose dal corpo del Black Getter, mentre Ryoma estraeva il reattore a raggi Getter che alimentava la sua creazione.

Come un fulmine infilò il reattore nella bocca aperta del mostro, mentre dispiegava ciò che rimaneva del mantello. “GETTAAAAAAAAAAAAAR WIIIIIIIIIIIIIIIINNNNNG!” I due avversari si ritrovarono in aria, staccati centinaia di metri dal suolo. Ryoma ripensò in quell’istante a tutti i suoi amici più cari: “Hayato… Benkei…Michiru”…poi guardò il mostro un ultima volta negli occhi…mentre questi si ricoprivano di lacrime. “….Musashi…sto per raggiungervi,fratelli miei, aspettatemi”. Poi, spinse il reattore in fondo alla gola del mostro, con tutto il braccio…e strinse. Il Dilaniatore fu daprincipio scosso da un’ enorme convulsione e i suoi arti si afflosciarono. L’esplosione immane si fece largo attraverso il corpo che sembrava invincibile, fino nel cuore di quell’essere. Solo per un istante tentò di liberarsi. Poi l’energia Getter eruppe da ogni parte, e il mostro esplose in un lampo accecante di luce verde che invase il cielo. Kabuto si voltò, proteggendosi gli occhi dal bagliore. Quando tornò a guardare, i rottami del Black Getter erano al suolo, e ciò che rimaneva di Ryoma era poggiato su un mucchio di ceneri carbonizzate.

Capitolo 10

Koji corse subito da Ryoma che giaceva mutilato, abbandonato in una posizione innaturale in fondo alla radura, il respiro lento, appena percepibile. Con delicatezza lo raddrizzò,le braccia strette intorno al corpo, la testa abbassata sul petto. Il suo lungo mantello nero era lacero ed inzuppato di uno strano liquido che non pareva sangue. Lentamente, anche Jin si inginocchiò accanto a lui, sconvolto nel vederlo così devastato. Ryoma sollevò stancamente la testa, e gli occhi duri fissarono quelli dei suoi amici.

“Sto morendo, Koji Kabuto” disse calmo. Lui cercò di scuotere la testa, ma Ryoma alzò una mano per fermarlo. “ Acoltami, amico mio, e anche tu Jin. Era stato profetizzato. Nella Valle del Kanto l’ombra di Ichigan Nagare, mio padre, mi disse che così doveva essere. Mi annunciò che me ne sarei andato dal mondo per non tornarvi più. Disse anche che ciò sarebbe accaduto prima di portare a termine la nostra missione”

Sussultò per una fitta improvvisa di dolore, e il suo volto si contrasse. “Ho creduto di poter eludere il destino. Ma gli Invasori…gli Invasori hanno trovato il modo di ricreare un Dilaniatore dal sangue di Musashi, sapendo forse…o sperando che mi avrebbe dato la caccia e mi avrebbe trovato. E’ un mostro di pura follia. Si nutre della propria sofferenza e di quella altrui. Nella sua pazzia, non ferisce soltanto il corpo del robot e il suo pilota ma anche lo spirito. Non vi è alcuna difesa contro di esso. Si sarebbe squartato da solo pur di vedermi distrutto. E’ un veleno…triste destino per Musashi, che in vita si sacrificò perché io vivessi…”

Nel pronunciare queste ultime parole fu preso da un accesso di tosse. Koji gli si avvicinò, lottando contro il dolore e la disperazione. “Dobbiamo fasciare le ferite Ryo, dobbiamo…” “No, Koji, è finita” lo interruppe lui. “Nessuno può aiutarmi. La profezia deve diventare realtà” Guardò lentamente attraverso la radura. “Ma tu devi aiutare Jin. Il suo tempo arriverà presto. Devi diventare il suo protettore ora…come mi avevi promesso” I suoi occhi tornarono a fissare quelli di lui. “So che Zeta non è andato perduto. Lo spirito che lo lega alla tua famiglia impedirà che si smarrisca. Deve…ritornare nelle mani del nipote del suo creatore…il fiume ti riporterà da lui…”

Di nuovo fu preso da un accesso di tosse, e questa volta si piegò in due per il dolore. Koji si chinò su di lui, lo prese tra le braccia, lo raddrizzò tenendoselo vicino. “Non parlare più” sussurrò, gli occhi pieni di lacrime. Lentamente, lui si scostò, raddrizzandosi. Koji aveva le braccia e le mani bagnate di un sangue che sembrava scuro come la notte.

Un debole,ironico sorriso guizzo sulle labbra del pilota leggendario. “ Gli Invasori credono che sia io la persona da temere…che io possa distruggerli.” Scosse lentamente la testa. “Si sbagliano. Tu hai quel potere, Koji. Tu sei l’unico che…nulla può resisterti” “Ma io…ma mio padre scelse Tetsuya per pilotare il Grande Mazinger…io e Zeta non siamo all’altezza…non siamo…” Gli occhi di Ryoma si fecero più duri e gli strinse il braccio in una morsa di ferro. “Ascoltami bene. Tuo padre era un grande uomo. Creò il Grande Mazinger e addestrò Tetsuya perché ti amava, e voleva salvarti dal destino che tuo nonno aveva in mente per te. Kenzo Kabuto aveva terrore dell’opera di suo padre; temeva il vero potere di Zeta. E io ti dico ora che egli aveva ragione, mio giovane ed ingenuo amico. Per chi lo possiede, l’energia di Mazinger Zeta può essere un agente della luce, ma anche delle tenebre. Sembra un giocattolo, ma non lo è mai stato. Sii cauto nell’usarlo. Zeta ha un potere quale non ho mai visto prima. Fa che resti tuo. Usalo bene, e ti porterà in salvo fino alla fine di questa missione. Usalo bene, e ti aiuterà a distruggere gli Invasori!” “Ryo, io non posso proseguire senza di te!” protestò lui a bassa voce, scuotendo disperato la testa. “Tu puoi e devi. Come accadde a me la prima volta che salii su Getter. Non c’è nessun altro”. Il suo volto grigio si abbassò. Lui annuì, ammutolito, senza quasi sentirlo,perso nel groviglio di emozioni che lo sconvolgevano mentre cercava di rifiutare l’inevitabile di quello che stava accadendo. Lui avrebbe rincontrato Zeta. Uno Zeta che forse non gli aveva mai rivelato tutti i suoi segreti.

“L’era è finita” sussurrò Ryoma e i suoi occhi neri luccicavano. “Anche la squadra Getter deve andare con essa.” Sollevò una mano per posarla dolcemente su quella di Jin. “Ma la missione che ci è stata affidata non deve finire con me. Deve essere trasmessa a coloro che vivono. E ora io l’affido a te. Avvicinati.”

Koji si chinò su di lui finchè la sua faccia fu davanti a quella lacerata del pilota. Lentamente, penosamente, egli fece scivolare una mano dentro il mantello lacero fino al petto, poi la ritirò nuovamente fuori, le dita gocciolanti di quello strano sangue dal colore metallico. Delicatamente gli sfiorò la fronte. Tenendo le dita posate sulla sua carne, calde del proprio liquido vitale, chiuse gli occhi e sembrò addormentarsi. Qualcosa, con quel contatto, sembrò filtrare in lui,riempiendolo di una vampata di eccitazione che balenò davanti ai suoi occhi in un’ondata di colore accecante, e poi sparì.

“Che…che cosa mi hai fatto?” chiese esitante. Ma Ryoma non rispose. “Aiutami ad alzarmi” gli ordinò. Lui lo guardò,stupito. “Ma non puoi camminare,Ryo !Sei gravemente ferito!” Una dolcezza strana, inusuale riempì gli occhi scuri. “Aiutami ad alzarmi,amico mio. Non dovrò andare lontano.” Riluttante, lui gli passò le braccia intorno alle spalle e con precauzione lo aiutò a sollevarsi da terra. “Accompagnami fino al fiume” sussurrò lui. Lentamente, barcollando, attraversarono faticosamente la radura deserta fin dove il fiume turbinava veloce verso est fra le sue sponde erbose. Jin li seguiva mestamente, in silenzio. Il sole continuava a splendere, caldo e amichevole, illuminando quel giorno di autunno. Era un giorno di vita, non di morte, e a Koji sfuggì una lacrima pensando che non sarebbe stato così per Ryoma.

Raggiunsero la sponda del fiume. Dolcemente Koji, aiutò l’amico a rimettersi in ginocchio, il volto pallidissimo chino per difendersi dalla luce. “Quando la tua missione sarà completata,Koji tu mi ritroverai qui.” Sollevò il volto verso quello di Jin. “Ora, allontanatevi”. Affranti, i due nuovi compagni indietreggiarono lentamente. Le lacrime scorrevano su entrambi i volti segnati dalla tragedia. Ryoma si voltò a guardarli per un lungo istante, poi si voltò di nuovo. Un braccio striato di sangue si sollevò verso le acque del fiume, alzandosi sopra di esse. Il fiume si quietò immediatamente, diventando placido e calmo come uno stagno. Un silenzio strano,cupo, calò su tutto. Un attimo dopo le acque immobili cominciarono a vorticare violentemente al centro e dalle profondità del fiume si levarono le grida che erano giunte dalla Valle dei Morti del Kanto…alte e penetranti. Risuonarono per un istante, poi di nuovo cadde il silenzio. Sulla riva, il braccio di Ryoma si riabbassò ed egli chinò il capo. Dal fondo delle acque, emerse la figura spettrale di Ichigan Nagare. Grigia e quasi trasparente contro la luce pomeridiana, l’ombra si erse sull’acqua del fiume, devastata e curva per gli anni. A Koji sembrò per un attimo che la figura tremolasse nel vento, e che il volto fosse improvvisamente divenuto quello del Professor Saotome. “Padre” Koji e Jin sentirono Ryoma chiamare a bassa voce. L’ombra avanzò verso di lui, scivolando, e pur restando ferma sulla superficie immobile del fiume. Arrivò davanti al guerriero inginocchiato. Poi si chinò lentamente e raccolse tra le braccia quel corpo martoriato. Senza voltarsi, ritornò indietro sull’acqua, cullando Ryoma tra le braccia. Si fermò nuovamente al centro del fiume e, sotto l’ombra, le acque ribollirono violentemente, sibilando e mandando spruzzi di vapore. Poi cominciò lentamente ad affondare nel fiume: così scomparve l’ultimo membro della squadra Getter, il pilota della leggenda,Ryoma Nagare. Il fiume rimase immobile un istante ancora, poi riprese a turbinare verso est. “Ryo!” gridò Koji. Soli, sulla riva del fiume, lui e Jin rimasero a lungo a guardare le acque che scorrevano veloci, aspettando una risposta che non sarebbe mai giunta.