Una Nuova Era
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Una nuova saga, una nuova generazione, una nuova era per il genere robotico!
SaotomeMondo
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Capitolo 11
Dopo pochi minuti, Il Great Mazinger e Venus Ace erano in volo diretti verso il ranch Shirakaba. Vi giunsero dopo un quarto d’ora circa di volo.
Tetsuya e Jun, dall’alto dell’abitacolo dei loro automi videro sotto di loro la fattoria e il Centro per le ricerche spaziali.
“Jun, perlustriamo per bene la zona, prima di atterrare.” Disse Tetsuya nel comunicatore.
“Bene!” rispose la ragazza dalla cabina di Venus Ace.
I due automi ruppero la formazione che avevano tenuto fino ad allora e presero ciascuno due diverse direzioni, continuando ad esaminare la zona.
Intanto alla fattoria, il passaggio dei due robots della Fortezza delle Scienze non era passato inosservato. “Lassù – gridò Goro rivolto agli altri. – Guardate lassù. Il Great Mazinger e Venus Ace! Tetsuya e Jun sono venuti a trovarci.” Hikaru e Midori, indaffarate ad accatastare il fieno, si voltarono nella direzione indicata da Goro. “Dove dove dove?” gridò il vecchio Danbei dalla cima della sua torretta. Nonostante fosse ancora claudicante, niente aveva potuto distoglierlo dalla quotidiana osservazione del cielo. Girò il telescopio dapprima a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra. Mise a fuoco per bene. “E’ vero è vero. E’ proprio lui. Ehiiii.” Rendendosi conto che non sarebbe stato udito, anche se urlava, Danbei si attaccò all’altopralante-radio. “Ehi! Ehi, Tetsuya, Jun. Venite qua! Venite giù.” Sbracciandosi come un forsennato. Hikaru, vedendolo agitarsi così sulla torretta gli urlò: “Ehi papà. Attento, così rischi di cadere!” Subito Danbei si calmò. L’idea di rompersi di nuovo una gamba non gli piaceva molto. Midori ridacchiò tra se. Lei non conosceva personalmente Tetsuya e Jun. Non era presente il giorno in cui il Mazinger Team era venuto in visita alla fattoria. Ma conosceva di fama i prodigi e l’eroismo del Great Mazinger e di Venus Ace. Ed era ansiosa di conoscerne i piloti.
Dall’alto dei cieli, Tetsuya , che ormai volava a bassa quota, vide tutta la scena, e sentì l’invito di Danbei dalla radio. Ridacchiò tra se. “Danbei non cambierà mai. E’ davvero un vecchietto pieno di energie.” Un cicalino, che improvvisamente aveva cominciato a suonare, attirò l’attenzione di Tetsuya. Subito i suoi occhi si rivolsero verso la strumnebtazione per capire cosa era scattato. Si trattava del contatore geiger. “Radiazioni protoniche? Ma come è possibile? E poi, queste letture….” Si mise in contatto radio con Jun. “Jun, stai ricevendo anche tu le stesse letture che ho io qui sul geiger?” “Si, Tetsuya. Debolissime, ma in questa zona ci sono delle radiazioni protoniche. E questa frequenza…” “Radiazioni da vegatron.” Concluse Tetsuya. ‘Come mai proprio radiazioni da vegatron. L’esercito di Vega ormai è stato sconfitto. Non dovrebbero più esserci radiazioni simili qui sulla Terra.’ Tetsuya riprese la comunicazione. “Jun, andiamo al centro ricerche. Sentiamo che ci dice il dottor Umon su queste misteriose radiazioni.” “Bene.”
In basso, vedendo che il Great e Venus si stavano allontanando, Danbei ricominciò a sbracciarsi. “Ehi. Ehi. Non ve ne andate così. Venite a trovarci.” Di nuovo Hikaru lo riprese. “Stai calmo papà. Probabilmente stanno andando al Centro Ricerche. Vedrai che poi verranno a trovarci.” Al che il vecchio Danbei rispose: “Se mi fanno la sgarberia di andarsene senza venire a trovarci, la prossima volta li accolgo a fucilate. Ecco!”
Il Great e Venus atterrrarono, dolcemente ed elegantemente, davanti al centro ricerche. Appena ebbero toccato il suolo… “Fire Off!” “Queen Star Out!” I due veicoli che costituivano la cabina di pilotaggio dei robot, si staccarono dagli alloggiamenti posti nelle teste, e planarono lentamente fino a toccare terra. I cupolotti trasparenti si aprirono. Tetsuya e Jun smontarono dai loro veicoli. Il dottor Umon si fece loro incontro. Sapeva del misterioso fuoco fatuo che aveva fatto visita a Hikaru durante la notte (aveva assistito alla comunicazione), ma non aveva immaginato che Tetsuya e Jun sarebbero venuti al centro ricerche. “Oh Tetsuya. Jun. Ben arrivati. Cosa vi porta qui?” disse il dottore, porgendo la mano a Tetsuya. “Buongiorno dottor Umon.” Tetsuya strinse la mano al dottore. Poi spiegò. “Abbiamo ragione di credere che ci sia qualcosa che non và in questa zona. Prima, volando qua intorno il geiger è scattato segnalandoci radiazioni da vegatron.” “Radiazioni da vegatron? Qui? Ma non è possibile.” Disse il dottore. “Controlliamo subito.” Si diressero verso la sala di controllo. Il dottore pigiò un pulsante, spostò alcune leve, manovrò delle rotelle sulla consolle principale. Sul monitor comparvero delle frequenze. “Qui non leggo nulla di anormale.” Disse il dottore… “Provi ad allargare la frequenza su un raggio più ampio, e su una superficie più estesa.” Suggerì Tetsuya. Il dottore fece come gli era stato detto. Un cicalino cominciò a squillare. “Perbacco. Avevi proprio ragione, Tetsuya. Radiazioni protoniche. Debolissime. Insufficienti per fare danni di qualsiasi tipo, ma ci sono. E sono localizzate….vediamo…Umon armeggiò con altre leve e pulsanti. Sullo schermo comparve una piantina geografica dell’area. Una lucetta indicava il punto preciso dove erano localizzate le radiazioni. Umon si fece bianco in volto. “Li c’è la fattoria dei Makiba.” “Me lo sentivo - disse Tetsuya - Forza. Corriamo là.” Tetsuya e Jun rimontarono in tutta fretta nel Brain Condor e Queen Star. Presero quota e si diressero verso la fattoria, lasciando i robot “posteggiati” davanti al laboratorio. Il dottor Umon e i tecnici, invece, usarono il furgone-laboratorio portatile dell’istituto. Dopo pochi secondi giunsero alla meta. Brain Condor e Queen Star atterrarono proprio al centro del ranch. Tutti quanti si fecero loro incontro. Hikaru e Goro furono i primi a salutare i visitatori. “Ben arrivati.” Disse Goro allegro. Hikaru, invece, ne approfittò per apostrofare il padre: “Hai visto? Che ti avevo detto?” Anche Midori si fece avanti, presentandosi. Jun le strinse la mano per prima: “Piacere Midori.” Arrivò anche il furgone dall’Istituto per le Ricerche Spaziali. Danbei, sorridente e allegro li invitò ad entrare: “Su, su. Non statevene li impalati come statuine. Venite dentro.” Seduti attorno al tavolo, Hikaru raccontò di nuovo quello che era accaduto la notte precedente. Il misterioso fuoco fatuo le si era palesato poche ore prima dell’alba. Il racconto era del tutto identico a quelli di Tetsuya, Jun e Sayaka, a parte il particolare del colore, che nel caso di Hikaru era stato giallo per tutto il tempo. Tetsuya raccontò dei rilevamenti che aveva fatto in volo, e poi di quello che avevano scoperto al laboratorio. Umon si rivolse a Danbei. “Danbei, dobbiamo perlustrare la fattoria palmo a palmo con i contatori geiger.” “Va bene. Basta che non facciate danni e che non mi spaventate le bestie.” “Non ti preoccupare.” Dopo aver preparato l’attrezzatura, cominciarono ad esaminare la fattoria. Percorsero ogni centimetro di terreno palmo a palmo. Improvvisamente, il rilevatore in mano a Tetsuya scattò, come impazzito. “Là.” Disse il pilota del Great indicando la stalla dei cavalli. “Le radiazioni provengono da lì dentro.”
Capitolo 12
Tetsuya entrò nella stalla dei cavalli, con la massima prudenza. Il bip bip del contatore si fece via via piu squillante man mano che si inoltrava nella stalla.
Tetsuya mosse il geiger a destra poi a sinistra cercando di individuarne la fonte. Improvvisamente il suono del contatore divenne continuo. Tetsuya si guardò intorno. Tra i cavalli, tutti bellissimi, ve ne era uno tutto nero, con l’unica eccezione di una croce bianca sulla fronte, che sembrava quasi una cicatrice. Era strano che in quella zona ci fosse un cavallo del genere. Tetsuya avvicinò il contatore geiger. La lancetta scattò in avanti, come impazzita.
“Sei tu la fonte della radiazione.” Disse Tetsuya impugnando la pistola riposta nella fondina, sul fianco destro.
Vistosi scoperto, il cavallo si impennò, rompendo la sbarra che lo teneva rinchiuso. Provò a caricare Tetsuya, ma questi lo evitò abilmente gettandosi di lato. Gli altri cavalli erano ormai molto nervosi, stavano scalpitando.
Tetsuya impugnò la sua pistola. Era sul punto di sparare. Non lo fece.
‘Se adesso sparo, gli altri cavalli si spaventeranno ancora di più. Sfonderanno il recinto, ed io verrò travolto. Devo spingere quella bestia fuori da qui.’
Tetsuya e il cavallo nero si guardarono dritto negli occhi, girandosi intorno.
‘Forza bello. Fuori di qui. Fuori.’ Sembrava dirgli Tetsuya con gli occhi. Puntò ancora una volta la pistola contro il cavallo dal manto nero. Premette leggermente sul grilletto. Stava per sparare.
In quel momento il cavallo si impennò di nuovo, nitrì selvaggiamente, ed uscì di corsa dalla stalla, scavalcò il recinto e fuggì verso i boschi.
Tetsuya, scampato il pericolo, montò sul Brain Condor, inseguendo la bestia.
Nel vedere quella scena, Hikaru esclamò: “Ma quello è il cavallo che abbiamo catturato qualche mese fa e per domare il quale mio padre si è rotto una gamba.”
Jun montò sulla Queen Star dirigendosi verso il laboratorio.
Tetsuya intanto cercò di colpire la bestia con le armi del Brain Condor.
“Condor Beams”. I cannoncini posti sulle ali del rosso volatile meccanico emisero dei laser rossi. La bestia le evitò agilmente, schivando di lato e continuando la sua folle corsa.
“Condor Missiles” Dagli stessi cannoncini partirono due piccoli missili. Anche questi furono evitati. Esploserò sul terreno.
“Maledizione!”
L’inseguimento continuò ancora per qualche minuto. Il cavallo, nella sua folle corsa, non si era accorto di essere arrivato ad un promontorio. Frenò bruscamente.
Tetsuya, nell’abitacolo del Brain Condor sorrise: “Capolinea, bello! Non mi scappi più.”
Invece Tetsuya dovette ricredersi.
Un forte bagliore rossastro si sprigionò dalla croce bianca sulla fronte della bestia, come se fosse stato improvvisamente attivato qualche meccanismo.
In pochi istanti, lo scuro cavallo crebbe, fino a diventare gigantesco. Dove prima c’era la cicatrice a forma di croce, ora spuntava un grosso corno, che aveva tutto l’aspetto di una trivella. Gli occhi erano iniettati di sangue, e tutto il corpo dell’animale era rivestito di uno strano metallo.
Il cavallo non perse tempo. Vomitò fiamme dalla bocca. Tetsuya non si fece cogliere impreparato. Tiròla cloche verso di se, spingendola contemporaneamente verso sinistra, eseguendo una virata perfetta. Le fiamme lo mancarono di poco.
Ora toccava a lui attaccare. Eseguendo un perfetto loop si riportò sulla verticale del cavallo, sparando i condor missiles.
I missili si infransero sulla corazza metallica della bestia. Senza interrompere la sua picchiata, Tetsuya provò con i raggi. Ancora niente da fare.
Con estremo sangue freddo, Tetsuya eseguì alcune manovre acrobatiche, svolazzando intorno a quell’enorme cavallo proprio come se fosse una mosca, attaccando di tanto in tanto con i raggi e i missili.
‘Devo tenerlo lontano dalla fattoria’ pensò Tetsuya.
Improvvisamente, un missile si abbattè sul cavallo, senza procurargli alcun danno. Jun era accorsa in aiuto di Tetsuya con Venus Ace.
“Bravissima Jun. Cerca di distrarlo mentre io vado a prendere il Great Mazinger.”
“Lascia fare a me.”
“Stai attenta. Tieniti distante. Approfitta del fatto che puoi volare e lui no, e tieniti a distanza finchè non arrivo.” Tetsuya era sinceramente preoccupato per Jun. Ormai non era più solo un “commilitone”. Era la sua compagna. Anzi, lo era sempre stata, nel bene e nel male.
Tetsuya si diresse a tutta velocità verso il Centro Ricerche Spaziali.
Il Great Mazinger, in piedi davanti al centro ricerche, sembrava come addormentato, in attesa che qualcuno lo risvegliasse. Gli occhi erano spenti, privi di vita.
Tetsuya, eseguendo una perfetta manovra di avvicinamento, si posizionò nella testa del robot con il Brain Condor.
“Fire On!”
Gli occhi del Great si illuminarno. La potenza fotonica scorreva nuovamente nel corpo del gigante d’acciaio.
“Scramble Dash!” Le ali rosse, poste nell’alloggiamento della schiena del robot, si dispiegarono, in tutta la loro maestosità. Il Great sollevò le braccia verso il cielo e decollò.
Jun, intanto, se la stava vedendo con quel mostruoso cavallo. Come le aveva suggerito Tetsuya, si teneva a distanza, attaccando solo di tanto in tanto.
“Photon Missiles!” Due missili partirono dal petto di Venus Ace, andando ad esplodere sul cavallo. Non avevano causato alcun danno. Gli occhi del cavallo si illuminarono, emisero dei raggi rossastri, probabilmente al vegatron. Jun, con una manovra azzardata, li schivò abilmente. Poi attaccò di nuovo.
“Photon Beam!” Gli occhi di Venus si illuminarono. Un raggio di colore rosa partì dai suoi occhi, centrando in pieno il mostruoso cavallo. Ancora una volta questi era indenne.
“I Photon Beam non gli fanno niente!” esclamo Jun inorridita.
Il cavallo, infastidito e rabbioso, spiccò un poderoso balzo, in direzione di Jun. Ma fu respinto. Era stato colpito da qualcosa.
Il cavallo mostro stramazzò a terra, mentre il Drill Pressure Punch si ricongiungeva al braccio del Great.
“Vai via, Jun. Lascia fare a me.”
“Stai attento, Tetsuya. Questo mostro sembra invulnerabile.”
“Ho visto. Su, vai ora. Metti al sicuro gli occupanti della fattoria e gli abitanti del luogo. Non so se riuscirò a battere questa bestia.”
Per la terza volta da quando era salito sul Great, Tetsuya aveva dubitato delle sue possibilità. La prima era stata contro quel gigantesco mostro guerriero di Mikene che aveva quella enorme corona solare; la seconda era stata contro il mostro mangiametalli; la terza ora.
Tetsuya atterrò. Puntò di nuovo le braccia.
“Drill Pressure Punch.” Sei taglientissime lame spuntarono dagli avambracci del Great. Poi, gli stessi cominciarono a roteare vorticosamente, e quando ebbero raggiunto una certa velocità, avambraccio e pugni si staccarono dal gomito, dirigendosi verso il corpo dell’enorme bestia.
Niente da fare. I Drill Pressure Punche riuscirono solo ad allontanare la bestia di qualche metro, grazie alla spinta prodotta dai razzi, ma non riuscirono a perforarne la corazza. I pugni tornarono indietro, riattaccandosi ai gomiti del robot.
“Nerble Missile” Un portellino si aprì nella zona del ventre, scoprendo un missile dalla testata rossa, pronto per essere lanciato. Il missile, dopo aver acceso i reattori, partì, ed esplose senza risultati sul corpo del mostro.
A questo punto, però, la pazienza del mostro era al limite. Fece un enorme balzo verso il Great, protendendo gli zoccoli anteriori.
Tetsuya non fece in tempo ad evitarlo. Il Great si prese il micidiale calcio direttamente in petto. Fu sbalzato lontano di alcuni metri, a causa dell’impatto.
Il Cavallo fu di nuovo su di lui. Stavolta dagli zoccoli anteriori spuntarono due piccole trivelle, che cominciarono a girare vorticosamente. Il cavallo-mostro abbassò con forza la zampa anteriore destra sulla spalla del great. La trivella dopo qualche attimo di resistenza, penetrò senza difficoltà nel corpo si Super Lega NZ del Great.
“Incredibile. Riesce a perforare la Super Lega NZ. Ma di cosa è fatto?”
Non c’era il tempo per pensarci. Tetsuya urlò un altro comando vocale.
“Great Typhoon!” Le griglie poste sulla bocca del Great si aprirono emettendo un vento di tempesta dalla forza micidiale. Tanto forte da sollevare in aria quel cavallo mostruoso e sbalzarlo lontano dal Great.
Il Great si rialzò. Si toccò la spalla nel punto dove era penetrata la punta di quel micidiale arnese. Dell’olio fuoriusciva copiosamente dalla “ferita”, ma il funzionamento del Great, per fortuna, non ne era pregiudicato.
“Great Boomerang.” Il Great, incurante della ferita, afferrò la grande V rossa che aveva incastonata in petto, prese la mirà, lanciò, mirando alle gambe del cavallo, che nel frattempo si era rimesso in piedi.
Il boomerang eseguì una traiettoria zigzagante, poi, andò a colpire le gambe del mostruoso cavallo. Ma questi non si scompose per niente. Diede un calcio al boomerang, che ritornò verso il destinatario. Il Great lo afferrò al volo e tornò a sistemarselo sul petto.
Il cavallo approfittò dell’attimo di distrazione, e caricò il Great a testa bassa. La trivella che gli faceva da corno stava girando vorticosamente. Tetsuya si preparò a parare l’attacco, ma, a sorpresa, la trivella si staccò dalla testa del cavallo. Era un missile.
Senza perdere altro tempo Tetsuya sparò un Nerble Missile. I due missili si scontrarono ed esplosero.
Ma altri due missili tirvella erano stati lanciati nel frattempo, ed esplosero dopo aver penetrato di poco il corpo del Great.
Il cavallo era ora di nuovo sopra il Great. Vomitò vegatron dalla bocca e dagli occhi. Era una quantità letale.
Tetsuya ne fu stordito per un attimo. Ma un guerriero come lui era abituato a reagire in fretta.
“Breats Burn!” Dalla V incastonata sul petto del Great partì il raggio, di un calore insopportabile. Il cavallo ne fu momentaneamente disturbato, tanto che abbandonò la presa sul Great.
A questo punto, Tetsuya decise di usare la sua arma più potente.
“Thunder Break!” Le corna del Great si illuminarono per un istante. Poi l’aria attorno ad essi sfrigolò. Una corrente elettrica di diecimila volts formò un ponte sopra la testa del Great, tra le due corna. Il Great alzò la mano, convogliò la scarica nell’indice destro, e poi lo puntò in direzione del cavallo. Il fulmine partì dall’indice del Great, colpendo il corpo del cavallo. Il Thunder Break, insapettatamente, sortì il suo effetto. Il cavallo ne fu disturbato, sembrava quasi che ne soffrisse. E tuttavia, ancora non era c’era alcun danno in quello strano metallo che lo ricopriva.
‘Il mostro sembra sensibile all’elettricità. Vediamo che succede aumentando il voltaggio.’
“E’ giunto il momento di testare le modifiche apportate al Great Mazinger” gridò Tetsuya. Jun lo sentì, attraverso il microfono. “Tetsuya. Non farlo! E’ troppo pericoloso.”
“Non ti preoccupare Jun. Non ho intenzione di morire proprio adesso che….” Tetsuya non finì la frase.
Trovò la manopola del voltaggio sul quadro comandi. La girò fino a 50.000
“Mazin Power! Potenza massima!” Il Great si rialzò. Nuova energia sembrò scorrere nel suo corpo d’acciaio.
“Thunder Breaker!” Di nuovo, il ponte elettrico si formò tra le corna del Great, e di nuovo questi alzò la mano. Ma stavolta, invece di convogliare quell’enorme potenza in un solo dito, la convogliò in tutte e cinque. Poi puntò la mano contro il cavallo. Un raggio da 50.000 Volts si sprigionò dalla mano del Great, andando a colpire il cavallo. L’effetto fu quello sperato. Il cavallo assunse un aria sofferente. Nitrì come in preda agli spasmi, indietreggiò.
Tetsuya, all’interno del Brain Condor, fece fare un ulteriore giro alla manovella. 100.000.
Il ponte elettrico tra le corna del Great aumentò ancora di potenza. Ora tutto il corpo del Great brillava di una luce accecante. Sollevò l’altra mano, convogliando potenza anche nella mano sinistra, poi unì i palmi delle mani, puntando di nuovo al cavallo.
“Thunder….Maximum….Break!” urlò Tetsuya.
Tutta l’energia convogliata nel Great fuoriuscì dai palmi delle mani, sparando un raggio di immane potenza, un fulmine da 100.000 Volts.
Il cavallo nitrì ancora, assumendo un’aria ancora più sofferente, come se fosse certo di essere ormai prossimo alla morte. Delle crepe si formarono in tutto il suo corpo. Per qualche strana ragione il metallo che lo ricopriva non era più invulnerabile, ma anzi, era diventato fragilissimo. Tetsuya se ne accorse.
“E per finire, Mazinger Blade!” La lama fu lanciata dal suo alloggiamento nella coscia del Great, finendo prontamente in pugno al robot.
Tetsuya si concentrò, brandendo la spada davanti a se. Poi, con essa, eseguì un cerchio perfetto. Infine, si lancio contro la bestia, vibrando un micidiale fendente.
Il corpo del cavallo si divise in due, e poi, dopo alcuni decimi di secondo, esplose in mille pezzi. Il corpo del Great, in piedi, vittorioso, stava fumando per il calore. La potenza usata era stata davvero tanta. Ancora un po’ ed il Great sarebbe esploso per il sovraccarico.
Dentro il Brain Condor, Tetsuya sorrise. “Ce l’abbiamo fatta, vecchia ferraglia. Io e te insieme, siamo immortali.”
La voce di Jun si fece sentire nel microfono: “Tetsuya stai bene?”
“Si Jun, sto bene. E’ tutto a posto.”
“Meno male. Mi hai spaventato a morte, lo sai?”
“Non dovevi preoccuparti. Non sai che io e il Great siamo invincibili?” disse Tetsuya allegro. La preoccupazione di Jun per lui, gli aveva fatto piacere, anche se non l’avrebbe mai ammesso.
Jun, dalla cabina di Venus Ace lo apostrofò con “Scemo!”, ma si capiva del tono rotto della voce che era in lacrime. Lacrime di sollievo per la salvezza di Tetsuya, del suo compagno.
Tetsuya aprì un canale di comunicazioni con l’Istituto di Ricerche sulla Foto Potenza.
“Sayaka, contatta immediatamente il laboratorio Saotome. Che preparino immediatamente le apparecchiature per il trattamento anti radiazioni. E organizzati con Ryoma per spargere lo spray anti radioattività. Questa zona è stata contaminata dal vegatron, e deve essere bonificata al più presto.”
“Vado.” Rispose Sayaka nel monitor.
Era ormai il tramonto alla fattoria Shirakaba. Le figure del Great Mazinger e di Venus Ace si ergevano imponenti nella luce serale, strenui difensori della pace dell’umanità.
Capitolo 13
Pianeta Fleed.
Koji aveva finito di prepararsi. Dopo l’incidente allo spazioporto, erano tornati tutti a palazzo. Dopo essersi occupati di Rui Lamù, Duke aveva fatto preparare tutto per il pranzo informale che si sarebbe svolto di lì a poco.
Koji era tornato nei suoi alloggi e dopo aver fatto la doccia, aveva tirato fuori il vestito elegante dalla valigia dove l’aveva riposto.
Per quanto lo guardasse, non aveva fatto ancora l’abitudine a vedersi addosso “quell’abito da pinguino”, come lui lo definiva.
Ma questa era un’occasione importante. Non voleva sfiguare. Maria sarebbe stata di certo bellissima, nei suoi abiti di principessa, e lui non doveva essere da meno.
Controllò che l’abito non avesse pieghe. Vedendo l’etichetta di Armani non potè fare a meno di ricordare come era avvenuto l’acquisto di quell’abito prima che lui partisse.
Quando aveva preparato i bagagli, Tetsuya aveva insistito perché portasse con se anche un paio di abiti eleganti.
‘Ma che me ne faccio nello spazio’ gli aveva chiesto Koji.
‘Nello spazio nulla. Ma una volta arrivato su Fleed, dovrai probabilmente prendere parte ad incontri, cene ufficiali, e tutto questo genere di formalità. Quindi è importante che tu sia elegante.’
Koji si era trovato in imbarazzo. Gli era seccato ammetterlo, ma Tetsuya aveva avuto perfettamente ragione. Avrebbe dovuto scendere in città per fare compere. ‘Che barba!’ aveva pensato.
Aveva chiesto a Tetsuya e Jun di accompagnarlo. Loro avevano accettato.
‘Però guarda che io non ne capisco niente di abiti.’ Lo aveva avvertito Tetsuya. Jun gli aveva fatto eco ‘Nemmeno io.’
Già, loro non avevano avuto il tempo per occuparsi di queste cose.
Avevano provato a chiedere a Sayaka se li accompagnava a fare spese. Ma lei aveva rifiutato. Da quando Koji aveva espresso chiaramente la sua preferenza per Maria, Sayaka sembrava avercela a morte con lui.
Koji sospirò.
Poi, Jun aveva avuto l’idea risolutoria. ‘Perché non proviamo a chiedere a Michiru ed Hayato se ci accompagnano?’ Era stata davvero un’ottima idea. Loro ne capivano sicuramente di più, dal momento che la guerra non era stata sempre parte integrante della loro vita. Si erano trovati tutti e cinque all’aeroporto. Poi, con un’ora di treno avevano raggiunto Tokyo. Erano andati in giro per negozi. Hayato si era comprato un paio di camicie nuove. Michiru invece aveva optato per un abito semplice ma alquanto provocante. Koji, Tetsuya e Jun invece avevano vuotato completamente il loro portafogli. A consigliare i ragazzi ci aveva pensato Hayato, mentre a Jun ci aveva pensato Michiru, facendole fare anche tutta una serie di ‘operazioni di ripulitura’, dall’estestista, al parrucchiere. Alla fine sembravano tutti e tre al top dell’eleganza. Non si sarebbe minimamente pensato che fino a qualche mese prima erano dei valenti guerrieri che pilotavano dei fortissimi robots. Per finire la serata in bellezza, erano andati tutti al karaoke e poi a cena. Era stata davvero una magnifica giornata per tutti.
Koji sorrise ripensando a quegli avvenimenti. Si vestì con cura. Si fece il nodo alla cravatta, non senza qualche difficoltà. “Accidenti a questo affare. Non riesco mai ad annodarlo bene…” Si guardò allo specchio per un’ultima volta. Il nodo non era proprio perfetto, ma poteva andare. Koji uscì dalla stanza, diretto verso il salone principale. Incontrò Duke e Maria nel corridoio. Duke era elegantissimo nella veste ufficiale del re di Fleed, e Maria era semplicemente splendida nel suo abito da sera chiaro, semplice ma molto elegante. Koji restò a bocca aperta, abbagliato dalla bellezza della ragazza. Era sempre stato abituato a vederla in abiti comuni, oppure in abito da combattimento. Vederla così elegante e bellissima era al di là della sua immaginazione più fervida. “Allora, Koji, sei pronto? Guarda che voglio che mi accompagni a braccetto dentro la sala.” Koji arrossì. Era come ufficializzare il loro rapporto. “Maria, sei bellissima.” Le disse il ragazzo. Maria si avvicinò a lui e gli aggiustò il nodo della cravatta. Lo baciò, velocemente. “Ecco, così sei perfetto.” Duke sorrise, ma era un sorriso velato da un po’ di malinconia. Il suo pensiero corse ad una persona che gli era molto cara, ma che ora si trovava sulla Terra: Hikaru non aveva potuto raggiungerlo su Fleed. Fu solo un momento. Disse, in tono amichevole, ma serio: “Su, andiamo.” Furono gli ultimi a entrare nella sala. Koji teneva alta la mano di Maria, come lei gli aveva chiesto. Duke li precedeva. Prima di iniziare il pranzo, Koji fu presentato a tutti i leader delle varie etnie che vivevano su Fleed. La regina Daria, dei Zelani, era una donna di mezza età, ma molto affascinante. Aveva il classico aspetto dei Zelani: orecchie a punta e occhi molto penetranti. I Veghiani avevano optato per un sistema democratico, visti i precedenti. Erano rappresentati da un presidente. L’ex generale dell’esercito Guldo rappresentava l’etnia di Vega su Fleed. Era una persona dall’aspetto molto autoritario, come tutti gli ex generali, ma i suoi modi erano cordiali e niente affatto bellicosi. I Bastettiani, che vivevano nella zona delle foreste di Fleed erano rappresentati da un re: Thunn Lion O III. Thunn era ancora molto giovane, ma aveva le idee molto chiare su cosa voleva per il suo popolo. Giustizia sociale e parità di diritti. Su Fleed i Bastettiani avevano trovato quello che altrove era stato loro negato a causa dell’aspetto. Infine, per i Bahamesi, che erano l’etnia più numerosa dopo i Fleediani, era arrivata la famiglia reale al completo: il re Narsias sembrava un vecchio saggio con la sua folta barba, e la sua tunica bianca (abito tradizionale di Baham). Ad accompagnarlo c’erano il figlio, Artù, che aveva più meno l’età di Koji, e il portamento fiero e nobile di un antico cavaliere. C’erano poi il fratello del re, il granduca Narkis, all’apparenza un uomo che si dedicava a tempo pieno alla politica dello stato di Baham, e la figlia di quest’ultimo, Nidia, di appena sedici anni. Per Nidia era la prima sortita nell’alta società. Nidia, contrariamente a tutti i bahamesi, non aveva le ali. Una grave malformazione aveva costretto i chirurghi ad amputargliele subito dopo la nascita. Ma nonostante l’handicap, la ragazza si era dimostrata molto forte ed aveva vissuto pienamente la sua vita fino ad allora, dando sempre il massimo in ogni cosa che faceva. Koji strinse la mano a tutti. In ultimo, dal momento che erano stati gli ultimi ad essergli presentati, strinse la mano al re, al principe, al granduca. Non poté fare a meno di provare un senso di allarme vicino al granduca. Come se qualcosa lo avvertisse che di quell’uomo non doveva fidarsi. Intanto, la duchessina Nidia, era andata a presentarsi a Duke. Fu perfetta. Fece il suo inchino e si presentò. “Piacere, maestà. Io mi chiamo Nidia. Poi alzò lo sguardo e guardà Duke diritto negli occhi. Duke trasalì. La duchessina Nidia andò poi a presentarsi a Koji. Gli si inchinò, gli strinse la mano. Anche Koji trasalì. Se si escludevano i capelli, di color rosso rame, la ragazza era in tutto e per tutto identica a Naida, lo sfortunato primo amore di Duke. A tutti si unì poi anche Rui Jariten, introdotto da Duke in perosna. Si sedettero tutti al tavolo, un enorme tavolo rotondo, che Duke aveva fatto approntare nella sua sala da pranzo, memore di una antica leggenda terrestre in cui la tavola rotonda era considerata un simbolo di uguaglianza. A fianco a lui si sedettero Koji e Maria, sulla sinistra, e poi Jariten, sulla destra, essendo l’ospite d’onore. Il pranzo si svolse senza incidenti di sorta. Il cibo era davvero ottimo. La cucina di Hilse, la cuoca di palazzo, era sempre inappuntabile. I vari regnanti e rappresentanti dfecero a Koji delle domande sulla Terra. Lui rispose, poi domandò a sua volta sulle usanze di tutti i popoli. Ma ne Koji ne Duke riuscrono a distogliere lo sguardo da Nidia, pur senza dare nell’occhio. La somiglianza era davvero troppa. Entrambi si chiedevano se per caso non stessero prendendo un abbaglio. Era come se Naida fosse tornata e fosse seduta li, in mezzo a loro. L’attenzione di Koji verso Nidia non sfuggì a Maria. Dopo pranzo, Koji chiese a Maria di fare una passeggiata in giardino. Non era abituato a quel genere di formalità. Avrebbe preferito mille volte essere sul campo di battaglia a combattere mostri meccanici piuttosto che affronatare quel genere di cerimonie. Maria lo raggiunse in giardino. Si avviarono lungo il viale. Ma la ragazza sembrava arrabbiata. Koji, un po’ ingenuamente, le chiese cosa avesse. Maria non rispose. Fece una faccia arrabbiata. Koji la guardò, con aria stupita. Poi Maria tirò fuori tutta la sua rabbia: “Dì, ma ti interessa tanto quella ragazza?” “Eh?” rispose Koji, non capendo cosa Maria volesse dire. “Per tutto il tempo non hai fatto altro che guardarla. Me ne sono accorta, che credi?” “Ma cosa vai a pensare, si può sapere?” “Tu cosa hai in testa? Perché la guardavi così?” “Maria, tu, ti ricordi di Naida?” “Naida?” gli chiese Maria. Non capiva di cosa Koji stesse parlando. “Si, Naida. Se non sbaglio era la ragazza di Duke, prima della guerra, prima della distruzione di Fleed.” “Vuoi dire Naida Balzagik? Ho un ricordo molto vago di lei. Ero molto piccola….ma ricordo che era la ragazza di mio fratello, si….” “Tu non eri ancora con noi, nel Dizer team quando arrivò sulla Terra. E’ morta schiantandosi contro un mostro di Vega per salvare tuo fratello. Io ero presente. Ero lì. Era tutto un piano di Vega per uccidere Duke. Naida ha vissuto per qualche giorno alla fattoria prima di….di…” nel ricordare quel tristissimo episodio, Koji non potè fare a meno di trattenere le lacrime. Se le asciugò, senza farsi vedere da Maria. Poi spegò. “Nidia, la figlia del granduca, è identica a lei. Per questo non potevo fare a meno di guardarla. Mi sembrava di vedere un fantasma.” Maria si vergognò di quel suo attacco di gelosia. “Mi dispiace, non lo sapevo, scusami….” Le lacrime rigarono il suo volto. Si sentiva proprio una piccola stupida. Si allontanò da Koji ed andò ad appoggiarsi ad un albero. Koji le corse incontro. La abbracciò. “Ehi, -le disse dolcemente- credi che mi sarei fatto tutto questo viaggio, dalla Terra a qui, se non fosse stato per te? Sono venuto qui per te, e per nessun altra. Capito?” le disse Koji sorridendo. “Scusami – gli disse Maria, ancora piangendo – Sono solo una stupida.” “Non dire più niente. Su. Basta lacrime ora.” I due giovani si abbracciarono. Poi, un senso di allarme salì dal profondo dell’essere di Maria. Lei la conosceva benissimo quella sensazione. Succedeva sempre quando si manifestava il suo potere di precognizione. La ragazza aprì gli occhi di colpo. “Attento Koji”. Nel dire così si tuffo in avanti, facendo cadere tutti e due a terra. Appena in tempo. Un pugnale si conficcò nel tronco dell’albero, alla stessa altezza dove i due erano poggiati poco prima. Koji guardò il pugnale. Da come si era conficcato riuscì a capire la direzione da dove era stato lanciato. Guardò da quella parte. Un uomo alato, spiccato un enorme balzo, aveva appena spiegato le ali e stava per volare via. A prima vista sembrava un Bahamese, ma osservando più attentamente, Koji notò che le mani e i piedi assomigliavano ad artigli di uccello e che l’uniforme che indossava era di color marrone. Sul casco inoltre, aveva degli ornamenti rossi che ricordavano una cresta da gallo. Koji riconobbe l’uniforme. L’aveva vista su un canale Zelano, dove veniva raccontata la storia di quel pianeta. Il misterioso uomo alato era un soldato della croce nera dell’ex esercito di Zela. Zela era stato un pianeta governato da un tiranno altrettanto crudele quanto quello di Vega. Poi, il pianeta era stato distrutto da un buco nero e i sopravvissuti avevano vagato nell’universo fino a giungere su Fleed. L’esercito della croce nera era composto, in genere, da uomini trasformati in cyborg. Koji non perse il suo sangue freddo. Afferrò il pugnale conficcato nel tronco, e dopo aver preso accuratamente la mira, lo lanciò. Il pugnale emise un sibilo nel suo tragitto, poi andò a conficcarsi nell’ala destra del soldato. Questi cadde a Terra, non potendo più volare. Koji e maria si precipitarono sul posto. Il soldato era ancora in piedi. Tentò di resistere, ma Koji lo stese con una combinazione di pugni e calci, che aveva imparato da Tetsuya, durante una seduta di allenamento. Il soldato si accsciò, tenedosi le mani sullo stomaco. Koji lo afferrò per il colletto dell’uniforme. “Chi ti ha mandato? Avanti parla.” Il soldato, che stava ancora riprendendosi, esibì un sorriso beffardo. “Ti piacerebbe saperlo eh? Sporco terrestre.” Nel dire questo, morse qualcosa che aveva nascosto in bocca. Poi si accasciò. Koji provò a sentirgli il polso. Poi il cuore. Infine mise la mano davanti al naso del killer per sentire se respirava ancora. Ma era tutto inutile. Il soldato era morto. “E’ morto.” Disse Koji rassegnato. Così non avrebbero potuto sapere chi era il mandante. Duke, accortosi del trambusto, era accorso con un manipolo di guardie. Il generale Kalinga era al suo fianco. “Che è successo qui?” Koji e Maria glielo spiegarono. “Questo, purtroppo, non fa che confermare la presenza di un traditore qui su Fleed. E il fatto che abbiano tentato di ucciderti vuol dire una sola cosa: che questo qualcuno non vuole la Terra e Fleed alleati.” Disse Duke rivolto a Koji. Una tristezza infinita si dipinse sul suo volto. Pensava di essersi lasciato alle spalle tutto ciò, invece il fantasma della guerra aleggiava ancora tra loro. “Kalinga, faccia portare questo assassino al laboratorio del Dottor Lynxus. Voglio sapere tutto quello che se ne può cavare dal suo corpo. Venga nel mio studio. Le firmerò un documento di priorità.” Duke e Kalinga si allontanarono, mentre Maria scoppiò in un pianto dirotto tra le braccia di Koji. Aveva avuto paura di perderlo per sempre. Più tardi, Duke, Koji e maria erano riuniti nello studio del re, a palazzo. Nessuno dei tre parlava. Squillò il comunicatore. Era il dottor Lynxus, dal laboratorio della scientifica. Duke passò la comunicazione sullo schermo grande. “Allora, maestà, per quanto riguarda i tre veghiani che hanno tentato di introdursi sulla nave del signor Kabuto, abbiamo ritrovato, sui loro abiti e tra i loro capelli, delle microscopiche particelle di Zormannium. E come lei sa c’è un solo pianeta, in questa galassia, dove si trova quel minerale.” “Helios” disse Duke cupo. “Già. – gli confermò il dottore – Quanto al killer, è vero che ha subito la trasformazione in cyborg della croce nera. E il procedimento usato è identico a quello adoperato dall’ex esercito di Zela. Ma….e questa è stata la sorpresa più grossa….dalle analisi risulta che a subire tale operazione, sia stato un bahamese, non uno zelano.” L’orrore si dipinse sul volto di tutti e tre. I bahamesi erano l’etnia più tecnologicamente avanzata di tutto il pianeta Fleed. E proprio tra loro si nascondevano i traditori che attentavano alla pace nell’universo.
Capitolo 14
Dopo il pranzo ufficiale, tutti erano tornati ai loro palazzi ed alle loro occupazioni. Anche il granduca Narkis, accompagnato dalla figlia, era rientrato nella sua abitazione. Era decisamente scuro in volto.
“Papà che hai?” gli chiese Nidia, preoccupata.
Il granduca le sorrise. “Niente, bambina mia. Non ti preoccupare. Solo, il lavoro di tuo padre lo preoccupa non poco. Ma tu non te ne curare. Vedrai che questo momentaccio passerà presto.” Il granduca fece una breve pausa.
“Oggi sei stata davvero perfetta. Eri davvero bellissima. Hai catturato l’attenzione di tutti. Anche il re Duke Fleed è rimasto folgorato.”
Nidia sorrise. Un sorriso aperto, di felicità. “Dici davvero papà?”
“Certo, lo sai che non ti mentirei mai.” Il granduca fece un sincero sorriso. Voleva davvero molto bene alla figlia, nonostante il suo handicap. Per un bahamese, dover vivere senza ali vuol dire essere condannato allo scherno e alla derisione di tutti. Non poter volare, dominare i cieli….un bahamese senza ali era una mostruosità da abbattere subito.
Quando era nata quella bambina, e quando i chirurghi avevano diagnosticato il cancro congenito alle ali, la madre Rosalia aveva voluto ucciderla. Ma il granduca si era opposto con tutte le sue forze.
“Cosa volete fare a questa bambina? Essa è un dono del Grande Serpente Piumato (la principale divinità Bahamese), e non permetterò a nessuno di toccarla. A nessuno.” – aveva detto ai servitori della moglie, che erano andati per prenderla ed ucciderla.
E infatti, Nidia era cresciuta bellissima, e forte. Grazie a quell’handicap aveva sviluppato una determinazione incrollabile, che le faceva sempre dare il massimo in tutto. E il granduca Narkis ne era davvero orgoglioso.
Rimasto solo nelle sue stanze, il grandica si cambiò. Si versò del liquore in un bicchiere e cominciò a sorseggiarlo. Si sedette sulla poltrona. In quel momento bussarono alla porta. “Avanti!” Un servitore entò nella stanza, bisbigliò qualcosa all’orecchio del granduca. Poi, veloce come era arrivato, se ne andò. Il granduca svuotò il bicchiere, poi lo lanciò a terra. Il delicato cristallo si ruppe in mille pezzi. “Quel maledetto Kabuto! Ha più vite di un gatto!” Si risedette sulla poltrona a rimuginare. Poi si alzò, premette un pulsante nascosto nella parete. La libreria che occupava il muro più grande della stanza, girò su se stessa rivelando un vano segreto. Quando ebbe finito di girare, al posto di essa vi era uno schermo gigantesco. Lo schermo di un comunicatore sub spaziale. Narkis armeggiò su alcuni pulsanti. Lo schermo si accese, sfrigolò per un attimo, poi su di esso comparve l’immagine del generale Sincrain. Questi stava pigramente mangiando un grappolo d’uva, attorniato da un manipolo di schiave. “Granduca Narkis. – lo salutò il generale dei pirati, sarcastico – a cosa debbo tale onore?” “La smetta di prendermi in giro, Sincrain. Allora quando agiremo? Ormai i tempi sono maturi.” “Davvero? Non credo. Non abbiamo ancora abbastanza Zormannium, caro il mio granduca.” “E quanto ne vorrebbe scavare prima di decidersi ad agire? Tutto il pianeta?” “Esattamente. Lei è molto perspicace, caro il mio granduca.” Gli rispose Sincrain, sarcastico. “E quanto ci vorrà? Mesi? Anni? Non possiamo aspettare tanto. Lo sa anche lei.” “E perché no? La vittoria si raggiunge pianificando tutto azione per azione, millimetro per millimetro, lo sa bene. E secondo me, muoversi adesso, è assolutamente imprudente. Il nostro esercito non è ancora abbastanza numeroso.” “Sincrain, sa bene anche lei quello che dice la profezia.” Sincrain lo guardò beffardò. “Quando Fleed e la Terra si uniranno, il Re dello Spazio siederà alla destra, l’Imperatore dei Demoni alla sinistra della Dea Luda, e la pace regnerà nell’universo. Certo che la conosco la profezia. Ma è solo una favola per bambini.” “Lei dice eh? Ma lo sa come viene chiamato Grendizer, dalle popolazioni della galassia? Viene chiamato il Re dello Spazio.” “Grendizer è solo un robot. Senza il suo pilota non vale un granché.” “Sincrain, lei non capisce….” “Suvvia, granduca, si calmi. Le profezie sono solo per gli sciocchi.” “D’accordo. Però intanto il re di Fleed è legato sentimentalmente ad una giovane terrestre, e la giovane principessa ama un giovane terrestre anche lei. Ma non vede il nesso? Tra poco non cisarà posto per noi, nell’universo.” “Ommiodio, granduca, le è proprio uno sciocco credulone.” “Io sarò anche uno sciocco credulone, ma lei, generale è un incosciente. Sta appositamente ignorando dei chiari segnali. Le dico solo questo: se ne pentirà amaramente.” Dicendo questo, Narkis chiuse la comunicazione. Si risedette sulla sua poltrona, a meditare. ‘ Forse è davvero ora di muovere alla conquista di Fleed. Abbiamo un grosso esercito e decine di mostri spaziali, nascosti nel deserto radioattivo. E con Hikaru Makiba morta, non ci sarà pericolo che la profezia si avveri.’
Terra
Una stanza sotterranea sotto l’Istituto per la Ricerca sulla Foto Potenza. Tutto era ricoperto di polvere. Sembrava che quella stanza non fosse stata visitata per anni. Eppure, esisteva. Ma tutti coloro che lavoravano all’istituto ne ignoravano l’esistenza. Su uno degli enormi cancelli in acciaio, una scritta giapponese recitava:
Koutei Keikaku. Tachi Iri Kinshi (Project: Emperor. Access Forbidden)
Al di la di quell’enorme cancello d’acciaio, qualcosa di gigantesco stava dormendo ed aspettava solo colui che lo risvegliasse. Un automa spaventoso che, per certi versi, somigliava ai Mazinga. Un essere che, forse, avrebbe un giorno deciso le sorti dell’intero universo. Il suo nome era Mazinkaiser.
Capitolo 15
Pianeta Terra.
Nelle profondità dell’oceano, esattamente nello stesso punto dove si era trovata la base sottomarina di Vega, un’astronave, molto simile a quella che era appartenuta al ministro Zuril, era adagiata, immobile, alla parete di roccia.
Al suo interno vi erano dieci uomini dell’equipaggio, compreso il comandante.
Il capitano Yurak, un bastettiano che in passato si era macchiato di efferati delitti, e che si era poi unito ai pirati spaziali, era davvero molto preoccupato.
La missione che gli era stata affidata, uccidere la giovane Hikaru Makiba, era completamente fallita. Il mostro cibernetico, mascherato da cavallo, che avevno inviato alla fattoria Makiba era stato scoperto e distrutto.
“Ma perché?” si domandava il capitano Yurak “Perché il nostro piano è fallito? Eppure era un piano perfetto. Trattenere la giovane Makiba sulla Terra, ferendo il padre, e poi, ucciderli tutti lentamente con le radiazioni vegatron. Se non fosse arrivato quel maledetto Great Mazinger….Chi o cosa li ha avvertiti?”
Erano arrivati sulla Terra mesi prima, ed ora si trovavano nell’impossibilità di muoversi. Quand’anche fossero riusciti ad uscire dall’atmosfera terrestre, sarebbero stati intercettati dalla squadra Getter sulla Luna. Ormai la costruzione della base avanzata era quasi terminata. In quella base c’erano decine di Getter Robot pronti ad intervenire al primo segnale di ostilità.
E sulla Terra, non appena fossero usciti in superficie, sarebbero stati immediatamente intercettati dal Great Mazinger o dal Getter Robot G, che nel frattempo era rientrato dalla Luna.
“Cha fare? Che fare? Come possiamo uscirne vivi?”
Al capitano era stato imposto il silenzio radio. Ma adesso avevano bisogno di istruzioni.
Yurak uscì, deciso, dalla sua cabina, e si diresse in sala radio. L’operatore, un giovane veghiano, stava schiacciando un pisolino.
“Levati!” gridò Yurak in tono autoritario.
“aah, sissignore.” Il giovane veghiano si svegliò di soprassalto e si defilò come gli era stato ordinato.
Yurak premette alcuni pulsanti. Lo schermo delle comunicazioni si illuminò. Regolò le leve della frequenza, poi spinse un pulsantino rosso.
Lo schermo, dapprima fece vedere delle stricie ondulanti, come se si trattasse di qualche interferenza, poi l’immagine si schiarì, mostrando il volto adirato del Granduca Narkis.
“Yurak, le avevo imposto il silenzio radio. Come mai mi chiama? Si rende conto del pericolo che corro?”
Il capitano Yurak si profuse in mille scuse, poi spiegò rapidamente al Granduca Narkis che cosa era successo: di come il cavallo-mostro era riuscito ad intrufolarsi alla fattoria, e di come, poi, l’arrivo del Great Mazinger avesse rovinato tutto.
“Yurak, lei è un idiota!”lo apostrofò il Granduca, molto arrabbiato.
Di nuovo Yurak si scusò
“Che dobbiamo fare adesso, Granduca? Come ci leviamo di qui?”
“Non posso aiutarvi. Dovrete cavarvela da soli. Arrangiatevi, razza di incompetenti. Non siete stati neanche capaci di eseguire un compito facile facile come quello di uccidere una ragazzina, che io vi avevo affidato. Avete fallito. Andate incontro al vostro destino con dignità, almeno.”
Nel dire questo, il granduca Narkis chiuse la comunicazione.
Yurak diede un calcio alla consolle, sfasciandola.
“Maledizione. Adesso che non gli serviamo più, ci abbandona come cani.”
Yurak uscì dalla sala comunicazioni. Si recò agli hangar.
“Di cosa disponiamo?” chiese all’ufficiale in seconda.
“Abbiamo ancora un mostro cibernetico e una squadriglia di miniufo radiocomandati, capitano Yurak!” gli rispose questi.
“Speriamo che basti….” Yurak assunse un’aria rassegnata.
Al laboratorio per le ricerche spaziali, la comunicazione avvenuta tra Yurak e il Granduca Narkis non era sfuggita ai tecnici della base. “Dottor Umon. Presto. Venga a vedere.” “Che succede Hayashi?” “Guardi qua.” Hayashi mostrò a Umon un tabulato con dei tracciati. “Queste frequenze, e le modalità di trasmissione indicano chiaramente una trasmissione sub spaziale.” “Siete riusciti ad individuare il punto di provenienza e la destinazione?” chiese Umon “La trasmissione è stata troppo breve per individuarne la destinazione. Era comunque diretta al di fuori di questa galassia. Il punto di provenienza però lo abbiamo scoperto. Ecco.” Lo schermo centrale si illuminò mostrando una mappa del Giappone e delle isole circostanti. Su di un punto poco lontano dalle isole principali, una luce intermittente segnalava il punto di origine della trasmissione. Hikaru entrò in sala in quel momento. Riconobbe la posizione. “Li una volta c’era la base sottomarina di Vega.” Umon si fece pensieroso. Alzò il microfono del comunicatore, digitò una frequenza. Sullo schermo apparve il volto del professor Yumi. “Dottor Yumi, abbiamo bisogno nuovamente del Great Mazinger. Abbiamo ragione di ritenere che ci siano degli infiltrati alieni in questa zona.” Umon trasmise le coordinate. Dall’Istituto di Ricerche sulla Foto Potenza, Yumi rispose: “Avvero subito Tetsuya e Jun.” Poi, Umon digitò un’altra frequenza. Stavolta, a comparire sullo schermo, fu il volto grassoccio e trasandato del prof. Saotome: “Mandi qui le Getter Machines per favore. Devono fare un trasporto speciale a queste coordinate.” Indico nuovamente le coordinate mostrate prima dal computer. Poi, rivolto a Hikaru: “Preparati ad entrare in campo. Piloterai l’Ultrasubmarine. “Bene dottore.” Fu la secca risposta di Hikaru. Uscì di corsa dalla sala controllo ed andò a prepararsi. Tetsuya, intanto, a bordo del Great Mazinger, e Jun su Venus Ace, erano già arrivati sul luogo. Stavano sorvolando la superficie dell’oceano. “Qui non si vede niente. Nessuna traccia. Anche il geiger è muto. Jun. Li da te come va?” Jun stava perlustrando una zona poco distante. “Anche qui nulla, Tetsuya.” Tetsuya si mise a riflettere: “Se stanno la sotto, in profondità, è normale che non si riesca a captare nulla. Forse immergendomi….” Tetsuya aprì di nuovo le comunicazioni con Jun. “Jun. Io provo ad immergermi. Vediamo se le letture cambiano.” “Stai attento Tetsuya. Lo sai che la potenza di Mazinger in acqua è dimezzata, e che il consumo di energia raddoppia.” “Lo so, Jun. Stai tranquilla.” Detto questo si tuffò in picchiata. “Scramble Off!” Le ali si richiusero, tornando nell’alloggiamento posto sulla schiena. Il Great Mazinger si tuffò in mare, sollevando una enorme colonna di spruzzi. Spinto dai razzi posti sui piedi, il Great si immerse. 50 metri. 75 metri. Tetsuya esplorò il fondale. Ma ancora nessuna lettura. 100 metri. 125 metri. La voce di Jun risuonò nel comunicatore. “Trovato niente?” “Nulla.” Rispose Tetsuya. “Stai attento. Controlla l’indicatore dell’energia.” Tetsuya seguì il consiglio della compagna. “Maledizione!” La lancetta dell’indicatore era vicina allo zero, anche se non lo aveva ancora raggiunta. “Risalgo in superficie.” Il Great cominciò a risalire, costeggiando il fondale, in modo che Tetsuya non subisse danni dalla variazione di pressione. Quando fu ad una profondità abbastanza sicura “Scramble Dash!” Le ali del Great uscirono dall’alloggiamento sulla schiena, spiegandosi in tutta la loro maestosità. I razzi propulsori proiettarono il Great fuori dall’acqua. Di nuovo sotto la luce del sole, Tetsuya vide l’indicatore dell’energia risalire piano piano. Sui due Mazinger era stato installato lo stesso sistema di ricarica installato su Grendizer. In pratica, il fotoquantum veniva raccolto nel serbatoio di energia e poi convertito in fotopotenza. Un altro upgrade reso possibile da quel geniaccio di Umon. Questi serbatoi di nuova generazione erano stati installati su tutti i robot che avevano la luce come fonte di energia. Anche sullo Z ne era stato installato uno, così come anche su Dianan A e Venus A. Il cicalino del comunicatore avvertì Tetsuya che c’era una chiamata in arrivo. Tetsuya accese lo schermo posto davanti alla cloche. Vi comparve la faccia allegra di Ryoma Nagare. “Tetsuya! Aspetta li ancora un po’. Ti stiamo portando un regalino che ti permetterà di perlustrare il fondo del mare come si deve.” “Bene Ryo! Ti ringrazio.” Le tre Getter Machines si stavano avvicinando al Great a grande velocità. Legato a loro, con tre grosse catene, l’Ultrasubmarine era pronto a entrare in azione.
Capitolo 16
Pianeta Dainos
Girgilon stava volando. Le “gambe” erano ritirate nel carapace e dalle aperture delle fiamme fornivano la propulsione necessaria all’essere per volare. Le mani erano appoggiate ai fianchi per ofrire meno resiatenza all’aria, la testa ritta a controllare la direzione di volo. Era inseguito da una copppia di midifo.
Improvvisamente, la tartaruga gigante si abbassò di quota, diminuendo la velocità. Lasciò che i midifo la sorpassassero. Poi, si rialzò e si mise in coda ai dischi. Allargo le braccia. Due grosse punte che sembravano ossa fuoriuscirono dai gomiti.
Girgilon accelerò di nuovo. Le punte sui gomiti trapassarono i midifo da parte a parte, facendoli esplodere.
Altri due midifo spuntarono da dietro le colline. Girgilon atterrò. Dalle aperture, che prima avevano funto da propulsore, spuntarono le sue gambe. L’essere aprì la bocca e vomitò fiamme che investirono in pieno uno dei midifo, che esplose. L’altro invece, fu squassato da un pugno che l’essere aveva vibrato subito dopo aver emesso la fiamma.
Nella sua Mother Ban, Sadak era furente. Altri quattro midifo persi.
“Accidenti a quella maledetta bestiaccia.”
Girgilon si rilassò un attimo. Espirò, come a voler buttare finalmente fuori la tensione della lotta dal suo corpo. Era ritornato sul suo pianeta da poco piu di una settimana, ma purtroppo non era riuscito a salvare tutti gli animali che i pirati avevano catturato. Loro erano tanti, lui uno solo. Non aveva il dono dell’ubiquità. Aveva tentato di fermare i pirati definitivamente, ma questi si erano dimostrati molto più forti di quanto lui avesse previsto. Faceva il possibile, ma anche una super tartaruga gigante come lui non poteva essere dappertutto e allo stesso tempo.
“Padre, ti prego, dammi la forza.” Invocò dentro di se la figura del padre, la cui morte aveva percepito sul pianeta di magma. Aveva saputo che il padre era stato catturato e trasformato in cyborg, e che un giovane terrestre, che guidava un robot da combattimento, lo aveva liberato dalle sue sofferenze.
Era lo stesso giovane che aveva tentato di avvertire del pericolo tramite la sua telepatia, senza riuscirvi. Koji Kabuto era stato colui che aveva dato la morte a suo padre.
D’un tratto, un rumore distolse Girgilon dai suoi pensieri: CLAP CLAP CLAP CLAP. Sembrava un applauso. Girgilon si voltò.
Un piccolo veicolo nero stava fluttuando sopra di lui. La cabina di pilotaggio era aperta. Un uomo, dall’armatura bianca e rossa, stava in piedi sul tettuccio, appoggiato a un lungo bastone che poggiava con un’estremità dentro la cabina di pilotaggio. L’altra estremità sembrava la bocca da fuoco di un laser. L’uomo aveva un aspetto vagamente scimmiesco.
“Complimenti! Davvero un bel numero il tuo.” Disse.
Girgilon lo guardò sospettoso. L’uomo, poggiandosi sul bastone si diede una spinta in avanti, fece una capriola e planò a terra. Il bastone, su cui si era poggiato, si divise in due, ed entrò nelle fondine poste sui fianchi dell’armatura.
Girgilon guardò in giù, versoquello strano individuo. Ora gli sembrava un insetto.
“Chi sei?” gli chiese. Ma non ottenne risposta.
“Tu parli. Avevo ragione dunque. Tu non sei un comune mostro. Sei qualcosa di più.” E detto questo scoppiò in una fragorosa risata.
Girgilon loguardò di nuovo, con aria perplessa. “Ma cosa vuole questo?” si domandò.
“Ti starai chiedendo cosa voglio da te, immagino. Beh, è molto semplice voglio battermi con te.” Disse l’uomo.
“Che cosa? Io non posso battermi con te.” Rispose la tartaruga.
“Immagino che sia per via della grandezza…..beh, questo problema si risolve subito.”
L’uomo alzò le mani al cielo. Le due parti del bastone uscirono nuovamente dalla fondina. L’uomo le afferrò al volo. Le unì. Poi gridò “Astrosizer!”
Sotto gli occhi increduli di Girgilon , la statura e la grandezza dell’uomo cominciarono ad aumentare rapidamente, fino a raggiungere dimensioni pari alle sue. Anche il bastone si era ingranditodi conseguenza.
L’uomo poggiò il bastone a terra, continuando a poggiarsi ad esso.
“Ecco, penso che adesso non ci siano problemi, vero?” Con una mossa fulminea, l’uomo, che ora era delle stesse dimensioni di Girgilon, fece roteare il bastone e assunse una posa da combattimento, il bastone puntato contro la tartaruga . Girgilon si mise in guardia, ma era spaventato. Molto spaventato. Da come si muoveva, dalla posa che aveva assunto, aveva capito che quello era un guerriero fortissimo.
“Se questo si è alleato ai pirati, allora non abbiamo più scampo.” Pensò tra se. Una goccia di sudore scese dalla sua fronte.
“Chi sei?”chiese ancora una volta Girgilon “Qual è il tuo nome?”
L’uomo rispose: “Mi chiamo Hanuman.”
“Hanuman!” Girgilon trasalì. Conosceva molto bene la fama di Hanuman, il cyborg, il guerriero dello spazio che aveva accompagnato la Dea Luda al centro dell’universo affinché essa potesse assurgere a simbolo di pace per tutti gli esseri che popolano il vasto cosmo. E ora quel fortissimo guerriero voleva battersi con lui.
“Perché dobbiamo combattere? Io non ho niente contro di te.”
“Nemmeno io. Ma sono secoli che non affronto un combattimento come si deve. E ho proprio voglia di sgranchirmi un po’.”
“Maledizione.” Girgilon si rese conto di non avere scampo. Doveva combattere per forza. E doveva vincere, o il suo pianeta, e tutte le creature che lo abitavano sarebberocadute in mano ai pirati. Si concentrò. Delle fiamme si materializzarono nelle sue mani. Piano piano esse presero la forma di spade. Girgilon le incrociò davanti a se, in posizione di guardia.
I due si studiarono per dei secondi che sembrarono interminabili.
Si mossero contemporaneamente. Hanuman vibrò dei fendenti con il suo bastone, che Girgilon parò abilmente, poi fu lui ad attaccare, mirando alla gola del cyborg con le sue lame di fuoco. Ma il cyborg era molto duttile. Si spostò indietro con il bacino, evitando i fendenti, poi facendo roteare il bastone, colpì ripetutamente il polso di Girgilon, disarmandolo di una delle due spade.
Girgilon, benché colto di sorpresa, non si diede per vinto.
Fece roteare la spada poi si mise di nuovo in guardia, impugnandola con tutte e due le mani. La spada parve alimentarsi di nuova fiamma. Raddoppiò le sue dimensioni diventando uno spadone.
Hanuman invece, divise il suo bastone, ricavandone due lunghe clavi.
Si scontrarono di nuovo. Il fendente di Girgilon fu fermato dalle clavi incrociate di Hanuman, poi, con una forza poderosa, questi sospinse Girgilon all’indietro, ricompose il suo bastone, e mulinandolo abilmente, disarmò Girgilon anche dello spadone, che cadde a terra e scomparve.
“Accidenti. E’ davvero fortissimo. Le leggende non erano affatto esagerate.” Pensò la tartaruga. Ormai si vedeva già sconfitto. Ma avrebbe lottato fino all’ultimo.
Incrociò le braccia. Dai gomiti spuntarono fuori le ossa appuntite. Ma Hanuman, con dei movimenti incredibilmente rapidi, divise ancora una volta il suo bastone e con le clavi diedie un colpo secco agli artigli della tartaruga. Questi si spezzarono come fuscelli. Ormai a Girgilon restava solo l’ultima carta da giocare. La sua gola eruttò le fiamme. Un potere di cui era dotato fin dalla nascita. Ancora una volta niente da fare. Il cyborg non le sentiva neanche, e anzi si stava avvicinando a lui pericolosamente. Girgilon non smise di emettere la sua fiammata. Avrebbe combattuto fino all’ultimo. Ma, incredibilmente, arrivato a pochi centimetri da lui, il cyborg si fermò. “Ora basta.” – disse – “Puoi spegnere la tua fiamma. Non voglio la tua vita.”Girglilon smise di sputare fuoco. Il cyborg lo guardò dritto negli occhi.
“Girglion, perché combatti?”
“Come fai a sapere il mio nome?” gli chiese la tartaruga. Lo stupore era dipinto sul suo volto.
“Questo non ha importanza ora. Su, rispondi. Perché combatti?”
La tartaruga espirò di nuovo, si rialssò, aprì le mani ad indicare il paesaggio intorno a lui. “Guardati intorno Hanuman. Lo vedi questo pianeta? Esso è un pianeta bello e rigoglioso, si, ma è popolato solamente da creature enormi, che tutti ritengono dei mostri, delle bestie, delle cavie da usare per i loro esperimenti. Ma non è così. Questi animali non sono delle macchine da combattimento. Hanno diritto di vivere in pace, esattamente come voi esseri umani. Noi tartarughe abbiamo sempre vegliato sulla felicità del pianeta. Normalmente non siamo molto forti. Io sono diverso, rispetto ai miei famigliari. Più forte, sono in grado di volare, di emettere fiamme. Sarei il mostro perfetto per gli esperimenti di quelli li. Ma la natura ha dotato noi tartarughe di un’intelligenza fuori dal comune. Mio padre aveva capito che avevo un compito particolare. Mi ha affidato alle cure e agli insegnamenti di Mighty Leo, il signore delle fiamme, affinché potessi fortificarmi nello spirito e imparassi ad usare i miei poteri per il bene comune. Ma mentre ero via, loro sono arrivati. Hanno preso mio padre, lo hanno torturato e poi trasformato in cyborg da combattimento.” Le lacrime scessro dagli occhi di Girgilon, nel ricordare quegli avvenimenti. Poi li riaprì e con lo sguardo fiero disse: “Io combatto per difendere questo pianeta, perché anche noi abbiamo diritto di vivere in pace.”
“Molto bene – rispose Hanuman – Era proprio quello che volevo sapere.” Detto questo sollevò il suo bastone sopra la spalla.
“Che vuoi fare?” chiese Girglion.
“Toriyaaah!” Con un urlo spaventoso, Hanuman lanciò il suo bastone che si ingrandì sempre di più. Il bastone continuò la sua salita in cielo, fino a raggiungere una della due Mother Ban che ancora stazionavano nell’orbita di Dainos. Il bastone si illuminò, e carico di energia trapassò da parte a parte la Mother Ban che dopo pochi secondi esplose in mille pezzi.
Poi, velocemente come era salito al cielo, il bastone tornò in mano al suo proprietario, che lo divise nuovamente e lo ripose nella sua fondina. Lo sguardo di Hanuman divenne aperto e caloroso. Porse la sua mano a Girglion e disse: “La regina Luda mi ha mandato qui per controllare che cosa sta succedendo. Le voci di grandi disordini nell’armonia della galassia si sono fatte troppo rumorose, per poterle ignorare ulteriormente.”
Capitolo 17
Sadak aveva seguito tutto dallo schermo principale della sua Mother Ban.
“Hanuman! Maledetto traditore.”
La nave si portò vicino alla superficie del pianeta, proprio sopra Hanuman e Girgilon.
Sadak espresse di nuovo la sua rabbia, attraverso gli altoparlanti della nave.
“Hanuman! Sei un maledetto traditore.”
Hanuman lo guardò beffardo: “Ti sbagli. Io non sono un traditore. Non ero dalla tua parte sin dall’inizio. Volevo solo capire cosa stesse succedendo qui. E ora lo so. Sadak! Non pensare di passarla liscia.”
“Maledetto!” fu la risposta del capitano.
Tutti i portelloni della nave si aprirono. Una ventina di mostri uscirono da essa. Erano tutti ricoperti di Zormannium e avevano una specie di strana scatola montata sulla testa.
Hanuman si mise in guardia, brandendo il suo bastone. Girgilon lo fermò preoccupato: “Non far loro del male. Sono solo dei poveri animali controllati da quel demonio.”
Hanuman lo guardò con un sorriso rassicurante. “Non ti preoccupare.” Comincio a muoversi, fracassando la scatola posta sulla testa di uno dei mostri con la punta del suo bastone. “Per sottrarre questi animali al loro controllo….” Con una manata ne fracassò un’altra, posta sulla testa di un altro animale. “….basta distruggere la centralina di controllo….” Ne distrusse un'altra con un calcio “….installata sulla loro testa.” Dall’estremita del bastone uscì un raggio laser che distrusse un’altra delle scatole poste sulla testa di uno degli animali.
Anche Girgilon si unì alla mischia, e in poco tempo, le centraline di controllo di tutti i mostri furono distrutte. Gli animali, per lo shock, precipitarono in uno stato di incoscienza.
Sadak era all’estremo della rabbia. “Dannati fetenti, ma ora ve la dovrete vedere con me.”
Sadak si precipitò verso il portellone dell’astronave. Lo aprì. Premette un pulsante sulla sua cintura.
Un lampo verdastro scaturì dalla fibbia. In pochi secondi Sadak raggiunse le stesse dimensioni di Girgilon e Hanuman.
“Bene, vedo che anche tu hai qualche asso nella manica, ‘capitano’” disse Hanuman beffardo, mettendosi in guardia, brandendo il suo bastone.
Sadak estrasse una enorme scimitarra dalla sua guaina. La puntò contro Hanuman.
I due scambiarono qualche colpo, sotto gli occhi di Girgilon. La scimittarra e il bastone cozzarono tra di loro, emettendo scintille. Poi all’improvviso, Sdak intravide uno spiraglio nella difesa di Hanuman. Fece calare la sua scimitarra sulla spalla del cyborg.
Ma invece di penetrare l’armatura dello scimmiesco eroe, la scimitarra si spaccò. Metà della lama cadde a terra, mentre il manico rimase in mano all’incredulo Sadak.
“Mi dispiace per te, Sadak, ma la mia armatura è costruita in gren, e non è facile da scalfire, come vedi.”
L’affermazione di Hanuman non sfuggì a Girgilon. “E’ lo stesso metallo di cui è fatto il Re dello Spazio.” Pensò la tartaruga. “Come mai?”
Mentre Girgilon pensava questo, Hanuman sferrò a Sadak un poderoso pugno, allontanandolo da se di qualche metro.
“E inoltre – continuò il cyborg – purtroppo per te, conosco molto bene il punto debole dello Zormannium di cui è costruita la tua armatura. Detto questo, Hanuman fece roeare il suo bastone sopra la sua testa, poi, ne puntò una delle estremità su Sadak, e gridò “Astrothunder!”
Dalla bocca posta all’estremità del bastone partì un fulmine di potenza incalcolabile, che si abbattè su Sadak. Costui provò a rialzarsi, ma la forza del fulmine era tale che subito ricadde a terra.
Il piccolo aereo di Hanuman, che durante il combattimento con Girgilon era atterrato su una collinetta poco distante, decollò e si portò vicino al suo padrone. Dai cannoncini montati vicino alla carlinga fuoriuscirono altri fulmini, che si andarono a sommare a quelli emessi dall’astrobastone di Hanuman.
Intanto, i mostri che erano stati atterrati da Hanuman e Girgilon si risvegliarono.
Girgilon usò la sua telepatia. “Avanti, aiutiamolo. Chi è in grado di emettere fulmini lo faccia. Vendichiamoci delle torture subite e scacciamo per sempre gli invasori dal nostro bel pianeta.”
Sette dei giganteschi animali, si rialzarono, e si affiancarono a Hanuman. Tutti emisero le loro scariche elettriche, chi dalle corna, chi dalla bocca, chi dalle scaglie, chi dagli occhi, chi dalle zampe. Il voltaggio scaricato addosso a Sadak, in quell’istante poteva raggiungere tranquillamente i 500.000 Volts.
In pochi secondi, le prime crepe cominciarono a formarsi sul corpo di Sadak e il colore dell’armatura, da rosso assunse un colore marrone ruggine.
A quel punto, Hanuman smise di emettere il suo fulmine, e tutti gli animali e l’aereo smisero con lui. Hanuman roteò ancora il bastone sopra la sua testa.
“E’ la tua fine, Sadak!” Dicendo questo, Hanuman vibrò un fortissimo colpo con l’estremita del suo bastone sulla testa di Sadak. Costui si sbriciolò letteralmente.
Di lui non era rimasta che polvere ferrosa, che fu spazzata via dal vento di Dainos.
I soldati che stavano sulla Mother Ban, che avevano assistito a tutta la scena, tentarono di squagliarsela. Ma hanuman sollevò di nuovo il bastone sopra la sua spalla, e con un urlo terrificante lo lanciò. Come era successo poco prima, il bastone si ingrandì ulteriormente e si caricò di energia. La Mother Ban in fuga fu trapassata da parte a parte, ed esplose, mentre il prodigioso bastone rientrava nelle mani del suo padrone, diviso, e pronto per essere riposto.
Ma i guai non erano ancora finiti. Gli animali che erano stati sottoposti all’operazione cominciarono a emettere versi di dolore e a contorcersi per le convulsioni.
“Oh no.” Era quello che Girgilon temeva. Senza più la centralina di controllo, il loro organismo aveva cominciato a rigettare lo Zormannium.
Hanuman ricompose l bastone, lo puntò verso gli animali.
“Che vuoi fare? Non vorrai ucciderli vero?”
“Stai tranquillo, e lasciami fare.”
Il cyborg si concentrò. Poi urlò: “Nemuraizer!” Un sottile raggio rosa ad anelli circondò uno ad uno tutti gli animali. Questi, piano piano smisero di contorcersi. Chiusero gli occhi.
“Che hai fatto?” chiese Girgilon preoccupato.
“Li ho solo addormentati. E ho stimolato la produzione di endorfine perché soffrano di meno.”
“Come mai hanno avuto questa reazione?” chiese Girgilon preoccupato.
“Lo vedi il metallo di cui sono ricoperti? E’ Zormannium, un metallo molto resistente, e particolarmente adatto per le operazioni cyborg, dal momento che attechisce bene sugli organismi viventi. Anche il mio corpo, i miei organi, sono costruiti in questo materiale.”
“Avevi detto che eri fatto di gren…”
“Quella è solo l’armatura esterna….se non l’avessi avuta, sarei già morto….come hai visto lo zormannium è sensibile all’alto voltaggio. Il gren non lo è….”
“Ma se attechisce così bene, come mai hanno avuto questa crisi?”
“Perché hanno subito l’operazione contro la loro volontà. Bisogna avere una tempra d’acciaio per sopportare le crisi di rigetto da metallo. E queste povere bestie non ce l’hanno di certo….”
“Come possiamo salvarli allora? Non voglio che muoiano…”
“Bisognerebbe….rimuovere lo zormannium dal loro corpo.”
“Facciamolo allora….hai detto che lo zormannium è sensibile all’alto voltaggio no?”
“Non possiamo farlo usando l’alto voltaggio. Rischieremmo di bruciare gli organi interni.”
“E come possiamo fare allora?”
“C’è una sola persona che sa come rimuovere lo zormannium da un corpo vivente.”
“Di chi si tratta?”
“Della stessa persona che mi ha regalato l’armatura in gren e lo Star Cloud, il mio veicolo. Uno scienziato che vive su Fleed. Il suo nome è Pegas Fleed.”
Capitolo 18
Le tre Getter Machines si stavano avvicinando al Great a grande velocità. Legato a loro, con tre grosse catene, l’Ultrasubmarine era pronto a entrare in azione. Arrivati sul posto, le Getter Machines staccarono le catene che le tenevano ancorate all’Ultrasubmarine. Questi, che ormai si trovava a pochi centimetri dall’acqua, si adagiò dolcemente sulla superficie del mare. Tetsuya, che era poco distante, raggiunse il posto in pochi secondi. Si stupì un po’ vedendo l’ultrasubmarine. Quello era un veicolo progettato per fare da supporto a Grendizer, non al Great Mazinger. In quel momento squillò il cicalino del comunicatore. Tetsuya accese lo schermo, su cui apparve il volto del professor Umon. “Tetsuya, puoi usare l’Ultrasubmarine per immergerti. E’ stato modificato in modo da poter essere utilizzato sia da Grendizer che da Great Mazinger che da Mazinger Z. Vai tranquillo.” “Bene professore. Grazie.” “Siate prudenti la sotto.” Anche se Tetsuya non aveva alcun legame con il dottor Umon, questi provava un forte affetto per Tetsuya e Jun, come anche per Koji e per tutti quei valorosi ragazzi che fino ad ora avevano così tenacemente difeso il pianeta. Un rapido cambio di lunghezza d’onda, e sul monitor di Tetsuya apparve Hikaru, vestita in abito da combattimento. “Sono pronta, Tetsuya!” “Te la senti Hikaru?” dopotutto erano circa due anni che Hikaru non pilotava un veicolo da combattimento, ma in quel momento era l’unica che potesse pilotare efficacemente l’Ultrasubmarine. E per di più era anche reduce dalla cura contro la radioattività, che sicuramente l’aveva indebolita. “Non ti preoccupare! Io sono a posto. Andiamo!” “Bene!” Tetsuya si stupì non poco. All’apparenza Hikaru era una ragazza dolce e fragile, ma quando si trattava di entrare in azione era determinata e concentratissima. Comprendeva, finalmente, come mai Duke Fleed le aveva permesso di combattere al suo fianco. Il Great Mazinger planò verso l’Ultrasubmarine richiudendo le sue ali, prese posto sul “sellino”, poi afferrò il manubrio davanti a lui. La cupola protettiva si richiuse sopra il corpo e le braccia del robot. Dalla cabina del Brain Condor, Tetsuya guardò in basso, verso quello che poteva sembrare il “cruscotto” dell’Ultrasubmarine. Vide Hikaru seduta ai comandi, in quello che poteva sembrare un piccolo vano ricoperto da una lastra di vetro. “Andiamo!” esclamò Tetsuya. Con un breve ronzio, i motori dell’Ultrasubmarine si misero in moto. Il rumore crebbe d’intensità secondo dopo secondo, finché l’Ultrasubmarine accese i propulsori posteriori. L’enorme veicolo puntò il suo “muso” ricurvo verso il basso, poi piano piano si inabissò. Chiusi nell’abitacolo delle Getter Machines, Ryoma, Hayato e Musashi avevano assistito a tutta la scena, non senza trattenere un sorriso. L’immagine del Great ai comandi dell’aquascooter era sembrata loro decisamente surreale. Ryoma fu il primo a scuotersi. “Forza, ora tocca a noi.” Senza perdere ulteriore tempo si misero in formazione. Planarono verso la superficie dell’acqua. Il Poseidon in testa, il Dragon in mezzo, il Ryger in coda. “Change Poseidon! Switch On!” urlò Benkei. In un attimo le tre Getter Machines si agganciarono con un forte clangore. Subito dopo la struttura dei tre aerei combinati cominciò a cambiare la sua forma. Quando quella massa metallica toccò la superficie del mare, non erano più tre aerei agganciati. Il Getter Poseidon aveva preso forma.. Ryoma, Hayato e Musashi non persero tempo e si affiancarono al Great che nel frattempo era sceso di qualche metro sotto la superficie del mare. Insieme cominciarono la discesa nelle profondità degli abissi. L’indicatore di profondità segnava numeri sempre maggiori: 50….100….150…200. Man mano che scendevano la luce diminuiva. Ad un certo punto l’Ultrasubmarine accese i fari, per illuminare il fondo. Arrivarono a 700 metri prima che le strutture del Getter Poseidon cominciassero a vibrare. Il primo ad accorgersene fu Hayato, ma non disse niente. Poi anche nella cabina di Ryoma cominciarono a sentirsi delle vibrazioni. “Stai attento, Benkei, controlla il profondimetro.” Benkei fece quello che gli era stato chiesto. L’apparecchio segnava ormai gli 800 metri. Oltre il limite massimo di immersione per il Getter Poseidon. “Accidenti.” esclamò il corpulento pilota del Getter 3. “Il limite di profondità del Getter Poseidon è di 750 metri.” ricordò Ryoma “Se andiamo oltre rischiamo di implodere per la troppa pressione.” “Maledizione!” esclamò Benkei, per nulla intenzionato ad interrompere la discesa. Proprio in quell’istante, il volto di Tetsuya apparve sullo schermo del comunicatore del Getter Poseidon. “Non rischiate inutilmente.” Disse loro Tetsuya. “Ritornate ad una profondità di sicurezza. Noi ce la caveremo anche da soli.” Hikaru, all’interno della sua cabina, non era più tanto sicura di se stessa. Fare coppia con Tetsuya era davvero diverso. Tetsuya, in battaglia, era come un generale i cui ordini non potevano essere contraddetti. Era completamente diverso da Duke. Non si preoccupava minimamente dell’incolumità propria o di quella dei compagni.. O forse, quella di Tetsuya era solo una grande fiducia in lei? Non sapeva dirlo. Ma improvvisamente aveva paura. Non era mai scesa a quelle profondità, quando pilotava il Marine Spacer. Tetsuya si accorse della preoccupazione di Hikaru. Erano in contatto costante attraverso i monitor dei rispettivi comunicatori. “Ehi Hikaru, tutto bene?” Hikaru, ancora sovrappensiero rispose: “Eh? Ah, Si tutto bene.” “Te la senti di continuare? Non sembri molto in forma. Sicura che vada tutto bene?” Hikaru si sentì come rincuorata in qualche modo. Evidentemente Tetsuya non era poi quella fredda macchina da combattimento che sembrava. Si preoccupava per lei. Hikaru non poté fare a meno di chiedersi se Jun non avesse ammorbidito un po’ il suo carattere. Lo conosceva poco, e quello che aveva sentito su di lui da Koji non aiutava di certo. Da parte sua Tetsuya sapeva benissimo che l’incertezza di Hikaru avrebbe potuto portarli entrambi alla morte. E preferiva ritirarsi piuttosto che morire in quel modo, e far morire anche Hikaru nelle profondità del mare. Se ne stupì lui stesso. Qualcosa era cambiato, in lui, evidentemente. Prima non avrebbe esitato così. Tetsuya fece un sorriso rassicurante a Hikaru. Ma poi tornò subito serio. “Andiamo!” il suo tono era di quelli che non si potevano contraddire. Hikaru tirò la cloche verso di se, facendo scendere ulteriormente l’Ultrasubmarine.
Nell’astronave, il comandante Yurak era ancora indeciso sul da farsi. Aveva radunato tutto l’equipaggio nella sala principale. Ormai erano soli. Nessun aiuto sarebbe arrivato dal Granduca Narkis. E con un solo mostro cibernetico ed una piccola squadriglia di minufo telecomandati non c’era proprio verso di spuntarla. Il primo mostro era stato distrutto, e non era illogico pensare che i terrestri avessero scoperto il punto debole dello zormannium. Ai pirati spaziali restavano due sole possibilità: arrendersi e consegnarsi ai terrestri, oppure tentare la fuga forzando il blocco dei Getter Robot sulla luna. Salya, una veghiana che assomigliava moltissimo al comandante Marinee, l’unica donna dell’equipaggio, prese la parola: “Se vogliamo avere salva la vita, dobbiamo arrenderci. Non possiamo fare altro.” “E chi ci garantisce che avremo salva la vita? E poi sei proprio tu, una veghiana a dirlo? I terrestri odiano i veghiani, dovresti saperlo.” Salya abbassò lo sguardo. Il Capitano Yurak probabilmente aveva ragione. I veghiani avevano seminato troppa morte edistruzione sulla Terra. Se si fossero arresi non vi era la garanzia di potersi salvare. Yurak stava per prendere di nuovo la parola. L’allarme squillò, con una intensità tale da perforare le orecchie delle persone presenti in sala. In realtà non era così alto, ma la tensione tra i pirati era tale da procurare quella sensazione. Yurak andò subito allo schermo principale e lo accese. Dei sensori erano stati piazzati a poca distanza dall’astronave, per dare l’allarme nel caso si fosse avvicinata qualche minaccia. Erano stati tarati per riconoscere la fauna marina terrestre. Il fatto che suonassero poteva indicare solo una situazione di pericolo. Lo schermo inquadrò il Great Mazinger chiuso nell’abitacolo di una specie di scooter subacqueo. Si stavano avvicinando all’astronave a velocità sostenuta. Un brivido corse giù per la schiena di Yurak. “Ci hanno trovato.” Chiuse gli occhi. Certamente erano stati individuati per via della comunicazione sub spaziale con il Granduca. Ora il Great Mazinger si stava avvicinando. Bisognava prendere una decisione, e alla svelta. Yurak riaprì gli occhi, e con un tono che non ammetteva repliche disse: “Mollate tutti gli ormeggi. Ce ne andiamo da qui” I dieci uomini di equipaggio si misero ai propri posti. Consci che la loro vita era appesa a un filo. Premettero varie leve e pulsanti sulle rispettive consolle di comandi. In pochi secondi, l’astronave pirata non era più ancorata al fondo marino. Liberata dai suoi legacci, fece un giro di novanta gradi sul suo asse e cominciò a risalire in superficie.
Da dentro l’abitacolo del Brain Condor, Tetsuya si accorse che i pirati stavano scappando. “Inseguiamoli, presto, non devono sfuggirci.” Nonostante l’incitamento, però, l’Ultrasubmarine non accennava a cambiare rotta. “Hikaru!” chiamò Tetsuya nel comunicatore, ma non ottenne risposta. Tetsuya pigiò un pulsante sul quadro comandi. Il montor davanti a lui si accese, inquadrando Hikaru accasciata sui comandi, svenuta. “Accidenti.” La situazione non era delle più piacevoli. Hikaru, ancora indebolita per il trattamento anti radiazioni, non aveva sopportato la pressione dell’acqua ed era svenuta. Tetsuya mantenne il suo sangue freddo. “Bypass dei comandi!” premette un altro pulsante dal quadro comandi. Era il comando che passava i controlli dell’Ultrasubmarine direttamente alla cabina del Great. Il sangue di Tetsuya gli si gelò nelle vene, quando vide la scritta “System Error” comparire sullo schermo. “Maledizione!” Bisognava fare qualcosa, in fretta. “Hikaru, svegliati.” Gridò Tetsuya nel microfono, sperando che la ragaza si svegliasse. Intanto continuava a premere il pulsante di bypass, senza risultato. “Hikaru!” gridò di nuovo. Ancora una volta nessuna risposta. Allora gli venne un’ idea. L’ultima spiaggia. “Se anche questo non funziona, ci schianteremo sul fondo del mare.” Tetsuya si concentrò, pronto ad attuare quella mossa disperata, l’unica ormai possibile.
Capitolo 19
Non c’era il tempo per reinizializzare tutti i sistemi del Great. E anche se l’avesse fatto, non era detto che l’errore provenisse dal robot. Anzi era molto probabile che il difetto stesse nel sistema dell’Ultrasubmarine. Bisognava svegliare Hikaru e in fretta. Tetsuya non poteva uscire dall’Ultrasubmarine con il Great. Se lo avesse fatto, l’energia si sarebbe consumata in un attimo. Sarebbe riuscito, forse, a far evitare lo schiato allo scooter subacqueo, ma poi sarebbe rimasto bloccato sul fondo anche lui. L’unica soluzione era tentare di svegliare Hikaru. “Con una leggera scossa dovrei riuscirci”, pensò Tetsuya, incerto sul da farsi. Intanto, la parete rocciosa del fondo si stava avvicinando sempre di più. Senza ulteriore esitazione, Tetsuya poggiò la sua mano sulla rotella che regolava l’intensità del Thunder Break, portandola al minimo della potenza. Calibrò tutti i sistemi del Great Mazinger in modo da erogare il minimo della potenza possibile, in modo da diminuire ulteriormente il voltaggio dei fulmini emessi dalle corna del robot. La scossa da dare a Hikaru doveva essere di una potenza sufficiente a svegliarla, ma non doveva metterla in pericolo di vita. E il voltaggio per fare questo, era davvero di molto inferiore a quello per il quale il Great era stato progettato. Quando tutto fu regolato a puntino, Tetsuya poggiò il dito sul pulsante d’accensione del Thunder Break, senza premerlo. “Speriamo bene” disse tra se e se. L’idea che ci fosse la possibilità di mettere a rischio la vita di Hikaru, di una compagna di lotta, non gli piaceva per niente, ma non poteva nemmeno arrendersi così. Tetsuya premette il pulsante gridando il comando: “Micro Thunder Break !” Il fulmine si sprigionò dalle corna del Great, andando a colpire la cupola dell’Ultrasubmarine e diffondendosi lungo tutto lo scafo. Nella cabina dell’Ultrasubmarine, Hikaru era ancora svenuta. La corrente elettrica si diffuse lungo i pannelli metallici e attraverso i comandi. Il corpo di Hikaru fu scosso da fremiti. Finalmente la ragazza si risvegliò. Si poteva cogliere il panico nei suoi occhi quando vide, sul monitor principale della cabina, il fondo roccioso avvicinarsi sempre di più. Gridò, colta dallo spavento. Poi, senza accorgersene, tirò la cloche verso di se. L’ultrasubmarine eseguì una virata di 90 gradi. Nell’effettuare questa manovra il fondo dello scafo urtò contro la roccia, ma non subì particolari danni. “Ma che è successo?” chiese Hikaru ancora intontita. “Ne parliamo dopo, ora inseguiamo l’astronave.” L’Ultrasubmarine cominciò a prendere velocità, iniziando a risalire verso la superficie.
L’astronave di Yurak, intanto, era riuscita ad allontanarsi. Era risalita fino ai 750 metri di profondità. Il Getter Poseidon non era ancora risalito. Ryoma, Hayato e Benkei avevano deciso di sostare in zona, in attesa di notizie da Tetsuya. Il cicalino del sonar montato sul Poseidon cominciò a squillare, attirando l’attenzione di Benkei. Questi subito si voltò a guardare il quadrante: una piccola lucetta si stava avvicinando rapidamente al centro. “Cos’è?” si chiese il corpulento pilota del Getter Poseidon. Non ebbe neanche il tempo di verificare. Un’ombra gigantesca passò sopra la testa del massiccio robot adibito al combattimento subacqueo. Hayato, dalla cabina del Ryger si accorse che quella era proprio l’astronave che stavano cercando. “Inseguila, Benkei!” Non deve scappare. Senza rispondere, Benkei tirò a se la cloche di comando. Il robot si girò, i propulsori posti sotto i suoi piedi si accesero. Il Getter Poseidon si lanciò all’inseguimento dell’astronave. “Strong Missile!” Benkei premette un pulsante sul suo quadro comandi. Uno dei missili posizionati sulla schiena del robot accese i propulsori, e in pochi secondi, si staccò dalla sua postazione di lancio, e dopo un breve percorso in acqua esplose contro la corazza esterna dell’astronave. “Un altro!” Benkei premette di nuovo il pulsante. Anche l’altro missile si staccò dalla schiena del robot, ed esplose sullo scafo dell’astronave senza causare danni. “Dannazione! I missili non gli fanno niente.”
In pochi secondi, il Great Mazinger a bordo dell’Ultrasubmarine si affiancò al Getter Poseidon. Il primo ad accorgersene fu Ryoma. “Oh, Tetsuya.” Benkei si affrettò a mettere Tetsuya al corrente della situazione “I missili non gli fanno niente. Non riusciamo a rallentarlo….” Tetsuya si affrettò a rispondere dalla cabina del Great. “Deve essere rivestito di quello strano metallo alieno. Prova col Finger Net. A quanto pare quel metallo è vulnerabile all’alta tensione.” Senza farselo ripetere, Benkei seguì il consiglio di Tetsuya. “Finger Net!” Cinque proiettili partirono dalle dita del Getter Poseidon. In prossimità dell’astronave nemica, ognuno dei proiettili cambiò direzione, dispiegando un’enorme rete da pesca, la cui estremità era ancora attaccata alla mano del Getter Poseidon. La rete si poggiò su quella che poteva essere la testa dell’enorme astronave a forma di insetto, sprigionando una forte corrente elettrica. L’astronave parve accusare il colpo. Rallentò. Tetsuya decise di dare man forte nel bloccaggio. “Hikaru! Possiamo tentare di bloccarlo in qualche modo?” La ragazza, che ancora si sentiva in colpa per aver perso così iniominiosamente i sensi poco prima, non tardò a rispondere. Pigiò un pulsante. “Ultra Chains!” Dalle quattro aperture poste sul muso dell’Ultrasubmarine partirono delle catene, che andarono ad avvolgersi attorno alle ali dell’astronave.
Nella nave nemica, Yurak si accorse di essere in difficoltà. Decise di giocare la sua unica carta vincente. “Fate uscire il mostro cibernetico Ei Ei. Mentre loro saranno impegnati a combattere, noi potremo battercela.” Il portellone dell’astronave si aprì e da esso ne uscì un mostro cibernetico dalla forma di razza. Il naso dell’animale era una enorme sega lunga; all’estremità della coda era ben visibile una trivella; gli occhi dell’animale erano di un color rosso intenso, imbottito com’era di vegatron. Uscendo dal suo alloggiamento, il mostro usò la sua lama per tranciare la rete e le catene che avvolgevano l’astronave, poi si scagliò contro quelli che aveva individuato come i suoi avversari. L’Ultrasubmarine e il Getter Poseidon si spostarono di lato, facendo passare l’enorme razza in mezzo a loro. L’astronave intanto continuò la sua risalita in superficie, a grande velocità. L’Ultrasubmarine e il Getter Poseidon provarono ad inseguirla, ma le loro manovre furono ostacolate dal mostro che si frapponeva tra inseguitori e inseguiti. Ryoma aprì un canale di comunicazione verso Tetsuya e Hikaru: “Tetsuya, ci pensiamo noi a questa bestia. Voi inseguite l’astronave.” Pronta arrivò la risposta di Tetsuya: “Aspetta Ryo. Se come penso, questa bestia è ricoperta di quel misterioso metallo alieno, allora io ho più possibilità di combatterla efficacemente. Lascialo a me. Voi inseguite l’astronave.” Hayato si rese conto che Tetsuya aveva ragione. “Facciamo come dice lui, Ryo.” “Va bene. Benkei. Apriamo la formazione ed inseguiamo l’astronave. Tetsuya, il mostro è tutto tuo.” Benkei non perse tempo. Tirò la leva di sganciamento. “Open Get!”. In pochi istanti, il Getter Poseidon cambiò forma. Ora si vedevano chiaramente le tre Get Machines agganciate. In un battito di ciglia, i tre caccia si sganciarono e si lanciarono all’inseguimento dell’astronave.
Con una preoccupazione in meno, Tetsuya potè finalmente concentrarsi sul suo avversario. “Hikaru, cerchiamo di trascinarlo fuori dall’acqua. Il Great Mazinger non può utilizzare tutta la sua potenza, in mare.” “Va bene, Tetsuya.” Il mostro si lanciò contro di loro. La lama, incastonata nel suo “naso” cominciò a roteare. Le due masse metalliche si scontrarono, ma l’Ultrasubmarine ne uscì indenne. “Ultra chains!” gridò di nuovo Hikaru. Come prima, le quattro catene partirono dalle aperture poste sul muso del veicolo acquatico, ed andarono ad avvolgere l’enorme razza. L’Ultrasubmarine cominciò una risalita veloce verso la superficie del mare, trascinandosi dietro il mostro. Finalmente, dopo pochi minuti, l’Ultrasubmarine emerse. Hikaru aprì subito la cupola di protezione. Il Great Mazinger si alzò in piedi, aprendo le ali. Spiccò un balzo, decollando. Pochi secondi dopo anche EiEi emerse dalle acque, dirigendosi verso il Great a tutta velocità. Era una razza, quindi poteva combattere agilmente anche in cielo. Ma il Great Mazinger era già sopra di lui, e brandiva non una, ma ben due spade. Il Great si lanciò in picchiata contro il mostro, e conficcò le spade nell’unico punto vulnerabile della bestia: gli occhi. Poi riprese quota. Quando Tetsuya ritenne di essere sufficientemente in alto, il Great si fermò a mezz’aria, volteggiando sopra l’avversario. L’elettricità si formò attorno alle sue corna, formando un ponte elettrovoltaico. “Thunder Breaker!” La scarica si condensò nelle cinque dita della mano destra del Great. La mano si abbassò, puntata sul mostro. 50.000 Volts di potenza elettrica si scaricarono sulle lame che il Great aveva conficcato negli occhi della razza poco prima, e da queste, si diffusero all’interno dei meccanismi del mostro. Questi dapprima si agitò, come in preda a degli spasmi, poi, sul suo corpo cominciarono a formarsi delle piccole bolle che esplosero, rilasciando metallo fuso. Infine, tutto il corpo esplose con un enorme boato e in un’enorme nuvola di fumo bianco. I pezzi della corazza precipitarono in mare a poco a poco. Tetsuya si votò con il Great per assicurarsi che Hikaru stesse bene. La vide fuori dalla cabina dell’Ultrasubmarine, adagiato sulla superficie del mare, che agitava la mano in segno di saluto. I mezzi dell’Istituto per la Ricerca Spaziale stavano già arrivando per recuperare il mezzo e la ragazza. Era tutto a posto. Tetsuya spinse la cloche in avanti. Il Great si voltò, lanciandosi all’inseguimento dell’astronave pirata.
Capitolo 20
Le Getter Machines, intanto, erano incollate all’astronave pirata che stava salendo sempre più in quota. “Fermati maledetto!” gridò Ryoma spingendo un pulsante sul quadro comandi. Due piccoli missili apparirono da dei vani nascosti sulle ali del Dragon. Dopo essersi accesi, si staccarono dal loro alloggiamento, ed andarono ad esplodere contro l’astronave. Hayato e Benkei imitarono l’esempio di Ryoma sparando a loro volta i loro missili. Ancora una volta niente da fare. L’astronave era indenne, ed in più stava guadagnando terreno, allontanandosi sempre di più. Hayato aprì una comunicazione verso il Dragon: “Ryo, con le singole machines non ce la facciamo a inseguirlo. Dobbiamo formare il Getter Dragon. In volo è più veloce delle singole machines.” Ryo si affrettò a rispondergli. “Hai ragione Hayato.” Poggiò la mano sulla leva del cambio, impugnandola. “Change Dragon! Switch On!” Tirò la leva con energia. Hayato e Benkei nelle loro machines fecero lo stesso. I tre velivoli assunsero la formazione: Dragon in testa, Ryger al centro, Poseidon in coda. La distanza tra le tre macchine diminuì progressivamente, poi si agganciarono. In pochi secondi, la massa di metallo assunse la forma del Getter Dragon. Ryo tirò un’altra leva sul quadro comandi. “Mach Wing!”. Da dietro il ‘coprispalle’ del Getter spuntò quello che sembrava un grosso mantello, mentre sulle caviglie del robot spuntarono degli alettoni. Il Getter Dragon si lanciò all’inseguimento dell’astronave a forma di insetto. “Non scappare!” gridò Ryoma a denti stretti. Improvvisamente, due figure si allinearono al Getter Dragon. Il robot voltò la testa per vedere di chi si trattasse. Alla sua destra c’era Venus Ace , mentre alla sua sinistra, con grande sorpresa di Ryoma c’era Dianan A. Sayaka gli fece l’occhiolino dalla cabina di pilotaggio. Questa non era più aperta. Una cupola di quello che sembrava vetro ricopriva l’alloggiamento dello Scarlet Mobile nella testa della lady robot. Agganciata alla schiena aveva un razzo, molto somigliante al Venus Scrander. Il volto sorridente di Sayaka apparve sul monitor di Ryoma. “Ci siamo anche noi, Ryoma.” Di nuovo la ragazza gli fece l’occhiolino. Ryoma sorrise. “Bene ragazze, conto su di voi!”. I tre robot aumentarono la velocità, fino quasi a raggiungere l’astronave di Yurak.
Sull’astronave, intanto, l’equipaggio era in preda al panico. Ormai erano certi di non potersi più salvare. Yurak era ai comandi, e stava sudando copiosamente. Vide nel radar che i tre robot nemici lo stavano raggiungendo. “Maledizione! Non abbiamo scampo.” Stava cominciando a contemplare l’idea di arrendersi. Nonostante lo scafo della nave fosse rivestito in zormannium, Yurak era certo che i terrestri ormai sapevano come neutralizzarlo. Di tutte le sfortune. Proprio su un pianeta che usa l’alta tensione come una delle primarie fonti di energia dovevano essere mandati. “Dannatissimo Narkis. Se riesco a tornare vivo su Fleed verrò personalmente a torcerti il collo.” I tre robot ormai erano vicinissimi. Improvvisamente, sullo schermo delle comunicazione interne comparve il volto di Salya: “Cercherò di prendere tempo e di fermarli. Voi approfittatene per fuggire.” Yurak restò interdetto. “Salya, ma questo vuol dire morte certa. Non farlo.” Salya sorrise sarcasticamente. “Perché restare nell’astronave, che vuol dire secondo te? Preferisco andarmene così, come ho sempre vissuto. Combattendo in prima linea, da vero membro della guardia imperiale.” Solo allora il capitano Yurak notò il sigillo della Guardia imperiale di Vega cucito sulla manica della tuta di Salya. Poi vide la ragazza indossare un casco rosso e afferrare le leve di comandodel suo disco. Le ultime parole della ragazza che il capitano udì furono “Capitano Salya, pronta alla partenza.” Yurak tirò una leva sul quadro comandi. Un portellone sul retro dell’astronave si aprì. Yurak, ancora seduto ai comandi dell’astronave, esibì il saluto militare. Poi lo schermo si spense. Dal vano dell’astronave di Yurak uscì una flotta di midiufo. Solo quello di Salya era manovrato da un pilota. Gli altri dieci dischi erano tutti droni programmati per il combattimento aereo. La flottiglia di dischi si diresse contro i tre robot terrestri che si stavano avvicinando.
Il Getter Dragon, Venus Ace e Dianan Ace si arrestarono volteggiando in aria, pronti a respingere l’attacco dei midiufo. Questi cominciarono a sparare i loro raggi verso i robot terrestri. Una mossa del tutto inutile. I tre robot ruppero la formazione che avevno tenuto fino a quel momento, evitando così i raggi dei midiufo. Getter Dragon fu il primo a contrattaccare. “Getter Tomahawk” gridò Ryoma nella cabina del Dragon,attivando il comando di sganciamento. I ‘bottoni’ posti sulle spalliere del robot si allungarono, rivelando due manici. Il gigante meccanico li afferrò, e quando li ebbe estratti, stava brandendo due scuri bipenni, una per ogni mano. Si piegò all’indietro per prendere slancio, e poi lanciò i due mortali arnesi. Le asce, dopo aver roteato nell’aria tranciarono di netto due dei droni. Anche le lady robot, dal canto loro si diedero da fare. “Photon Missiles!” dal petto di venus Ace partirono due missili. Altri due droni caddero. “Scarlet Beam!” dal gioello posto poco piu in alto della fronte di Dianan Ace, corrispondente al faro della Scarlet Mobile, partì un raggio rosa a forma di spirale. Un altro drone esplose in mille pezzi. Poi toccò di nuovo al Getter Dragon. “Getter Beam!” Il raggio color rosa si sprigionò dal ‘gioello’ posto sopra la fronte del Getter Dragon. Voltando la testa per dirigere bene il raggio il rosso robot pilotato da Ryoma fece fuori altri quattro droni. Venus Ace completò l’opera. “Photon Beams!” dagli occhi della lady robot partirono i raggi di foto potenza che andarono a schiantarsi contro l’ultimo drone distruggendolo. Restava un solo disco ancora. Sayaka, che tra tutti e tre era la più impulsiva, attaccò per prima. “Photon Missiles!” I missili partirono dal petto di Dianan Ace, diretti verso l’ultimo disco, ma con grande sorpresa della ragazza, questo li evitò, con una manovra agilissima. “Cosa?” gridò la ragazza in preda allo stupore.
Dentro la cabina del suo disco, il capitano Salya sorrise tra se. “Sciocchi terrestri. Ora vi renderete conto.”
Sotto gli occhi attoniti di Ryoma, Hayato, Benkei, Jun e Sayaka, l’ultimo disco rimasto cominciò piano piano a cambiare la sua conformazione, assumendo una forma del tutto diversa. Quando la metamorfosi fu completa, davanti a loro non c’era più un midiufo, ma il disco mostro Jiru Jiru, l’unico mostro che avesse avuto fattezze femminili nell’esercito di Vega. Una grossa falce di luna adornava la sua testa, dove era posta la cabina di pilotaggio. Lo stesso mostro, in passato, era stato pilotato dalla sfortunatissima Mineo. Jiru Jiru non perse tempo. Un raggio Vegatron partì dai suoi occhi, diretto verso il Getter Dragon. Come era successo prima, i tre robot ruppero la formazione, evitando cosi il colpo. Sayaka si mise in contatto con Ryoma: “Ryo, Hayato, Benkei, non lasciatevi scappare l’astronave. A questa qui ci pensiamo noi.” Jun si unì alla proposta di Sayaka “Vai Ryo. Questa qui è tutta nostra.” Ryoma non poté non avvertire l’orgoglio tipico delle donne, in quella affermazione delle due ragazze, come se si trovassero di fronte a una rivale che voleva rubar loro il palcoscenico. Hayato, dal Ryger, fece una risatina sommessa. “Le donne sono terribili quando si arrabbiano. Ryo, facciamo come dicono.” Ryoma era ancora indeciso. Hayato lo rassicurò. “Ehi, si tratta di Jun e Sayaka, non di due novelline qualunque. Se la caveranno.” Ryoma sorrise a quell’affermazione del compagno di squadra. “Hai perfettamente ragione Hayato. Forza andiamo!” Il Dragon si lanciò di nuovo all’inseguimento dell’astronave. Jiru Jiru si voltò, per cercare di fermarlo, ma Venus e Dianan si posero davanti a lei. “Eh no!” Disse Sayaka. Jun le fece eco “Ora te la dovrai vedere con noi, cocca.”
Salya non perse tempo. Vistasi sfuggire il Getter Dragon, rivolse le sue attenzioni verso le due lady robot. Sparò dapprima un raggio di Vegatron dagli occhi. Venus Ace contrattaccò con i photon beams. Poi fu il turno di Sayaka di attaccare. Approfittando di un attimo di distrazione della veghiana, Dianan Ace eseguì una perfetta mossa di judo sull’avversario, facendola precipitare di quelche decina di metri verso il basso. Jiru Jiru non si scompose. Recuperò l’assetto e si lanciò di nuovo all’attacco, stavolta lanciando due missili. Anche stavolta le ragazze non si fecero cogliere impreparate. Lo Scarlet Beam di Sayaka neutralizzò i due missili. Poi le due lady robots scesero in picchiata verso Jiru Jiru che stava risalendo. Un doppio calcio incrociato spedì di nuovo il mostro femmina qualche metro più in basso. Di nuovo, Salya si rimise in assetto e cominciò a risalire, contrattaccando con i raggi vegatron che sparava dagli occhi. Improvvisamente aumentò la sua velocità al massimo, raggiungendo Venus e Dianan in pochi centesimi di secondo. Le ragazze fecero appena in tempo ad evitarla allargandosi e rompendo la formazione. Jiru Jiru stava ora dando loro la schiena. Jun si accorse che i motori principali erano proprio sulla schiena del robot. Aprì una comunicazione verso Sayaka. “Sayaka, il punto debole di quel robot è la schiena. E’ li che sono posti i reattori per il volo. Appena si volta di nuovo, dobbiamo cercare di colpirli in modo da neutralizzarla.” “Bene Jun, ricevuto.” Jiru Jiru intanto era di nuovo scesa in piacchiata contro le due ladyrobot, alla massima velocità. Venus e Dianan aprirono di nuovo la loro formazione, lasciando passare Jiru Jiru, ma quando tentarono di colpirla, questa era già ben lontana. Le due ladyrobots si posizionarono schiena contro schiena, pronte a ricevere un nuovo attacco supersonico di Jiru Jiru. L’attacco non si fece attendere. Jiru Jiru si avvicinò a forte velocità. Fu un attimo. Jun e Sayaka ruppero di nuovo la loro formazione, qualche secondo prima che Jiru Jiru le raggiungesse. Quando Salya si accorse dell’errore che aveva commesso, era già troppo tardi. “Dual Beam!” gridarono in coro Jun e Sayaka. Dagli occhi di Venus partirono i Photon Beams, mentre dalla fronte di Dianan partì lo Scarlet Beam. I raggi si infransero sui propulsori di JiruJiru facendoli esplodere. Salya gridò. Senza più spinta, il mostro femmina cominciò a precipitare verso il suolo. Jun e Sayaka si lanciarono subito in picchiata, spingendo al massimo sui reattori dei loro Scrander. Afferrarono ciascuna un braccio del mostro femmina, il cui corpo, benché privo di propulsori, era ancora intatto e funzionante. Jun aprì un canale di comunicazione diretto verso JiruJiru. “Non credere che ti lasciamo morire così, cocca. Hai un sacco di domande a cui devi rispondere.”
In quel momento il Great Mazinger sfrecciò davanti alle ladyrobots. Venus Ace alzò la mano libera e salutò il compagno. Sullo schermo di Jun comparve il volto di Tetsuya. “Vedo che ve la siete cavata benone.” Disse rivolgendosi, sorridente, alla compagna. Jun gli strizzò l’occhio. “Perché, che ti credevi?” Tetsuya sorrise di nuovo. “Non avevo dubbi in proposito.” Jun si fece seria. “Ryo e gli altri stanno inseguendo l’astronave nemica. Noi portiamo questa tipa alla base per interrogarla.” “Bene – rispose Tetsuya – Ci vediamo dopo” Detto questo il Great Mazinger scomparve dalla vista delle due ragazze. Nella cabina del JiruJiru l’espressione di Salya era furente. Lei, un capitano della gloriosa Guardia Imperiale di Vega, sconfitta da due ragazzine terrestri. Ancora non riusciva a crederci.
L’astronave di Yurak, intanto continuava la sua fuga. Il Getter Dragon era sempre alle sue spalle e la stava tempestando di raggi Getter, a breve intermittenza l’uno dall’altro. Continuando così, presto la corazza di zormannium avrebbe finito per cedere. L’unica speranza era di riuscire a superare l’atmosfera terrestre. Stando alle informazioni che Yurak aveva ricevuto da Narkis, il Getter Robot non era in grado di uscire dall’atmosfera terrestre. “Forza, ancora un po’” Improvvisamente, l’aria intorno all’astronave diventò più calda. Le lancette sui misuratori di temperatura cominciarono a spostarsi verso l’alto. L’astronave aveva raggiunto la stratosfera. Ancora un po’ e sarebbero stati nello spazio aperto.
Sotto l’astronave, il Getter Dragon continuava a sparare il suo raggio. Hayato si accorse per primo che stavano raggiungendo la stratosfera. “Attento Ryo. Siamo vicini alla stratosfera. Se avanziamo ulteriormente senza protezione, faremo la fine dei polli arrosto.” Ryo non si scompose. Tirò una leva sulla consolle davanti a lui. “Barriera Getter.” Il robot cominciò a brillare, avvolto da una strana luce rossastra. Poi anche attorno a lui l’aria cominciò a scaldarsi.
L’attrito era ben visibile su tutte e due le superfici metalliche. Sembravano due macchie rosse che si stavano arrampicando sulle volte del cielo. Poi, finalmente, le fiamme scomparvero. Sia l’astronave sia il Getter erano usciti dall’atmosfera terrestre. Ora erano nello spazio aperto. Ryo tolse la barriera Getter. Ormai non serviva più. L’inseguimento dell’astronave continuava. “Ryo, attento all’ossigeno. Non possiamo inseguire a lungo quell’astronave.” Disse Hayato, come sempre il più previdente fra tutti. “Non ti preoccupare Hayato. Se è come penso, tra poco la corsa di quell’insettaccio avrà fine.” Rispose Ryo. Hayato dalla sua cabina sorrise. Aveva capito cosa intendeva Ryoma. Improvvisamente, l’astronave accelerò bruscamente, lasciando un po’ indietro il Getter Dragon. Ryoma non si perse d’animo. Accelerò anche lui. In breve si riportò a distanza d’attacco e ricominciò a tempestare di Getter Beams lo scafo del gigantesco insetto.
Yurak, ai comandi dell’astronave, era sempre più stanco. Ormai dubitava di poter resistere ancora a lungo. Poi vide qualcosa sullo schermo che gli fece raggelare il sangue nelle vene. Una flotta di una decina di robots rossi si stava avvicinando alla sua astronave. Sembravano degli enormi pipistrelli, con quelle loro teste alle cui estremità si trovavano quelle che sembravano delle enormi orecchie, e con quei mantelli che svolazzavano. Yurak riconobbe una certa somiglianza con il robot che li stava inseguendo. La fonte di energia rilevata all’interno dei reattori di questa squadriglia era la stessa dell’inseguitore. Non vi erano dubbi. Quelli erano Getter Robots A guidare la strana squadrigia vi era un robot rosa, molto simile a quelli rossi, se non fosse stato per le fattezze femminili. Anche questo robot rosa indossava un mantello rosso. I robot rossi impugnavano tutti quello che aveva l’aria di essere un fucile a raggi capaci di emettere anche scariche elettrovoltaiche. In breve tempo, la squadriglia ruppe la formazione, circondando completamente l’astronave di Yurak. Un canale di comunicazione si aprì dalla squadriglia verso l’astronave. Quella che ne uscì era la voce di una giovane donna. “Voi dell’astronave. Siete circondati e sotto tiro. Arrendetevi e non vi verrà fatto alcun male. Fate resistenza e verrete distrutti.” I robots rossi puntarono i loro fucili verso l’astronave. Poi un’altra voce si accompagnò a quella della giovane donna. Stavolta era una voce da uomo. “Bravissima Michiru. Ottimo lavoro.” Yurak capì di non avere più scampo. Resistere oltre significava la morte, e lui non voleva morire. I nove uomini dell’equipaggio che lo accompagnavano si misero attorno a lui. Yurak li guardò in faccia uno per uno. Poi prese in mano il comunicatore, aprì anche la comunicazione video: “Squadra Getter, sono il capitano Yurak, comandante di questa astronave. Ci arrendiamo.”