Una Nuova Era
Una nuova saga, una nuova generazione, una nuova era per il genere robotico!

SaotomeMondo

Capitolo 21

Pianeta Fleed.

Duke si alzò presto. Quello era un giorno speciale. Il giorno in cui la Hikarimaru sarebbe stata dissigillata, suggellando così la fratellanza tra Fleed e la Terra. La Hikarimaru infatti, conteneva materiali e macchinari di vari tipi e funzioni che dovevano servire alla bonifica e alla ricostruzione di quelle perti del pianeta che ancora non erano completamente abitabili, come il cosiddetto “Grande deserto”, una landa desolata dove la radioattività era ancora presente.
La cerimonia del dissigillamento prevedeva come prima cosa una gran parata, in cui si sarebbeero esibiti dapprima il Grendizer con i mezzi di supporto, e poi avrebbe fatto la sua comparsa Mazinger Z. Dopo aver fatto colazione, Duke si recò nei sotterranei del castello, dove era situata la base di Grendizer.
Una pista di lancio molto simile a quella situata nel Centro Ricerche Spaziali sulla Terra, si estendeva lungo un tunnel naturale la cui uscita stava su una parete a picco lungo cui scorreva un fiume , poco distante dal palazzo. L’uscita della pista era dietro una cascata. Duke entrò nell’enorme hangar. Lo Spacer con dentro il Grendizer era adagiato su una enorme piattaforma rotante. Tutt’intorno, vari macchinari e braccia meccaniche, ora completamente immobili, erano addette alla manutenzione dell’Ufo Robot Grendizer, il Re dello Spazio, la divinità protettrice del pianeta Fleed. Duke si avvicinò ad un pannello di controllo. Mise il suo ciondolo in una fessura che sembrava costruita su misura per esso. Le braccia meccaniche si attivarono immediatamente, cominciando a lavorare attorno al disco. Duke guardò il tutto con aria soddisfatta. “Coraggio, vecchia ferraglia. Tra poco dovrai farti vedere in pubblico. Devi essere lucido e splendente.” Il volto del robot rimase impassibile, ma a Duke sembrò quasi che lo stesse rimproverando per quel “vecchia ferraglia” che aveva pronunciato in tono scherzoso.
Negli ultimi due anni, Grendizer non era stato adoperato per combattere, bensi per ricostruire: per innalzare edifici, per arare campi, dissodare terreni, per depurare l’aria. Ormai non era più un robot da combattimento. Quel giorno sarebbe tornato ad esserlo, ma solo per celebrare la pace. Durante la parata, infatti, avrebbe dato sfoggio di tutta la sua potenza, utilizzando tutte le sue armi.

Anche Koji era molto indaffarato, dal canto suo. Aveva preferito passare la notte nella Hikarimaru, anziché a palazzo. Nonostante le insistenze di Maria perché restasse. Anche lui si era separato da Maria malvolentieri, la sera prima. Lei aveva insistito per raggiungerlo alla Hikarimaru, ma Koji aveva rifiutato con la scusa che “Una principessa di sangue reale non può abbassarsi a dormire nella angusta cabina di una astronave interstellare.” Maria gli aveva risposto che del titolo e dell’etichetta non le importava nulla, che su Fleed non era una cosa importante, ma Koji aveva rifiutato lo stesso. Non perché non volesse far salire Maria sull’astronave, ma perché aveva paura che la ragazza, vagando per i corridoi, scoprisse il regalo “molto speciale” che lui voleva farle il giorno dopo, stivato in uno dei container della Hikarimaru.
Avevano tuttavia cenato insieme in uno dei locali più eleganti di Fleed City, e poi Maria lo aveva riaccompagnato allo spazioporto. La cosa non era sfuggita a qualche paparazzo. La mattina successiva, infatti, Koji aveva visto sul canale Fleediano un reportage su di lui e Maria che cenavano. “Al diavolo! Certe cose non cambiano neppure su un altro pianeta!” pensò. Poi fece rapidamente una doccia e si mise al lavoro. Per prima cosa fece l’inventario di tutte le merci stivate dentro l’astronave. Doveva essere sicuro che non mancasse niente dopo la mancata incursione dei Veghiani del giorno prima. Ma i container erano intatti.
Poi procedette al controllo di tutti i sistemi di Mazinger Z, dello Scrander e dei tre Spacer. Nulla doveva andare storto quel giorno, perché, con molta probabilità, sarebbe stato uno dei più importanti della sua vita. Alla fine preparò il “set”. Il programma della parata, infatti, prevedeva di mostrare anche l’agganciamento del Jet Pilder al robot, con tanto di uscita dello stesso da un hangar con piscina come quello dell’Istituto di Ricerche sulla Foto Potenza. Koji premette alcuni pulsanti e leve.
I container della Hikarimaru si spostarono, come una grande scatola cinese, cambiando di posto tra loro e posizionandosi diversamente all’interno dell’astronave. Sembrava che gli organi interni di un enorme essere si stessero spostando all’interno del suo stesso corpo. Alla fine, nella parte superiore dell’astronave, era visibile una grande piscina, l’esatta replica di quella presente all’Istituto di Ricerca sulla Foto Potenza. Poi, manovrando altre leve, Koji fece spostare Mazinger Z proprio all’interno di quel container. Ora la “messinscena” era davvero pronta.

A mezzogiorno, lo spazioporto, ed in particolar modo il dock attorno alla Hikarimaru, era già gremito di folla. Vi erano radunate persone di tutte le etnie presenti su Fleed, e naturalmente anche visitatori da altri pianeti, venuti apposta per l’occasione. Tra gli spettatori, si potevano notare anche parecchi Boazani e abitanti del pianeta Ruby, che una volta era stato soggiogato da Vega, e a cui Fleed aveva dato la sua assistenza nella ricostruzione. Moltissimi erano i bambini, venuti apposta per ammirare dal vivo i loro beniamini. A mezzogiorno e mezza, la banda reale di Fleed, assieme al coro maschile della filarmonica di Fleed City, aprirono la cerimonia intonando l’inno di Grendizer. Le note di “Tobe! Grendizer” si diffusero nell’aria, per la gioia di tutti, che iniziarono a cantare anche loro, accompagnando il coro.
Mentre la folla cominciava a festeggiare, l’enorme pista dietro la Hikarimaru fu fatta velocemente sgombrare dagli uomini del direttore Shimmu. Fu preparato un enorme spazio vuoto di circa un chilometro quadrato. Su di esso vennero posizionati degli enormi bersagli da tiro a segno. Poi sulla pista comparvero, da degli hangar sotterranei abilmente mascherati, alcuni miniufo dell’ex impero di Vega. Erano, naturalmente, delle perfette repliche radiocomandate. All’una in punto, Grendizer fece la sua comparsa in cielo, salutato dalle urla della folla adorante. Koji stava assistendo al tutto, pronto a dare i comandi dalla Hikarimaru. Alcuni miniufo si levarono in volo, avvicinandosi a Grendizer con aria minacciosa. Nell’aria si udì un comando. “Spin Saucer!”
I dischi posti alle estremità delle ali di Goldrake si aprirono a bocciolo, assumendo la configurazione a lama rotante. Iniziarono a girare e dopo aver raggiunto la massima velocità, si staccarono dall’ala, volando verso due minidischi. I velivoli vennero tranciati a metà, esplodendo e disintegrandosi in aria, senza lasciare detriti. I dischi invece, tornaronoa poggiarsi sulle ali. Poi altri Ufo si avvicinarono a Grendizer. Un altro comando urlato: “Spin Drill!”. Di nuovo i dischi posizionati sulle ali di Grendizer si aprirono, rivelando questa volta due piccoli cannoni che sparavano quelle che sembravano delle piccole trivelle appuntite. I piccoli missili si accesero. Ne furono sparate tre reffiche da ogni lato, per un totale di sei missili. Questi si conficcarono in uno dei due miniufo che esplose immediatamente. Poi un altro comando: “Melt Shower!” Dalle fessure poste sulla parte superiore del disco fuoriuscì a grande velocità un liquido verdastro: il micidiale acido scoperto dagli scienziati di Fleed in grado di sciogliere qualsiasi lega metallica. Infatti, del modello di miniufo non rimase alcuna traccia. Dentro l’abitacolo dello Spacer, Duke sorrise soddisfatto, sotto la visiera che ricopriva il suo volto. Distruggere dei semplici modelli radiocomandati per far divertire la folla sotto di lui era certamente molto più appagante che combattere sul serio. Ma ora era il momeno di far uscire il robot. Duke tirò la leva posta sopra di lui. “Shoot In!”
Il sedile calò ad altissima velocità lungo il corridoio di collegamento tra il robot e il disco. A metà percorso, effettuò una giravolta su se stesso, poi, finalmente, il sedile si posizionò nella cabina di comando del robot. Duke attese che tutti i led fossero accesi, confermandogli la piena operatività dell’automa. Poi, tirò una leva posta alla sua sinistra. “Dizer Go!”
La parte anteriore del disco, quella da cui spuntava la testa, si aprì, rilasciando così il corpo dell’enorme robot antropomorfo. Una breve propulsione in avanti e il robot fu finalmente libero dal disco. Atterrò davanti alla folla con una perfetta capriola. Il pubblico era estasiato e si stupì non poco dell’enorme agilità dimostrata da Grendizer. Nello spazio vuoto dello spazioporto, i bersagli erano gia posizionati e pronti. “Screw Crusher Punch!” Le braccia di Grendizer si alzarono prendendo la mira, mentre le estremita rosse e appuntite si stavano aprendo a fiore. Duke inquadrò due dei bersagli, uno per braccio. Nel frattempo le estremità appuntite si erano richiuse verso l’esterno, formando un cuneo.
Si intravide del fumo fuoriuscire dai gomiti del robot, poi le braccia si staccarono e si diressero a grande velocità verso il bersaglio, mentre il cuneo montato su di esse aveva cominciato a ruotare a grande frequenza. I due bersagli di metallo furono letteralmente sbriciolati dai due pugni, che subito tornarono indietro, compiendo una traiettoria a parabola e una rotazione su se stessi di 180 gradi, per riconnettersi infine ai gomiti. Poi si aprirono dei portelloni sulla pista, e degli enormi macigni presero il posto dei bersagli. Duke, dentro la sua cabina, urlò un altro comando: “Anti Gravity Storm”. Dalla decorazione rossa sul petto del robot, partì un raggio color arcobaleno che avvolse completamente i massi. Poi accadde l’incredibile. I massi si sollevarono in aria, sotto l’effetto del raggio. Grendizer li sollevò parecchi metri sopra di se, forse una vetina o una trentina, poi, sollevò di nuovo le braccia per prendere la mira. “Handbeam!” Dalle nocche di Grendizer partirono sei raggi color rosa, tre per mano. Quando colpirono il macigno, questi si sbriciolo in mille pezzi. Duke chiuse il circuito dell’anti gravity storm. I frammenti dei macigni cominciarono a ricadere a terra. “Dizer Beam” dagli occhi di Grendizer partirono dei raggi gialli, che in pochi secondi polverizzarono tutti i detriti. A questo punto, due minidischi attaccarono dall’alto il robot, esattamente come da programma. Il direttore Shimmu aveva fatto davvero un buon lavoro.
“Shoulder Boomerang!” le due lame alloggiate sulle spalle del robot, si staccarono a velocità fulminea, e compiendo varie complicatissime rotazioni, tranciarono in due i minidischi, che esplosero, come sempre, senza rilasciare pericolosi rottami. Le due lame poi, sempre compiendo delle spettacolari evoluzioni, tornarono verso il robot. Ma duke urlò un altro comando: “Double Harken!”dagli stessi alloggiamenti da cui erano prima partiti i boomerang spuntarono due grossi bastoni. Grendizer li prese in mano, estraendoli completamente, li unì, formando una lunga asta. I boomerang si posizionarono alle estremità dell’asta. Grendizer ora brandiva una enorme alabarda. Un grosso macigno fece la sua comparsa sulla pista. Grendizer si mise in posizione, agitando la sua arma. Un colpo preciso, ben calibrato e rapidissimo. Il macigno si spezzò in quattro parti nette. Poi, rapidamente come era apparso, il macingno scomparve, lasciando posto ad una nuova fila di 10 bersagli. Il gran finale. Duke urlò un nuovo comando: “Space Thunder!”
Le grosse corna dorate del robot cominciarono a brillare, ed in breve formarono un ponte elettrovoltaico di centinaia di migliaia di volts. Poi la corrente fu pian piano accumulata dalle piccole borchie poste sull’elmo del robot. Un potentissimo fulmine partì dalla testa del robot, un tuono squarciò l’aria. In un breve istante, tutti i dieci bersagli furono avvolti dalle fiamme e bruciarono in pochi secondi. Grendizer si girò verso la folla che scoppiò in applausi e grida entusiastiche. Il robot alzò la mano in segno di saluto. Proprio in quell’istante tre portelloni della Hikarimaru si aprirono, rivelando tre strane strutture cubiche, coperte da una saracinesca sul davanti. Erano l’esatta riproduzione delle catapulte di lancio dei tre spacer di supporto del Centro Ricerche Spaziali. Le saracinesche si aprirono rivelando i tre veicoli di supporto di Grendizer: il Double, il Marin e il Drill Spacer. Immediatamente i tre veicoli accesero i loro propulsori, e decollarono dal loro alloggiamento. Non c’era nessuno a pilotarli. Koji dalla Hikarimaru, si mise in contatto con Duke. “Gli spacer adesso adoperano lo stesso sistema di comando remoto che è montato nello Spacer originale. Puoi usarli come vuoi, Duke.” Immediata la risposta: “Bene Koji. Ottimo lavoro.” “Fai il tuo numero. Io intanto vado a prepararmi per il mio.” Mentre Koji lasciava la sala radio, i tre Spacer sorvolarono la folla rilasciando una vistosa scia di fumo bianco. Duke mosse la leva di comando.
Grendizer fece qualche passo di corsa, poi spiccò un balzo con giravolta verso l’alto.
“Combination Cross! Double Spacer” Al comando di Duke, il Double Spacer ruppe la formazione e si allineò a Grendizer, agganciandolo. Altri tre minidischi si alzarono in volo. Uno venne centrato dal Double Cutter, uno fu fatto esplodere dai Double Missile, il terzo cadde sotto il Cyclone Beam. Il double Spacer si sganciò lasciando il posto al Marin Spacer. Si ripetè quasi la stessa scena: un minidisco fatto fuori dai Marin Missile, uno dal Marin Cutter, il terzo dal Marin Beam. Il Marin Spacer lasciò il posto al Drill Spacer. Anche stavolta si fecero vivi due minidischi. Uno fu centrato dai Drill Missile, mentre all’altro ci pensò lo Spark Bomber. Infine Grendizer, agganciato al Drill Spacer, si lanciò in picchiata, con le trivelle completamente estratte e funzionanti. Centrò un macigno che era stato posizionato al centro della pista. Poi, Grendizer si sganciò, e nuovamente si rivolse alla folla. Poi, il robot girò la testa verso la Hikarimaru. La voce di Duke risuonò nell’aria. “Ora a te Koji. Mostrati, Mazinger Z.”
Le tre catapulte di lancio degli Spacer furono ritirate. Un nuovo portellone si aprì sulla superficie della Hikarimaru, rivelando quella che sembrava una piscina. Il pubblico ammutolì, non capendo cosa stesse succedendo. Da una piccola apertura di lato della Hikarimaru, fece la sua comparsa il Jet Pilder. Il piccolo velivolo fece alcuni giri attorno alla testa di Grendizer. Koji e Duke si scambiarono un saluto dalle cabine di pilotaggio, poi, il Pilder si fermò volteggiando sopra la piscina. La voce di Koji proruppe sulla piazza antistante: “Mazin Go!” La piscina cominciò piano piano a svuotarsi dell’acqua in essa contenuta, rivelando due enormi portelloni sul suo fondo che si stavano aprendo piano piano. Quando i portelloni furono spalancati del tutto, Mazinger Z venne innalzato verso l’esterno dell’astronave da un enorme martinetto idraulico. Quando la fortezza d’acciaio ebbe rivelato completamente il proprio massiccio corpo, al comando di Koji “Pilder On!” il piccolo velivolo si posizionò dolcemente nell’alloggiamento della testa del robot. Gli occhi della fortezza d’acciaio si illuminarono di potenza. Il Nero gigante fece un passo, poi un altro. E infine spiccò un balzo che lo portò a posizionarsi proprio al fianco di Grendizer, a cui strinse la mano.
Ora fu il turno di Mazinger Z di mostrare tutta la sua potenza, continuando lo show. Nuovi bersagli si posizionarono sulla pista. Mazinger Z alzò il braccio, a prendere la mira. La voce di Koji risuonò di nuovo nell’aria: “Iron Cutters”. Dagli avambracci della fortezza d’acciaio spuntarono due affilatissime ascie. Poi, come era successo prima per Grendizer, del fumo cominciò a uscire dai gomiti del robot, ed un secondo dopo, gli avambracci si staccarono dai gomiti di Mazinger Z, andando a colpire il bersaglio. Mazinger diede una dimostrazione di tutte le armi a sua disposizione. Con i Drill Missiles sbriciolò un macigno, e con il Missile Punche ne fece esplodere un altro, fondendo poi i detriti con il Breast Fire. Poi, con i Photon Beams centrò una serie di 10 bersagli. A questo punto diede dimostrazione delle sue capacità combattive in aria, agganciandosi al Jet Scrander e distruggendo altri modellini di mini dischi con i Southern Cross Knife, con lo Scrander Cutter, e infine nuovamente con i Drill Missile e con i Photon Beams. Poi, Mazinger Z atterrò nuovamente al fianco di Grendizer, a cui strinse di nuovo la mano. Con un balzo, saltò di nuovo sulla Hikarimaru, dai cui portelloni stavano cominciando a spuntare le prime, enormi casse. Mazinger Z cominciò a spostare le casse, poggiandole tutte su un grosso tapis-roulant, perché fossero portate alla loro destinazione finale. Poi, quando i lavori di scarico furono ben avviati, Mazinger Z si voltò verso la folla. Koji prese la parola. “Ho ancora un dono. Ma questo non è da parte dei governi della Terra. E’ un dono che io personalmente vorrei fare….” Un altro portellone si aprì. La stessa piattaforma che prima aveva sollevato Mazinger Z ora stava sollevando qualcos’altro. E quando questo qualcosa venne alla luce, la folla ammutolì dallo stupore. Si trattava di un robot dalle fattezze femminili, molto simile a Mazinger Z, sia nella struttura che nei colori: Minerva X. Koji riprese la parola: “Come certamente sapete, Minerva X fu progettata da mio nonno, come partner di Mazinger Z. Ma fu il Dottor Hell cha la costruì, per usarla per i suoi scopi malvagi. Quando dovetti disattivarla, quasi cinque anni fa, giurai, seppellendola in fondo al mare, che Minerva si sarebbe risvegliata solo come messaggera di pace e fratellanza. Ora è giunto quel momento. Minerva X è rinata come messaggera di pace, di fratellanza tra Fleed e la Terra.” Il Jet Pilder si sganciò dalla testa di Mazinger Z, planando ai suoi piedi. Koji aprì l’abitacolo, scese dal Pilder. Un addetto gli passò un microfono.
“Io faccio dono di Minerva X a te Maria Grace Fleed, che sei la principessa di questo pianeta.” Koji si rivolse verso il palco d’onore dove Maria era seduta ed aveva assistito a tutta la parata “Minerva X è messaggera di pace ora, ma le sue funzioni sono ancora intatte. Minerva è la partner di Mazinger Z. Ed io ne faccio dono a te, Maria. Hai capito cosa voglio dirti con questo, vero?” Maria si alzò dal palco. Stava piangendo. Percorse la lunga scalinata che dal palco portava in mezzo alla folla e sulla pista. La folla riconoscendola le fece spazio. Raggiunse Koji, lo abbraccio con foga. Poi, ancora in lacrime pronunciò, con la voce rotta dall’emozione “Si, si, si!”

Nella sua camera, il Granduca Narkis, che aveva assistito a tutta la scena da uno schermo televisivo, fece cadere a terra il bicchiere da cui stava bevendo. L’ansia e la paura erano dipinti sul suo volto. “E’ la fine. La profezia si sta avverando.”

Allo spazioporto, Koji e Maria salirono sul Jet Pilder. Koji mise in moto il veicolo, senza chiudere la cupola di protezione. La folla, che prima era rimasta ammutolita, ora stava festeggiando ed applaudendo la giovane coppia. Arrivati all’altezza della Testa di Minerva X, Koji fece accomodare Maria nella cabina di pilotaggio posta sulla testa (Minerva X era stata modificato in modo da essere pilotabile, e non aveva più il circuito a forma di diamante incastonato alla sua vita). Poi il Pilder si agganciò nuovamente nella testa di Mazinger Z. Gli occhi di Minerva si illuminarono. La donna robot prese vita. Sorrise, dapprima alla folla festante sotto di lei. Poi prese a braccetto Mazinger Z che a sua volta le cinse la vita con il braccio destro. Dalla cabina di Grendizer, Duke sorrise: “Complimenti Koji. Con questa tua dichiarazione hai spiazzato tutti, anche me. Non mi ero sbagliato quando volevo affidarti Maria, sulla Terra. Vi auguro davvero tanta felicità, ragazzi.” Il pensiero di Duke corse di nuovo alla Terra, alla fattoria Shirakaba, a Hikaru. Forse era il momento di prendersi una pausa e decidersi a fare un viaggio interstellare.

Capitolo 22

Anello orbitale.

Hanuman, in fila per entrare su Fleed, era preoccupato. Non era certo che Pegas Fleed fosse ancora vivo. Però era l'unico filo di speranza per poter salvare tutti i poveri animali di Dainos a cui era stato attaccato lo Zormannium. Da dove avrebbe dovuto cominciare a cercare? Hanuman cercò di ricordare. Quando era stato che aveva incontrato Pegas Fleed. Per quanto cercasse di ricordare, non riusciva a determinare quanto tempo fosse passato. Hanuman era un cyborg. La vita, per lui, aveva un arco molto più lungo di quello di un normale essere umano. Quanto tempo era passato da quando aveva accompagnato Luda al centro dell'universo? Saranno stati almeno 80 anni. E Pegas Fleed lo aveva incontrato poco prima, ma quanto prima? Forse una decina d'anni.

L'energia cosmica era venuta meno e l'universo era infestato da mostri, mutazioni dovute alla mancanza di qualcuno, dotato di particolari poteri, che regolasse quell'energia. Hanuman, allora, era un vagabondo dello spazio. Girava l'universo a bordo di un caccia. Un vecchio velivolo che aveva rimediato sul suo pianeta d'origine, dopo che era stato trasformato in cyborg. Il suo unico scopo, allora, era lottare, dimostrare di essere il più forte. Era giunto da poco nella galassia di Vega. Aveva sentito di una banda di mostri che infestava quella nebulosa, causando non pochi problemi alla popolazione di quei pianeti. Aveva deciso di dare un'occhiata.
La galassia era davvero piena di pianeti abitati. Su alcuni di essi fiorivano civiltà tecnologicamente avanzate, mentre su altri, erano ancora allo stadio primitivo.
Le voci si erano rivelate esatte. La banda di mostri si nascondeva proprio in una fascia di asteroidi di quella galassia. Hanuman aveva subito ingaggiato battaglia, non preoccupandosi di studiare prima gli avversari. In breve era stato circondato e semidistrutto, nonostante il suo corpo fosse stato trattato con lo Zormannium, e nonostante l'astrobastone. I nemici erano davvero troppi. Fu in quel momento che un grosso disco volante intervenne a salvarlo. Un disco, per gli standard di allora, tecnologicamente molto avanzato, il massimo che la tecnologia permettesse. Il disco era pilotato da Pegas Fleed. Nonostante questo, però i mostri erano ancora troppo numerosi. Pegas si limitò a salvare Hanuman, senza ingaggiare battaglia, e si ritirò su Fleed, in attesa di preparare il contrattacco. Hanuman venne riparato da Pegas, che gli dono l'armatura di Gren, e un nuovo veicolo che sfruttava una nuova fonte di energia da lui scoperta, e che aveva montato anche sul suo disco: il fotoquantum. Nei giorni successivi, mentre Hanuman recuperava le forze, Pegas aveva modificato il suo disco, inserendovi un enorme robot, che lui chiamava Roboizer. Quando i mostri giunsero, infine, su Fleed, Hanuman, e Pegas a bordo del suo disco che aveva chiamato Gattaiger, furono in grado di sconfiggerli definitivamente. In seguito Hanuman continuò a vagare nell'universo, grazie anche allo Star Cloud che Pegas gli aveva regalato, e che gli permetteva di coprire distanze infinitamente più grandi del suo vecchio caccia. Poi, era stato convocato sul suo pianeta natale, e gli era stata affidata Luda, perché andasse al Grande Pianeta al centro dell'universo.

Il suono di un clacson spaziale nel suo apparecchio radioricevente distolse Hanuman dai suoi ricordi. Un grosso Deraniano (pianeta Dera: pianeta d'origine del comandante Haruk, l'enorme alieno che amava i piccioni e che si travestì da bambino, avvicinando Mizar. Attualmente tra Dera e Fleed sono in atto grossi scambi commerciali.), che guidava una astronave a forma di Tir gli gridò "E allora, ti vuoi muovere, moscerino? Non vedi che la fila è andata avanti da un pezzo?." Hanuman avanzò fino a raggiungere il veicolo davanti a lui, seguito dal Deraniano. Poi aprì un canale di comunicazioni verso quest'ultimo. "Mi scusi" disse a denti stretti. Per un guerriero par suo era davvero difficile chiedere scusa, e tanto più a un rozzo camionista di Dera. Si rimise in attesa. Della colonna non si vedeva la fine. Hanuman si stufò di aspettare. Il suo veicolo era piccolissimo. Poteva benissimo passare avanti a tutti senza causare incidenti. Hanuman richiuse la cabina di pilotaggio dello Star Cloud. Sorpassò in pochi minuti la fila davanti a lui e giunse davanti allo sportello. Il sensore del satellite lo esaminò attentamente. Poi, da un non ben identificato canale radio gli venne chiesto di esibire i suoi documenti. Hanuman staccò dalla sua armatura uno strano stemma: una stella a quattro punte, sormontata da una V e lo fece passare sotto il sensore. Era un oggetto riconoscibile in tutto l'universo. Lo stemma dei tre cavalieri di Luda. Hanuman era uno dei tre. Il semaforo divenne subito verde, segno che poteva passare. Hanuman rimise a posto il suo stemma ed entrò nell'atmosfera di Fleed. Discese lentamente verso la superficie del pianeta.
"Incredibile. Non si direbbe che fino a due anni fa questo era un pianeta morto." Pensò Hanuman ammirato. "Il capo di questo posto ha fatto davvero un buon lavoro."
Arrivato a pochi chilometri dalla superficie, Hanuman, improvvisamente, avvertì un forte dolore. Si portò le mani alla testa. La coroncina che portava si stava stringendo.
Quella coroncina glie l'aveva donata Luda. Lo rendeva più forte. Ma quando Hanuman diventava troppo violento contro i mostri o esagerava, Luda vi immetteva energia cosmica, facendo stringere il cerchietto e causando a Hanuman un dolore lancinante.
"Perché Luda? Perché?" gridò Hanuman.
Perse il controllo dello Star Cloud. Il veicolo cominciò a precipitare, in avvitamento. Precipitò, proprio sotto la cascata dove c'era l'hangar di Grendizer, con un enorme boato. Hanuman perse i sensi.
"Perché Luda?" continuava a ripetere anche in stato di incoscienza. Gli apparve il bellissimo volto della regina Luda. "Hanuman, io non ho fatto niente" gli disse la dea, con una voce dolcissima.
"Il cerchio attorno alla mia testa ha cominciato a stringersi. Se non tu, allora chi lo ha attivato?" chiese Hanuman, telepaticamente.
"Solo qualcuno che ha i miei stessi poteri può averlo fatto, Hanuman."
"Vuoi forse dirmi che qui, su Fleed, c'è qualcuno che ha i tuoi stessi poteri?"
"Se la tua corona si è attivata, le possibilità sono molto alte. Stai attento mio prode Hanuman. Se questa persona non sa usare i suoi poteri, potrebbe ucciderti."
Il contatto telepatico tra i due si interruppe.

Palazzo reale di Fleed. Nello studio del re erano riuniti Duke Fleed, Koji e Rui Jariten. Koji consegnò a Jariten un disco dati.
"Ecco qua, duca Jariten. Come avevo promesso al suo sovrano, le consegno il disco con tutti i dati del combattimento contro i pirati spaziali."
Rui Jariten prese in mano il disco. "Grazie, signor Kabuto."
Koji gli sorrise. "Lascia perdere il 'Signor Kabuto'. Puoi chiamarmi Koji, come fanno tutti."
"Allora, grazie Koji."
"Come sta il Granduca Jangal?" chiese Duke.
"Ho chiamato poco fa l'ospedale. E' fuori pericolo. Più tardi andrò a trovarlo. Grazie per tutto quello che ha fatto per lui e per noi, maestà." Jariten si inchinò
"Non devi ringraziarmi, Jariten. Ho fatto solo il mio dovere." Rispose Duke.
Improvvisamente un allarme risuonò nello studio. Duke accese il terminale sulla sua scrivania. Il suo volto mostrò preoccupazione. Jariten, capendo che era successo qualcosa di grave, si congedò e uscì dallo studio. Poco dopo arrivò Maria. L'allarme dello studio era collegato anche ai suoi alloggi. Koji si avvicinò all'amico. "Che succede Duke?"
"Un piccolo veicolo, più o meno delle dimensioni del tuo Pilder, è precipitato sotto la cascata dove c'è l'uscita di Grendizer."
"Ha causato qualche danno?" chiese Maria.
"No, è precipitato alla base della cascata. Ma è questo che mi preoccupa." Duke fece vedere a Koji e Maria le letture che aveva ricevuto sullo schermo.
"Accidenti. Ma questo tracciato..." - esclamò Koji stupito.
"E' quello di un motore fotonico, come quello montato sullo Spacer." Gli confermò Duke.
"Presto! Andiamo subito sul posto a vedere!" esortò Koji. In pochi minuti i tre si vestirono in tuta da battaglia e raggiunsero la base della cascata. Lo Star Cloud emergeva dall'acqua, conficcato diagonalmente nella roccia.
"Là!" esclamò Koji vedendolo.

Qualche ora dopo, Hanuman riaprì gli occhi. Era disteso su un letto enorme. Attorno a lui vide i volti di tre ragazzi. Riconobbe subito quello più anziano dei tre.
"Pegas!" esclamò
"Pegas? No, io mi chiamo Duke." Disse il giovane sovrano stupito.
I volti degli altri due giovani erano del tutto sconosciuti a Hanuman, anche se notò che la ragazza assomigliava un po’ a Pegas. "Scusami, ti avevo scambiato per qualcun altro." Disse il cyborg rivolto a Duke. "Certo però che gli somigli molto." Poi Hanuman notò il medaglione che Duke portava al collo. "Come ti chiami?" chiese in tono veemente. Duke, stupito dall'improvvisa risolutezza dello scimmiesco cyborg, rispose "Mi chiamo Duke Fleed." "Duke Fleed? Sei per caso parente di Pegas Fleed?" Duke guardò Hanuman stupito. "Come fai a conoscere il nome di mio nonno?" Stavolta fu il turno di Hanuman di essere stupito. "Sei il nipote di Pegas Fleed? Ma allora...." Hanuman fece una breve pausa. "Dov'è tuo nonno? Devo incontrarlo subito. E' una cosa della massima urgenza." Il viso di Duke si intristì "Purtroppo è morto da tempo. E' morto durante il primo attacco di Vega." Il volto di Hanuman divenne serio. "Allora non c'è proprio più alcun modo per salvare quei poveri animali di Dainos." "Animali?" chiese Koji.
Hanuman spiegò brevemente cosa era successo su Dainos e come lui e Girgilon avessero cacciato i pirati dal pianeta, e della necessità di rimuovere lo Zormannium dagli animali che erano stati trasformati in cyborg. Spiegò inoltre chi era e come aveva conosciuto Pegas Fleed. "Venga con me, Hanuman. Per fortuna i diari di mio nonno sono ancora tutti conservati nel mio studio. Forse c'è qualche accenno a come rimuovere quel metallo dagli organismi viventi." Duke, Koji, Maria e Hanuman, si avviarono verso lo studio del re. Duke prese una scala e salì su uno degli alti ripiani della sua biblioteca. Prese in mano un paio di libri, che passò a Koji e poi altri che passò a Maria: i diari di suo nonno Pegas Fleed. Prese un ultimo libro prima di scendere dalla scala. Qualcosa scivolo fuori del libro e cadde a terra. Sembrava una vecchissima foto. Era in bianco e nero, e i bordi erano orlati. Koji la raccolse. La guardò attentamente.
"Ma...." lo stupore si dipinse sul suo volto. La foto ritraeva Pegas Fleed da giovane. Somigliava davvero tantissimo a Duke. Era vestito come un terrestre, con un cappello, pantaloni scuri, una camicia bianca e un gilet. Accanto a lui c'era una ragazza, vestita in maglietta e pantaloni. "Guarda anche tu Maria." Disse Koji passandole la foto. "Non ti sembra che assomigli a qualcuno?" Maria guardò attentamente la fotografia. "Accidenti!" esclamò "Assomiglia tantissimo a Hikaru. Ma come è possibile?" Girando la foto, Maria notò che vi era scritta una dedica. La lesse ad alta voce. "Anche se saremo lontani miliardi di chilometri, io ti porterò sempre nel mio cuore, Pegas Fleed. Firmato: Hikaru Makino." Duke, che nel frattempo era sceso dalla scala, prese in mano la fotografia. La osservò attentamente. Anche lui non poté far altro che constatare la somiglianza della ragazza con Hikaru. Si mise a riflettere per qualche secondo. Poi esclamò: "Accidenti! Makino è il cognome della nonna di Hikaru. E mi aveva detto una volta che aveva preso il nome da sua nonna. E...." A Duke tornarono improvvisamente alla mente i ricordi di quando era ancora piccolo. Di quando suo nonno gli raccontava dei suoi viaggi nello spazio.
Duke si rivide bambino, seduto sulle ginocchia del nonno Pegas, che gli raccontava di un bellissimo pianeta chiamato Terra e di una bellissima ragazza di nome Luce. Gli aveva spiegato che il nome terrestre era troppo difficile da pronunciare per lui, che era piccino, e così ne aveva tradotto il significato in fleediano. Duke, gli aveva chiesto: "Ma con tutte le meraviglie che ci sono su quel pianeta, perché ti sei andato a perdere dietro una femmina?"
Pegas gli aveva sorriso, bonariamente. "Tra qualche anno lo capirai anche tu, Duke. Ma devi ancora crescere." Duke lo aveva guardato sospettoso. Poi gli aveva chiesto: "Tu vuoi bene a Luce, vero nonno?" Pegas aveva sorriso di nuovo, ed aveva annuito. Duke lo aveva guardato ancora più sospettoso. Poi aveva chiesto. "Ma vuoi più bene a Luce o alla nonna?" Pegas aveva riso a quella domanda, ma poi non aveva risposto.
"Luce....." pensò Duke. E poi si rese conto che in giapponese, hikaru è anche un verbo che significa brillare. "Ma non è possibile." Koji vide l'amico perso nei suoi pensieri. "Che c'è Duke?" Duke gli rispose distratto: "Ah, niente. Solo....siamo di fronte ad una incredibile coincidenza. Una meravigliosa coincidenza." Duke pensò a Hikaru che era sulla Terra. Dopo questa incredibile scoperta aveva ancora più voglia di rivederla. Si rese conto che il destino li aveva, in qualche modo, legati a filo doppio. Poi, si ricordò del perché erano venuti tutti nello studio. Duke, Maria e Hanuman si misero a sfogliare le pagine dei diari, alla ricerca di una soluzione. Koji, che non conosceva il fleediano, si limitava a guardare le dettagliatissime illustrazioni di Pegas. Dopo una mezz'ora Duke esclamò: "Forse ci siamo." Porse il volume a Hanuman, che lesse attentamente la pagina indicata da Duke. Il testo recitava: 'Lo Zormannium può essere rimosso senza danno dalle creature viventi se trattato a temperature bassissime, prossime allo zero assoluto.'
"Purtroppo - disse Duke rassegnato - non siamo riusciti ancora a costruire una macchina congelante che arrivi a temperature così basse. Siamo punto e a capo."
"Non è esatto." Disse Koji, stupendo tutti. "Qualcuno che era riuscito a costruire un raggio simile c'era. Duke, ti ricordi di Kirica?" Il volto di Duke si illuminò. "Ma certo. Il suo raggio congelante era in grado di raffreddare un sole." Un velo di tristezza si dipinse sul volto di Duke, Koji e Maria, nello ricordare quella sfortunata ragazza. Koji prese di nuovo la parola: "Se ricordi bene, Duke, la sua astronave non esplose, e fu poi trasportata al Centro per le Ricerche Spaziali per essere studiata."
"Ma certo." Confermò Duke. "La soluzione al suo problema, Hanuman, si trova sulla Terra. Mi metterò subito in contatto con mio padre perché vi consegnino il raggio congelante appena arrivate là." Hanuman strinse la mano a Duke, e poi anche a Koji e Maria: "Vi ringrazio tutti. Per merito vostro quei poveri animali potranno tornare alla loro pacifica esistenza."
I quattro poi si diressero verso l'hangar dove era custodito Grendizer, e dove Duke aveva fatto stivare e riparare lo Star Cloud di Hanuman.
"Ecco qua, Hanuman. Mi sono permesso di riparare e far revisionare il suo Star Cloud. Non dovrebbe avere alcun problema a raggiungere la Terra." Hanuman strinse di nuovo la mano a Duke.
"Arrivederci Duke. Questa è la seconda volta che la famiglia reale di Fleed viene in mio aiuto. Non lo dimenticherò. Sappiate che potrete sempre contare su di me, in caso di bisogno." Duke sorrise a Hanuman. "Portate i miei saluti a mio padre, il Dottor Umon, e dite a Hikaru Makiba che ci rivedremo presto. E consegnatele questa foto." Duke porse a Hanuman una piccola cornice in cui aveva sistemato la foto. Hanuman strinse la mano anche a Koji e Maria. "Grazie di tutto, ragazzi."
Poi con un balzo, salì a bordo dello Star Cloud. Accese i motori. "Star Cloud! Decollo!" La piccola nave avviò i suoi motori ed uscì dall'hangar, spuntando fuori dalla cascata. In pochi minuti raggiunse la stratosfera di Fleed e subito dopo, l'anello orbitale. Duke aveva dato disposizioni perché lo Star Cloud passasse davanti a tutti.
Fuori dalla zona trafficata, Hanuman attivò il motore fotonico, e in capo a qualche ora, era fuori dalla nebulosa di Vega. La sua destinazione: Terra

Capitolo 23

NTERMEZZO
Pianeta Helios.
Il turno in miniera era da poco terminato. Il gruppetto di persone, esausto, stava tornando verso le baracche, scortato da due guardie munite di neurofrusta. Tra di essi il giovane Kai. Rientrati nelle baracche, gli schiavi furono rapidamente nutriti. Venne portato un gigantesco calderone pieno di una brodaglia da cui spuntavano occhi e arti di animali uccisi da poco. Gli schiavi si tuffarono sul calderone, raccogliendo la brodaglia nei loro miseri piatti di legno da un enorme mestolone, anch’esso in legno. Kai aspettò che tutti avessero finito di mangiare. Lui non aveva fame. Si sentiva incredibilmente forte, specialmente dopo il turno nelle roventi gallerie della miniera. Lui stesso non se lo sapeva spiegare. Era come se si nutrisse di quel calore. Quando tutti ebbero finito di mangiare, la guardia si rivolse a Kai: “Ehi tu, ragazzino. Mangia la tua razione.” Kai si avvicino riluttante. Sistemò il resto della brodaglia bollente nella ciotola. Da essa spuntavano un occhio e un pezzo di cervello. Poi avvicinò la ciotola alla bocca, e bevve tutto il liquido in essa contenuto, mandandolo giù per la gola come se niente fosse. Poi prese in mano i pezzi di “carne”, li addentò e li mandò giù in due bocconi. La guardia sorrise, sadica. Quelli che Kai aveva mangiato erano i pezzi meno pregiati, quelli che gli altri schiavi avevano lasciato. “Bravo ragazzino.” Disse il pirata, e sferrò a Kai un calcio nello stomaco. Kai rotolò all’indietro, ma non vomitò. Il cibo che aveva ingerito era già diventato parte della sua carne e del suo sangue. Poi le guardie uscirono, richiusero la baracca con i catenacci e spensero le luci. Kai si appoggiò alla parete in posizione seduta. Chiuse gli occhi. Si addormentò. Quando riprese coscienza non era più all’interno della baracca. Era completamente nudo e si trovava in un mondo che avrebbe potuto benissimo definire “fatto di fiamma”.
Si guardò intorno disorientato. “Dove sono?” si chiese. Tutt’intorno a lui non c’era altro che il rosso delle fiamme. Kai cominciò a cammninare, ma nonostante avanzasse, il paesaggio attorno a lui non cambiava. Anzi, cambiava si, ma solo nelle sfumature di rosso, di giallo, di bianco intenso. “Dove sono?” si chiese di nuovo. Vedeva le fiamme tutt’intorno. Eppure, lui, un essere umano, in mezzo a quelle fiamme, non bruciava affatto. Anzi, si trovava quasi a suo agio. Poi sentì un suono quasi impercettibile, come un soffio di vento. Il vento nel fuoco. Kai si rese conto di quell’assurdità, di quella strana sensazione. Continuò a camminare. E man mano che avanzava, il suono diventava più chiaro, fino a quando il ragazzo non distinse chiaramente che una voce lo stava chiamando. Dapprima fu solo un sussurro, poi la voce aumentò sempre di più il suo volume, fino a risuonare chiaramente come una voce maschile profonda, che infondeva molta sicurezza. Una voce quasi paterna. Kai, che non aveva mai conosciuto suo padre, se lo era sempre immaginato con quella voce.
Ma in quel momento, disorientato com’era, non riusciva a seguire quello che gli suggeriva il cuore. “Chi sei?” chiese confuso e un poco spaventato. “Kai Raion….” Continuò a chiamarlo la voce, assegnandogli un cognome che non aveva mai sentito ne saputo di avere. Per tutti coloro che lo conoscevano, lui era sempre stato solo Kai, figlio di Fiona. “Raion?” ripetè il ragazzo, incredulo… “No…io non mi chiamo così….io sono Kai, figlio di Fiona.” La voce insistette, continuando a chiamarlo con quel nome e cognome: Kai Raion. A furia di sentirselo ripetere, il ragazzo si abituò a quel nome, e gli piacque il fatto di avere finalmente un’identità sua. Kai Raion. Si, ora sentiva davvero che quello era il suo nome. Questo fatto gli diedie coraggio. Guardò dritto davanti a sé l’orizzonte di fiamme e con voce ferma chiese di nuovo “Chi sei?” Questa volta la voce si decise a rispondergli, ma non come Kai si apettava: “Benvenuto a te, o figlio del sole.” Kai si sentì di nuovo stupito. “Figlio del sole? Io?” chiese alla voce, indicando se stesso con l’indice. La voce si rivolse di nuovo a lui. “Tu sei l’ultimo discendente della stirpe di Apollo. Una stirpe gloriosa, che ha sempre combattuto per la pace nell’universo usando il potere del fuoco. Kai Raion. Ora è giunto il momento che tu erediti quei poteri.” Kai, sempre più stupito chiese di nuovo: “Io?” La voce continuò a parlargli: “Non ti sei accorto che ultimamente sei molto forte quando sei vicino al fuoco? Che il calore ti nutre e ti protegge, che ti dà energia? Questo è il segno. Ora che tuo fratello Gai Lio è morto, spetta a te ereditare i poteri di Apollo, i poteri che ti derivano dal sacro sole.” Kai era sempre più incredulo, ma era anche certo che la voce si stava sbagliando. Kai conosceva la leggenda di Mighty Leo, la leggenda della semidivinità dotata del potere del fuoco che combatteva per la pace dell’universo. E stando a quello che quella misteriosa voce gli aveva detto, lui, proprio lui, avrebbe dovuto ereditare quel titolo e quei poteri. “Non può essere. Ti stai sbagliando, sicuramente. Non sono io quello che cerchi. Sono solo un ragazzino.” La voce sospirò. “Purtroppo constato che ancora non credi nelle tue possibilità, Kai Raion. Ripensa al nome del pianeta da cui provieni e considerà il significato che esso ha presso le altre popolazioni dell’universo. Comunque, capisco che ora tu sia disorientato.” Una lingua di fiamme avvolse le braccia del giovane Kai, e quando questa si fu allontanata, due bracciali neri con una fibbia a forma di leone, circondavano i polsi del ragazzo di Helios. La voce parlò di nuovo: “Quando desidererai diventare forte, usa questi bracciali ed invoca il nome di Mighty Leo. Spetterà a te decidere come usare il potere che riceverai. Se per il bene degli altri, o per i soli tuoi scopi. Ma attento….qualsiasi sia la strada che deciderai di percorrere, sappi che non potrai tornare indietro.” Dopo aver detto questo, la voce ammutolì. Il paesaggio intorno al giovane Kai divenne via via più scuro, fino a diventare nero del tutto. Oscurità. In quel momento Kai aprì gli occhi. Si guardò intorno. I suoi compagni schiavi, distesi sul pavimento attorno a lui, stavano dormendo. Un debole raggio di una luce non ancora del tutto manifesta, filtrava da una fessura nelle travi della baracca. Era quasi l’alba. Presto sarebbe ricominciato il turno in miniera. Kai ripensò allo strano sogno che aveva fatto. Si guardò i polsi. Lo sgomento si disegnò sul suo volto. I bracciali che aveva ricevuto erano ancora li, fermi ai suoi polsi. Gli occhi del leone incastonato sulla fibbia brillavano di una strana luce rossa. Kai provò a sfilarli, ma non vi riuscì. Provò ancora. Fece vari tentativi, finché non arrivò la guardia a svegliare gli schiavi. Era ora di tornare a scavare nelle miniere.

INTERMEZZO 2
Quella mattina Nidia si era svegliata verso le 7.30, come suo solito. Dopo essersi vestita e aver fatto colazione con il padre, il Granduca Narkis, era tornata in camera sua. Si era cambiata in abiti più comodi. Come tutte le mattine si sarebbe presa cura delle piante. Non delle piante della tenuta del granduca, a cui pensavano già i giardinieri ingaggiati dal padre. A Nidia piaceva uscire, inoltrarsi nel bosco, esplorarlo, cercare piante rare. E non le importava di essere sola. Non aveva paura delle creature del bosco. Sin da quando era molto piccola era sempre stata abituata a dialogare con gli animali. Non era un dialogo fatto di suoni, di parole, quanto piuttosto, un “mutuo scambio di sensazioni”. Nidia si inoltrò nel piccolo bosco che circondava Villa Narkis, un cestino con dentro la sua colazione al braccio destro, un blocco da disegno e un set di matite a quello sinistro. Nidia amava molto disegnare. In particolare le piaceva fare ritratti di animali. Finalmente raggiunse il punto del bosco che preferiva. Un grande prato, al cui centro svettava un unico grande albero. Nidia vi poggiò la mano e disse: “Buongiorno, grande albero.” L’aria sembrava immobile, e pareva che nulla fosse cambiato. Solo un osservatore attento avrebbe potuto notare che l’albero aveva scostato di poco le sue fronde, come a contraccambiare il saluto della ragazza. Alcuni animali cominciarono ad avvicinarsi a lei: scoiattoli, uccelli, topolini, una coppia di volpi. Tutti animali importati dalla Terra per ripopolare la fauna di Fleed. Erano specie che in condizioni “naturali” sarebbero stati predatore e preda, ma di fronte a Nidia, tutto questo sembrava svanire. Poi la ragazza rivolse il suo sguardo a terra, alle radici dell’albero. Un fiore rosso, quasi appassito, giaceva con le foglie secche ai piedi dell’albero. “Oh no!” esclamò la ragazza. Si inginocchiò, davanti al fiore morente, mise sopra di esso il palmo della sua mano. Si concentrò. Una strana energia si sprigionò nell’aria. I lunghi capelli rossi di Nidia, si alzarono al vento come sospinti da una strana energia. Il palmo della sua mano brillò per qualche secondo. Poi, tutto tornò come era stato prima. I capelli della ragazza ricaddero esattamente nella stessa posizione da cui si erano sollevati come se nulla fosse successo. La ragazza riaprì gli occhi e sorrise. Il fiore aveva ripreso tutto il suo vigore. I suoi petali rossi ora svettavano nell’aria e le sue foglie, prima quasi secche, ora si ergevano rigogliose, a ricevere l’energia del sole. La ragazza si accasciò per un attimo, come se una incredibile stanchezza l’avesse vinta all’improvviso. Nidia conosceva bene quella sensazione e sapeva che non sarebbe durata a lungo. Era la tipica stanchezza che le veniva di solito quando usava il suo potere rivitalizzante. Quante volte, nella sua giovane vita, aveva fatto la stessa cosa, dapprima sul Piccolo Baham e poi li’, su Fleed? (Piccolo Baham: allo stesso tempo colonia spaziale ed astronave che aveva ospitato i Bahamesi prima del loro arrivo su Fleed. Esso è poi divenuto il cuore della seconda metropoli di Fleed, Baham City.) E ogni volta l’aveva colta quella strana stanchezza, che però passava molto presto. Gli animali, che fino a poco prima si erano tenuti a distanza, si avvicinarono come a sostenerla. Nidia sorrise loro, come a voler dire di non preoccuparsi. Appollaiato al ramo più alto del grande albero, Arthur, il figlio del re Narsias aveva assistito a tutta la scena. Aveva 16 anni, appena due più di Nidia, ma era già ben conscio del suo destino di principe. Alla morte del padre Narsias, sarebbe stato lui la guida politica e spirituale della comunità Bahamese su Fleed. La cosa lo spaventava, ma sapeva anche che aveva ancora un sacco di tempo prima di assumere tale ruolo. Doveva ancora studiare molto, e visitare anche altri pianeti, prima di entrare nello scacchiere politico della galassia di Vega. Ma in quel momento, nulla di tutto questo aveva importanza. La sua attenzione era tutta rivolta alla giovane donna sotto di lui. Arthur spiccò un balzo, e spiegando le sue bellissime ali bianche, atterrò dall’altra parte del grande albero, proprio dietro a Nidia. La ragazza si accorse del fruscio delle ali del giovane. Si voltò e lo salutò: “Buongiorno, Arthur.” Nidia era sempre rispettosa dell’etichetta, in pubblico, ma quando erano loro due da soli, aveva l’abitudine di chiamarlo semplicemente Arthur. D’altronde, essendo praticamente cresciuti insieme sul Piccolo Baham, fra di loro si era instaurato un legame particolare. Il ragazzo ricambiò il saluto: “Buongiorno, Nidia.” Ma poi non seppe dire più nulla. Fu Nidia a rompere l’imbarazzante silenzio. “Come è stata la cerimonia di ieri?” chiese. Sapeva che Arthur, in qualità di principe ereditario, aveva certamente assistito alla parata, e poi alla cerimonia di dissigillamento della Hikarimaru, in prima fila, accanto alle massime autorità. Lei non era potuta intervenire, perché si era sentita male. Nonostante i suoi poteri, era sempre stata debole di costituzione. “E’ stato bellissimo” disse Arthur sorridendo. “Non ho mai visto tanta allegria. I bambini di tutti i pianeti erano letteralmente impazziti per i robot. E poi c’è stata quella dichiarazione di Koji Kabuto alla principessa Maria. E’ stato incredibile il dono che le ha fatto. L’espressione della principessa era impagabile. La gioia in persona. E quando Koji le ha fatto la proposta di matrimonio e si sono abbracciati, la folla è come impazzita.” Arthur si interruppe, guardò Nidia. Lei lo stava ascoltando, con attenzione. Poi, il giovane principe di Baham, levò lo sguardo al cielo e sospirò. “La principessa Maria Grace è davvero fortunata ad essere nata fleediana….non ha bisogno di seguire etichette e stupidi rituali, e può ricambiare liberamente l’amore di Koji Kabuto…..Non come noi, nobili Bahamesi,….” Nidia sorrise ad Arthur. “Ma le cose cambieranno. E sarà per merito di persone giuste come Duke Fleed, di coppie coraggiose come Koji Kabuto e Maria Grace, di ragazzi dal cuore puro come te, Arthur.” “Si certo.” Rispose. “Ma intanto dobbiamo vivere infelici.” Nidia sorrise ad Arthur. Un sorriso disarmante. “Arthur, si direbbe che tu sia innamorato.” – fece una pausa – “Chi è la fortunata?” Arthur sospirò. Guardò la ragazza, senza rispondere. Nidia attese qualche secondo la risposta. Gli rivolse un nuovo sorriso. “Devo dedurne che è un amore che non può essere corrisposto?” Arthur si irrigidì improvvisamente. Strinse i pugni. ‘Sei tu.’ Avrebbe voluto gridare. Ma la rigida società Bahamese non lo permetteva. Era già una sfortuna che un figlio nascesse senza le ali. Chi sposava una donna “storpia”, poi, sarebbe presto andato in rovina, secondo una antica superstizione. E lui, che era il principe ereditario, doveva dare una immagine di ‘speranza’, di ‘forza’ di ‘salute’. Il principe ereditario non poteva permettersi di amare una “storpia”. Arthur si accorse che se restava li, sarebbe scoppiato in un pianto dirotto. Non voleva mostrarsi debole di fronte all’amata. Spiegò le sue ali bianche, e volò via con un balzo, lasciando Nidia ai piedi dell’albero, del tutto interdetta. “Arthur…” chiamò la ragazza con voce sommessa. Il senso di colpa si impadronì di lei. Aveva evidentemente detto o fatto qualcosa che aveva urtato la persona a cui teneva di più al mondo, dopo suo padre. Il suo volto si intristì. “Arthur…” chiamo ancora una volta, a voce bassa. Ma il ragazzo non poteva sentirla. Era già lontano. Il Granduca Narkis, dalla finestra del suo studio, aveva osservato tutto. La preoccupazione era evidente sul suo volto.

Capitolo 24

INTERMEZZO
Il Granduca Narkis aveva assistito a tutta la scena dalla finestra del suo studio, servendosi di un binocolo. Teneva sempre sotto controllo la figlia, nel caso si fosse sentita male. Che il principe Arthur provasse qualcosa per Nidia era chiaro come la luce del sole. Anche Narkis era stato giovane e sapeva riconoscere benissimo i sintomi di un innamoramento. Non era stata per lui la stessa cosa, quando aveva conosciuto la moglie Rosalia, morta per dare alla luce Nidia? Arthur e Nidia erano cresciuti insieme, sul piccolo Baham. Ma erano altri tempi. Tempi in cui lui e il fratello Narsias dovevano essere uniti e pensare solo alla sopravvivenza di un miliardo di bahamesi. Erano sempre stati dei valorosi guerrieri, i bahamesi, dei conquistatori. Ma da quando il pianeta madre era esploso in seguito all'instabilità del suo nucleo, l'impero si era sfaldato e le guerre interne avevano presto ridotto la popolazione ad un solo miliardo. Inoltre, una misteriosa nube gassosa che pietrificava tutto ciò con cui veniva in contatto, aveva presto reso inabitabile tutta la galassia. Narsias e Narkis avevano lottato per riunire la popolazione, riuscendovi. In fretta e furia avevano costruito il piccolo Baham ed erano riusciti a scappare per un soffio al gas pietrificante. Avevano vagato a lungo, cercando un posto dove poter vivere, tentando di conquistarsi uno spazio vitale anche con la forza. Ma erano sempre stati respinti, vuoi dalle popolazioni locali, vuoi dalle condizioni climatiche e naturali dove atterravano. Poi era avvenuto l'avvistamento di Fleed. Duke Fleed li aveva raccolti a braccia aperte. Aveva offerto loro ospitalità e collaborazione. Narsias aveva ceduto alla tentazione della pace. Aveva rinunciato alla via del guerriero che da sempre aveva costituito l'essenza della vita dei bahamesi, per coesistere insieme a fleediani, vegani, zelani, bastettiani e con le altre popolazioni della nebulosa di Vega. Ma lui, Narkis, no. Lui sapeva che i bahamesi avevano un posto da dominatori nell'universo. Ed ora che lo spazio vitale non era più un problema, sarebbero presto tornati al loro antico splendore. Fleed sarebbe diventato il nuovo Baham, e da esso sarebbe partita una nuova ondata espansionistica che avrebbe presto restituito l'antica gloria all'impero bahamese. Ma per fare questo c'era bisogno di alleanze scomode, e decisamente pericolose, come quella con Sincrain. Ma presto anche lui sarebbe stato eliminato. Narkis aveva un asso nella manica. Ma la presenza di Arthur, figlio di Narsias, presso la sua dimora, avrebbe finito per rovinare tutto. Il giovane non era uno stupido e si sarebbe presto accorto degli strani movimenti intorno alla villa: i preparativi per l'invasione di Fleed stavano procedendo a gonfie vele, e Narkis non poteva permettersi errori di alcun tipo. Non in quel momento. L'unica cosa da fare era allontanare temporaneamente Nidia, anche se la cosa gli spezzava il cuore. Era un rischio, ma giunti a quel punto non si poteva fare altro. Per il momento l'avrebbe affidata alle cure del fratello. E la cosa sarebbe tornata pure a suo vantaggio. Il Granduca Narkis si sedette alla sua scrivania. Preparò alcuni documenti. Poi si alzò, si avvicinò alla libreria. Premette su una specie di decorazione dorata. La libreria ruotò su se stessa scoprendo un passaggio segreto. Delle scale scavate nella pietra conducevano verso il basso. Narkis le percorse tutte. Una macchina a cuscino d'aria lo stava già attendendo. Il Granduca prese posto sul sedile posteriore. La macchina si avviò lentamente, ma poi prese velocità. Il Granduca Narkis si appoggiò allo schienale e reclinò la testa. Si addormentò in pochi minuti. Fu la voce dell'autista a svegliarlo. "Siamo arrivati, signor Granduca!" L'orologio sul cruscotto della macchina segnalava che erano passate un paio d'ore. Come sempre quando faceva quel tragitto. Il Granduca scese dalla macchina. Ora si trovava in un enorme spazio sotterraneo, la cui volta in acciaio brulicava di luci. Centinaia di mostri cyborg e gladiatori metallici dormivano in attesa di essere risvegliati. Narkis rivolse uno sguardo compiaciuto a quell'esercito di mostruosità. Gli agganci con Sincrain erano serviti a qualcosa dopotutto. Un bahamese robusto, completamente calvo, sulla cinquantina e con le orecchie a sventola andò incontro al granduca narkis e lo accolse col saluto militare. Il Granduca si rivolse a lui in tono cortese: "Buongorno, generale Balban." Il bahamese, senza muovere ciglio, restò fermo in piedi sull'attenti, attendendo ordini. Era un veterano, che aveva prestato servizio per la difesa del piccolo Baham e le cicatrici su tutto il suo corpo dimostravano chiaramente il suo valore. "A che punto siamo con i preparativi, generale?" chiese il Granduca porgendo il suo mantello a un soldato. "L'esercito dei cyborg e dei robot è completato, mio signore. E anche l'armata di carri e di caccia è a buon punto. Mancano ancore le astro corazzate e saremo pronti." Il Granduca si rabbuiò. "Purtroppo, mio caro generale, non possiamo aspettare oltre. Le cose, come ha potuto vedere, sono precipitate. Ormai è solo una questione di tempo prima che la profezia si avveri. Non possiamo permetterci il lusso di aspettare." Il granduca fece una lunga pausa, poi chiese "Quante astrocorazzate abbiamo, già operative?" "Ora come ora solo tre, mio signore." Rispose il generale Balban. "Dovranno bastare." Disse il granduca, tentando di ostentare sicurezza. Ma anche lui era molto preoccupato. 'Se solo quegli incapaci non avessero fallito.....ora avremmo più tempo.' Pensò.
FINE INTERMEZZO

Terra, Fortezza delle Scienze.
I soldati che erano stati catturati sull'astronave di Vega erano stati temporaneamente rinchiusi nelle prigioni. Al più presto avrebbero dovuto essere trasferiti al laboratorio per le ricerche sulla foto potenza per essere curati. Il personale medico della Fortezza delle Scienze non disponeva dell'apparecchiatura necessaria per poter curare efficacemente l'avvelenamento da radiazioni a cui il gruppo di pirati era stato sottoposto dalla prolungata esposizione al vegatron. Si era pertanto deciso che fossero trasferiti all'altro istituto, dove i macchinari medici erano più avanzati. Salya esaminò attentamente la sua cella. Doveva pur esserci una scappatoia. Non era possibile che una razza primitiva come quella dei terrestri potesse tenere imprigionata lei che era capitano della gloriosa guardia reale di Vega. Dalla cella a fianco Yurak, disteso sulla sua branda, osservava i suoi movimenti. Dopo un po’, stanco del baccano che la ragazza stava facendo le chiese: "Smettila di agitarti. A che serve ormai?" La ragazza lo ricambiò con uno sguardo acido: "Yurak, non mi dirai che ti sei arreso? Che razza di soldato sei?" L'ex capitano le fece un sorriso sarcastico. "Hmph...Anche se riuscissi a scappare ora, dove potrei andare? Non abbiamo più un astronave, ricordi? Posto anche che usciamo da questo edificio, non sapremmo dove andare." Salya lo guardò disgustata. "Che vigliacco!" L'ex capitano fece di nuovo un sorriso sprezzante: "Dovrei forse rischiare la vita per quel traditore del Granduca? Dato che non gli servivamo più ci ha abbandonati qui, in balia del nostro destino." Yurak sputò a terra. "Per quanto mi riguarda, può crepare sotto i piedi di Grendizer. Non so se hai sentito cosa dicevano quei medici terrestri. Ci siamo avvelenati, stando su quella maledetta astronave. Io non voglio crepare tra mille dolori, Salya. Se questi terrestri riescono a trovarmi una cura, per quanto mi riguarda sarò ben felice di parlare. Così mi salvo la vita e mi vendico del granduca, hehehehehehe." La risata dell'ex capitano non fece altro che aumentare lo sdegno della ragazza veghiana. Lei non era una vigliacca. Lei avrebbe combattuto fino all'ultimo. Ma per quanto cercasse, non trovò alcun punto debole nella cella. Per fuggire avrebbe aspettato di essere trasferita all'altro istituto, dove la sorveglianza sarebbe stata sicuramente minore. Il mattino seguente, di buon'ora, un furgone cellulare dell'Istituto di Ricerca sulla Foto Potenza venne a prelevare i prigionieri. Tutti i veghiani furono ammanettati ai polsi e alle cavilglie e caricati sul veicolo. Yurak e Salya erano davanti a tutti. Dopo un tragitto di un paio d'ore giunsero all'Istituto di Ricerca sulla Foto Potenza, dove furono scortati in infermeria. Furono sistemati dei letti e preparate delle flebo che avrebbero iniettato loro il liquido anti radiazioni. Dopo che le flebo furono collegate alle braccia dei pazienti, questi vennero immobilizzati al letto. La reazione del liquido anti radiazioni avrebbero potuto provocare delle forti convulsioni ed era meglio che i prigionieri si agitassero il meno possibile. Il liquido anti radiazioni cominciò a scorrere lentamente nel tubicino di plastica, e da li, direttamente nel corpo dei prigionieri. Yurak si rilassò e chiuse gli occhi. Immaginava che se non si fosse agitato, la medicina sarebbe penetrata più facilmente, e avrebbe causato meno dolore. Gli altri uomini lo imitarono. Solo Salya si agitò. Come aveva immaginato, la sorveglianza era molto meno stretta in quel posto, ed inoltre aveva già individuato una possibile via di fuga: un condotto dell'aria condizionata in uno degli angoli del muro. Arrivarci sarebbe stato uno scherzo. Salya continuò ad agitarsi, per tentare di liberarsi. Alla fine riuscì a sciogliere un piede. Era già qualcosa. Provò ancora tentando di liberare il braccio sinistro, dove la flebo non era attaccata. Proprio in quel momento entrò l'infermiera per cambiare le fiale delle flebo. Salya aspettò che finisse il suo lavoro sugli altri pazienti. Fece finta di essere addormentata. Finalmente l'infermiera cambiò i flaconi alla postazione di Yurak. Fra poco sarebbe toccato a lei. Infatti dopo pochi secondi, l'infermiera si avvicinò al letto di Salya. La veghiana, con un poderoso colpo di reni si sospinse in avanti con il letto, e con la gamba libera diede un calcio in volto all'infermiera. La donna rotolò sopra il carrello degli attrezzi rovesciando fiale, termometri e altri oggetti, tra i quali un paio di forbici. Sempre dimenandosi con il fianco e con la gamba libera, Salya fece rovesciare il letto su un fianco. Poi, agitandosi ancora, riuscì a raggiungere le forbici e a tagliare tutti i lacci. Era libera. Ma aveva addosso solo un camice da ospedale. Frugò in tutti gli armadietti presenti nella stanza, fino a trovare una tuta ginnica che indossò. Yurak aveva assistito a tutta la scena. La guardò con commiserazione. "Ma dove pensi di andare, così conciata?" Disse sarcastico alla ragazza. Questa lo guardò sprezzante. "Dovunque, pur di non finire i miei giorni da prigioniera." Yurak sorrise di nuovo, sarcastico. "Povera stupida. Hai i giorni contati e neanche te ne rendi conto." L'ex capitano sospirò, poi aggiunse "Fai come vuoi. Io non ho visto ne sentito niente. Dormivo." Disse, chiudendo gli occhi. Salya accostò alla parete una piccola scala che aveva trovato in uno degli sgabuzzini, alla quale poggiò una sedia. Scardinò la grata dell'aria condizionata e penetrò nel condotto, non senza qualche difficoltà. Dentro l'infermeria, Yurak continuava a tenere gli occhi chiusi. Non avrebbe chiamato la guardia. Salya aveva fatto una scelta e ora doveva portarla avanti fino in fondo. Stette così per qualche secondo, poi riaprì gli occhi. "Oh, al diavolo!" esclamò tra se. Prese quanto più fiato poteva nei polmoni poi gridò "GUARDIAAAAAA!" In fondo ci teneva a Salya. Per lui era come una figlia. E non poteva permettere che morisse avvelenata per colpa di quel bastardo di Narkis. Intanto Salya si era inoltrata in profondità nei condotti dell'Istituto per la Ricerca sulla Foto Potenza. Ma ogni volta che si presentava un'uscita, questa era piantonata da guardie. Evidentemente qualcuno si era accorto della sua fuga e aveva dato l'allarme. Data l'impossibilità di uscire in un qualsiasi punto superficiale dell'istituto, Salya aveva cercato i condotti che conducevano verso il basso del laboratorio. Nei sotterranei sicuramente la sorveglianza non sarebbe stato altrettanto stretta. Salya continuò a strisciare in quei condotti per ore. La polvere che aumentava man mano che avanzava dimostrava chiaramente che quelle erano aree decisamente poco frequentate dell'istituto. Salya continuò l'avanzata. Sentì una grata sotto le mani. Era arrivata ad un'uscita, e la stanza sotto sembrava completamente buia. Salya provò a guardare sotto la grata. Lo spazio sotto di lei era abbastanza vasto. I suoi occhi erano ormai abituati all'oscurità. Benché non riuscisse a distinguere bene, quella sotto di lei sembrava la sagoma di un gigantesco colosso metallico. Era senza dubbio un robot. Ma non sapeva se si trattava di un prototipo scartato e poi lasciato li' oppure di un robot completamente operativo. Salya sfondò la grata con un piede. Osservò meglio lo spazio sotto di lei. A pochi metri di distanza c'era una specie di piattaforma. Non avrebbe rischiato di schiantarsi. La veghiana si calò dall'apertura per atterrare sulla piattaforma. Ora si trovava proprio di fronte al colosso metallico. A vederlo da vicino, aveva tutto l'aspetto di un Mazinger, ma era decisamente piu massiccio, e il suo aspetto era davvero terrificante con tutte quelle protuberanze appuntite. Salya notò qualcosa di strano. Al centro del petto di questo robot vi era una specie di medaglione con incisa sopra una Z. "Una Zeta? Ciò vuol dire che questo mostro ha sicuramente qualche legame con il Mazinger Z di Kabuto." Concluse Salya. Quale segreto nascondeva questo enorme colosso d'acciaio? Salya non lo sapeva, ma intuiva che poteva essere la sua salvezza.

Capitolo 25
Duke Fleed si trovava su un prato fiorito. Sembrava quasi il giardino della sua villa, quello che lui aveva disseminato di fiori terrestri, i fiori che egli stesso aveva piantato. Hikaru era al suo fianco. Correvano felici, mano nella mano. Eppure, c'era qualcosa di tremendamente disturbante in quella situazione, in quella scena idilliaca. Ma cosa? Solo quando si fermarono per rifiatare, e per bere l'acqua dal ruscello, Duke si accorse di cosa era. Il riflesso nello specchio d'acqua era certamente il suo, ma ora era decisamente più giovane. Aveva piu o meno la stessa età di Koji. Duke si voltò. Hikaru, era scomparsa. Il prato disseminato di fiori stava bruciando. In lontananza si vedeva il profilo di Fleed City bruciare sotto le fiamme dei mostri di Vega. Quello spettacolo era l'orrore personificato. Lo stesso orrore che Duke Fleed aveva vissuto prima di fuggire sulla Terra. Un pensiero si fece largo nella mente del giovane: 'Devo raggiungere Grendizer'. Si mise a correre a perdifiato, in direzione del palazzo reale, di casa sua. Ma quando l'ebbe raggiunta, anche questa era ormai in fiamme. Due mostri di Vega stavano ancora emettendo le loro fiamme a completamento dell'opera. Ma non erano i normali mostri di un tempo. Questi erano decisamente piu piccoli. Saranno stati alti sui tre metri. E non sembravano nemmeno meccanici. Duke fu colto dallo sgomento. Urlò. Errore fatale. I mostri davanti a lui si voltarono guardandolo minacciosi. Nonostante il loro aspetto animalesco, si ergevano eretti su due piedi, e in mano brandivano delle armi medioevali: una falce e una spada. Le due bestie si scambiarono un cenno di intesa, poi le loro spalle cominciarono come a scrollarsi. Lo sguardo sui loro volti sembrava un ghigno satanico. Quei due esseri stavano ridendo, non vi era alcun dubbio. Si avvicinarono a Duke con passo lento. Il ragazzo, paralizzato dal terrore, non riusciva a muoversi. Un altro passo delle bestie. Due. Tre. Solo allora il ragazzo si decise a voltarsi e fuggire. Le due bestie, sempre ridendo, cominciarono ad inseguirlo. Duke continuò a correre finché non ebbe più fiato nei polmoni, i mostri sempre dietro di lui. Inciampò, cadde. Ora uno dei mostri aveva alzato la sua falce sopra di lui, stava per vibrare il colpo di grazia. In quel preciso istante qualcosa saettò nell'aria. Duke non vide bene cosa fosse. Sembrava una gigantesca falce di luna. Quando riaprì gli occhi i mostri erano ancora sopra di lui, ma stavolta erano immobili. Dopo alcuni secondi che sembrarono un'eternità, le teste dei mostri caddero al suolo, recise di netto dal collo. I corpi dei mostri collassarono e caddero all'indietro. Duke urlò per l'orrore. Poi tirò un sospiro di sollievo. Era salvo. Si voltò per vedere cosa era successo. Una figura umana, dall'aspetto ancora indistinto, delle stesse dimensioni dei mostri, stava sistemando quella che sembrava una enorme falce sopra la spalla. Duke guardò attentamente quella figura. Ne riconobbe la sagoma inconfondibile. Le corna che sporgevano dal suo elmo non lasciavano dubbi in proposito. Quell'uomo enorme non era altri che Grendizer, il suo robot. Il gigante fece due passi verso di lui, uscendo dalle fiamme. La sua immagine si presentava ora nitida agli occhi di Duke Fleed. L'elmo e l'armatura erano uguali a quelli del suo robot, ma al posto della 'maschera', dove si trovava la cabina di pilotaggio, vi era un volto umano. Un volto che stava sorridendo a Duke in modo rassicurante. E tutta la figura brillava di una strana luce dorata. Sorridendo, il gigante porse la sua mano metallica a Duke. Il ragazzo non poté non notare le lame rosse che ricoprivano il guanto dell'armatura. Le lame dello Screw Crusher Punch. Duke non sapeva più cosa fare. Era indeciso se stringere o meno la mano di quello strano gigante. Grendizer gli sorrise ancora più bonariamente, e la luce che emanava divenne ancora più intensa. Scosse la mano, come a esortare Duke a prenderla. Il ragazzo allungò la mano. Il tocco del gigante non era affatto metallico, anzi. Stringere la sua mano diede a Duke una sensazione di sicurezza come mai ne aveva avute. Poi tutto intorno a lui si fece buio. Il terribile scenario di guerra di poco prima scomparve. Duke era di nuovo adulto. Non sapeva come, ma riusciva a percepirlo chiaramente. Grendizer era ancora di fronte a lui. I due si guardarono negli occhi. Quelli di Grendizer avevano l'aria severa, ma dimostravano anche grande fiducia nei confronti di Duke Fleed. Poi il gigante parlò. "Duke Fleed! Si avvicinano nuovamente tempi oscuri. Tempi di guerra!" disse il gigante, in tono greve. Fece una breve pausa poi continuò. "Devi essere forte, Duke Fleed! E pensare al bene del tuo nuovo popolo." Duke si afferrò la testa con le mani "No, no,no !" gridò "Che si ripeta quell'inferno....No! Non potrei sopportarlo! No!" Il giovane sovrano scoppiò in un pianto dirotto. Grendizer lo guardò nuovamente. Il suo sguardo era rassicurante. "Fatti coraggio e sii forte, Duke Fleed. Abbi fiducia in coloro che ami." Detto questo Grendizer si voltò e cominciò a camminare, allontanandosi velocemente da Duke Fleed. In pochi minuti scomparve nell'oscurità. Duke Fleed aprì gli occhi di colpo. Si levò sulla schiena, ansimando. Si accorse di essere tutto sudato. Dove era? Un rapido sguardo intorno a se, gli fece riconoscere i mobili della sua camera. Era nel suo letto. "Un sogno" disse ancora ansimante. "E' stato tutto solo un sogno."

Salya si trovava di fronte all'enorme colosso metallico. Quel robot poteva essere la sua salvezza. La giovane veghiana si arrampicò velocemente fino alla testa del robot ancora senza nome. Trovò la cabina di pilotaggio. Con suo enorme stupore, era completamente aperta come se quell'enorme mostro stesse aspettando il suo padrone. "Che fortuna insperata" pensò la ragazza. Quel gigante sembrava abbastanza potente da tenere testa a tutti i robot terrestri. Se fosse riuscita ad impossessarsene non avrebbe dovuto più temere niente e nessuno. La veghiana si sedette al posto di comando. Provò a impugnare la cloche di controllo. Sembrava una di quelle leve ergonomiche. Si adattava perfettamente al palmo della sua mano. Questa sensazione la rassicurò. "Bene." Disse tra se. "E' ora che ti risvegli caro il mio gigante" Premette con la mano sinistra due grossi pulsanti rossi. Tutti i led del cruscotto si illuminarono all'unisono. Il robot stava prendendo vita. Poi, un sibilo acuto. Delle strane strisce, poste sulla parete a cui era appoggiato il sedile di guida, si illuminarono. Ce ne erano sei: tre alla sinistra del sedile, tre alla destra. Quando tutte e sei furono completamente illuminate, Salya si accasciò sui comandi. Si afferrò la testa tra le braccia. Un dolore lancinante la stava dilaniando. Era come se centomila aghi fossero penetrati contemporaneamente nel suo cervello. La ragazza veghiana chiuse gli occhi e urlò il suo dolore con quanto fiato aveva in corpo. Si ritrovò avvolta nell'oscurità, poi proiettata in un mare saettante di frecce di luce. Le sembrava di impazzire. Le lacrime scorrevano copiose dai suoi occhi. Poi tutto si fermò. L'oscurità non c'era più. Ma il posto dove si trovava, Salya non l'aveva mai visto. Era una distesa di rocce e sabbia a perdita d'occhio. Un deserto che più brullo non poteva essere. Non una pianta vi cresceva. La ragaza urlo di nuovo e si mise a correre, senza badare alla direzione. Corse a perdifiato finché non crollò per la stanchezza. Era senza fiato. Provò a respirare, ma l'aria secca non fece altro che bruciarle i polmoni. Cionondimeno doveva respirare, o sarebbe morta soffocata. Quando alzò lo sguardo, una figura gigantesca si stagliava sopra di lei. Sembrava la sagoma dello stesso robot sul quale era salita pochi secondi prima, eppure era diversa: più slanciata, più agile. E non era fatta di metallo, ma di pietra. Dieci strane luci brillavano lungo la verticale del suo corpo. Il gigante la guardò. Il suo volto era molto simile a quello del Great Mazinger, ma era fatto di pietra, e gli occhi! Quegli occhi, dalle pupille così vive che sembrava ti scrutassero dentro. Salya si sentì rivoltata come un guanto. In un attimo ebbe la consapevolezza che la sua intera vita era stata strappata via da lei ed era confluita in quel gigante di pietra. Esso parlò, la voce forte come quella di mille tuoni. "Non sei colui che stavo aspettando!" disse, poì aprì il palmo della sua enorme mano verso Salya. "Torna da dove sei venuta! Questo non è posto per te!" Salya chiuse gli occhi, mentre la mano del gigante si abbassava sopra di lei. Quando li riaprì, si trovava in uno spazio decisamente angusto. Da una grata sotto di lei filtravano delle luci. La veghiana si guardò intorno. Era di nuovo nel condotto dell'aria condizionata. Muovendo le braccia si rese conto che aveva qualcosa in mano. Portò il braccio verso di se. La manica dell'abito che indossava non era quella della tuta ginnica che aveva trovato nell'armadietto dell'ospedale. Sembrava piuttosto la stoffa della sua tuta da combattimento. Lo sgomento si impadronì di lei quando si rese conto di quello che stava tenendo in mano: il suo casco rosso. Ma quando si era cambiata? Per quanto si sforzasse di pensare, non riusciva a ricordarlo. L'unico ricordo era l'enorme mano pietrosa che si chiudeva sopra di lei, in quello stranissimo deserto alieno. Uno sfavillio attirò l'attenzione della donna verso la grata sotto di lei. Si avvicinò per vedere. Sotto di lei c'era un hangar, una gigantesca officina. All'estremità sinistra dell'hangar, Salya riconobbe il suo disco mostro Jiru Jiru. Era disteso sopra una specie di piattaforma rotante, completamente sventrato. Il motore a raggi vegatron era stato completamente rimosso. Dalla parte opposta, in piedi, stavano le due donne robot che l'avevano sconfitta in combattimento, prive di corazza. Dei meccanici stavano alacremente lavorando intorno al loro corpo meccanico. Più in la vi era una terza donna robot, che Salya non aveva mai visto, anche se le fattezze erano simili a quella donna meccanica rossa che i terrestri chiamavano Venus Ace. Fu il robot al centro dell'hangar che attirò maggiormente l'attenzione di Salya. La veghiana lo riconobbe subito. Il Great Mazinger si ergeva al centro dell'hangar, torreggiante ed immenso. Sembrava pronto al combttimento, se non fosse stato per la parte sinistra del volto, ancora priva di corazza. Salya guardò il Great, affascinata. Gli occhi del robot, benché spenti e privi di pupille, le ricordarono quelli del gigante di pietra. Per un attimo ne ebbe paura. Scosse la testa. "Andiamo, Salya, ritorna in te. Quello è il Great Mazinger." Si infilò il casco. Ora sapeva perfettamente cosa doveva fare.

Capitolo 26
Salya attese pazientemente che i tecnici avessero terminato la messa a punto del Great Mazinger. Stavano lavorando sotto la direzione di due dottori: uno con due lunghi baffi bianchi ed un paio di gross occhiali, l’altro, con occhiali piccoli ed una lunga e folta barba grigia. Quando il Great fu di nuovo integro, Salya sfondò la grata e, approfittando delle varie piattaforme e scale presenti nell’hangar, si calò fino a terra. Mise fuori combattimento una guardia con delle abili mosse di karate. Poi ne prese la pistola e, puntando attentamente alle gambe, immobilizzò l’altra guardia, senza ucciderla. I tecnici intanto, vedendosi in pericolo, si erano dati al fuggi fuggi, lasciando l’hangar. Senza nessuno ad ostacolarla, Salya raggiunse i piedi del Great Mazinger. Sapeva esattamente cosa fare. Aprì un piccolo pannello nascosto nel piede sinistro e premette un bottone. Dopo pochi secondi, una porta scorrevole si aprì nel tallone sinistro del robot, rivelando quella che sembrava il sedile di pilotaggio, agganciato ad una specie di rotaia che saliva verso l’alto. La veghiana vi si sedette e premette il bottone di salita. Ma qualcosa non era del tutto chiaro in tutta quella faccenda, e solo mentre il sedile saliva, Salya si rese conto di cosa fosse: conosceva alla perfezione ogni piu piccolo segreto del Great Mazinger. Sapeva esattamente cosa fare per raggiungere la cabina di pilotaggio. Eppure, lei non aveva mai visto quel robot se non in alcune registrazioni video. Come era possibile che ora sapesse tutto ciò? Che c’entrasse qualcosa quel misterioso gigante di pietra che aveva visto pochi secondi prima? Se lo aveva visto veramente, poi. Su questo pensiero il sedile raggiunse la postazione di pilotaggio dentro il Brain Condor. Salya guardò per un attimo la plancia di comando. Non era dissimile da quella che aveva visto dentro al misterioso colosso su cui era salita prima. Premette i due pulsanti rossi di accensione. Gli occhi del Great Mazinger si illuminarono di vita. Il robot si liberò dei supporti su cui era ancorato e cominciò a muoversi dentro l’hangar, demolendo quanto incontrava sul suo cammino. Aveva una direzione ben precisa: la piattaforma di salita da cui era solito uscire Mazinger Z. Di nuovo Salya si stupì: come faceva a sapere anche questo? Arrivata sopra la piattaforma, Salya accese i propulsori posti sotto i piedi del robot. In pochi secondi, il Great sfondò il pavimento a doppio fondo della piscina. Ora era all’aria aperta, ancora a mezz’aria per la spinta del salto. Senza perdere altro tempo, Salya tirò una leva posta alla sua destra, gridando il comando di attivazione: “Scramble Dash!”. Le rosse ali del Great si aprirono sulla sua schiena. Il robot cominciò una salita vertiginosa verso l’alto.

Nella sala di controllo dell’Istituto di Ricerche Foto Potenza, Tetsuya, Jun, Sayaka e Hikaru avevano assistito a tutta la scena. Avevano seguito tutte le mosse di Salya fin dal momento in cui si era arrampicata nelle condutture dell’aria condizionata. E quando la veghiana aveva raggiunto i sotterranei dell’Istituto, arrivando alla stanza segreta del Mazinkaiser, era scattato un allarme speciale che ne aveva rivelato l’esistenza. Il dottor Yumi, che nemmeno sapeva di quella stanza segreta ne era rimasto alquanto sorpreso, ed anche molto incuriosito. Tanto che aveva lasciato che fossero Tetsuya e i tecnici a gestire l’emergenza. Gli era venuto un dubbio, e si era precipitato a controllare quella zona. Tetsuya intanto si stava facendo dare un quadro della situazione dai tecnici. “Di operativo abbiamo solo Artemis Ace. E’ stata completata ma non collaudata. Non sappiamo se effettivamente può entrare in battaglia. E sia Venus Ace che Dianan Ace non sono in grado di entrare in azione. Ci vogliono almento tre ore per rimontare tutta la corazza.” – disse il professor Nossori, attraverso il monitor. Tetsuya batté il pugno sul tavolo. “Dannazione!” Il Great Mazinger, il suo Great Mazinger, era stato sottratto per la seconda volta. Jun che era dietro di lui, gli mise una mano sulla spalla. “Tetsuya…”. Il giovane guerriero si stropicciò gli occhi con le dita pensando per un attimo a cosa fare. Sullo schermo radar, intanto, il Great Mazinger continuava la sua salita folle. Tetsuya guardò di nuovo lo schermo. “Ma cosa ha intenzione di fare?” E Poi capì. “Vuole uscire dall’atmosfera con il Great. Probabilmente pensa che possa volare nello spazio.” La situazione era di colpo drammaticamente chiara: Il Great Mazinger non era in grado di uscire dall’atmosfera. Il Brain Condor non era schermato. Ma a parte questo, il Great poteva salire solo fino a 50.000 metri. Non era, come Getter, un robot progettato per viaggiare nello spazio. In poche parole, la veghiana si stava praticamente suicidando. “Devo fermarla!” disse ad alta voce. Poi si ricordò che c’era ancora qualcosa con cui poteva inseguirla. Non era proprio il massimo, ma per distrarre momentaneamente il Great poteva essere sufficiente. Intanto, Artemis Ace sarebbe stata collaudata e sarebbe potuta intervenire anche Hikaru. Perché era proprio a Hikaru che Artemis Ace era destinata. “Bene!” Tetsuya corse a cambiarsi. Poi raggiunse l’hangar dove erano stivati i vari veicoli dell’istituto. Tra gli altri c’era anche una replica del Jfo, il disco triangolare giallo, che Koji aveva costruito dopo che il primo TFO era andato distrutto. A differenza del prototipo di Koji, la replica era armata di missili. Ma sarebbero stati sufficienti a fermare il Great? E poi, da che era stato costruito, quel velivolo non aveva mai volato. Era un’idea decisamente pericolosa. Tetsuya si mise ai comandi. Attivò la piattaforma scorrevole che lo avrebbe portato all’esterno. Mentre questa si alzava, Tetsuya fece gli ultimi controlli sugli strumenti, poi pigiò il bottone del suo casco, abbassando la visiera. Il Jfo si trovava ora all’aperto, pronto a decollare. Il volto del Dottor Yumi comparve sul monitor: “Aspetta Tetsuya. E’ troppo pericoloso volare con quel veicolo. Rischi di ammazzarti.” Immediata la risposta di Tetsuya: “Lo so, dottor Yumi, ma non posso permettere che il Great Mazinger venga distrutto.” “Il Great lo possiamo ricostruire, ma la tua vita non ce la potrà restituire nessuno. Torna indietro, Tetsuya.” Tetsuya sorrise, sarcastico. “E la vita di quella giovane veghiana, dottore? Vuole forse dire che la sua vita non vale niente? Per quanto sia stata una nemica, ha il diritto di vivere, come tutti. Io combatto e ho sempre combattuto per salvarle, le vite. Tutte le vite. E’ mio dovere salvare anche lei. Si sta suicidando col Great e non lo sa. Se non lo facessi, allora la mia esistenza non avrebbe avuto alcun senso.” Ci fu un lungo momento di pausa tra i due. Tetsuya accese i motori. “Io vado, dottore.” Yumi tentò ancora di fermarlo: “Aspetta. Nel sotterraneo abbiamo trovato un robot eccezionale, che sarebbe certamente in grado di tenere testa al Great. Almeno prendi quello.” Ma Tetsuya aveva la risposta pronta anche per quell’ennesima obiezione del buo dottore: “Nei sotterranei ha detto? E quanto ci vorrebbe per riportarlo alla superficie? Mentre noi traffichiamo, il Great esploderebbe in aria per la troppa pressione. Purtroppo non abbiamo tempo professore.” Nel dire questo, Tetsuya tirò verso di se la cloche. Il Jfo decollò con una accelerata vertiginosa verso l’alto. Nella torre di controllo, il dottor Yumi non pote’ fare altro che constatare che Tetsuya aveva ragione. Abbassò lo sguardo, rammaricato. “Buona fortuna, Tetsuya.” Poi si mise al microfono della sala di controllo e diede istruzioni ai tecnici: “Officina numero 1. Sbrigatevi a terminare il collaudo di Artemis Ace. Gli altri si affrettino a portare il Mazinkaiser in superficie.

Il Jfo continuò a salire vertiginosamente. Essendo un piccolo velivolo, non ebbe molte difficoltà a raggiungere il Great Mazinger. Con un’abile manovra, Tetsuya si affiancò al robot. I due piloti ora potevano vedersi attraverso le cabine di pilotaggio. Tetsuya aprì un canale di comunicazioni. “Attenzione, pilota veghiana. Mi ricevi pilota veghiana?” Nessuna risposta dall’altra parte. Tetsuya continuò a trasmettere: “Attenzione. Il limite massimo di salita del Great Mazinger è di 50.000 metri. Quel robot non può salire oltre, o esploderebbe per la pressione. Torna indietro o morirai. Ti garantiamo che non ti verrà fatto nulla.” Ancora nessuna risposta dall’altra parte. Tetsuya controllò l’altimetro. Ormai i 50.000 si stavano avvicinando velocemente. Tirò con decisione la cloche verso di se. Il Jfo eseguì una serie di capriole in aria, poi si mise a volteggiare intorno al Great Mazinger. Sembrava una zanzara che stava infastidendo un gigante. Tetsuya stava manovrando in modo da passare avanti e indietro alla cabina di pilotaggio del Great. Dopo un paio di passaggi lenti, Tetsuya aumentò la velocità ed intensificò i passaggi, in modo da impedire il piu possibile la visuale a Salya. La manovra ebbe effetto. Il Great si arrestò. Volteggiando in aria, in posizione ferma, ora la testa del robot seguiva la traiettoria del piccolo velivolo giallo pilotato da Tetsuya. Quando il Jfo fu di nuovo vicino al volto del Great, questi mosse un braccio per afferrare il velivolo. Ma Tetsuya schivò magistralmente. Si allontanò di poco. Dentro la cabina sorrise e disse: “Heheheh, sei lenta, ragazza. Persino Koji sarebbe riuscito ad evitarti.” Il Jfo si avvicinò di nuovo al Great e quando fu proprio di fronte al suo volto, Tetsuya premette dei pulsanti sulla cloche. Due piccoli missili partirono dalle “ali” del piccolo velivolo triangolare giallo, ed esplosero sul volto del Great Mazinger. Tetsuya sapeva benissimo che quei piccoli missili non avrebbero potuto nemmeno scalfire la super lega NZ del Great, ma aveva un piano ben preciso in testa. Dopo aver evitato un altro paio di volte le manate del Great, Tetsuya si avvicinò di nuovo, e sparò un’altra coppia di missili al volto del Great. La scena si ripetè altre due, tre volte. Nella cabina del Great, Salya sentiva un sentimento di frustrazione crescere dentro di se. Si era impadronita di uno dei robot più potenti della Terra, eppure non riusciva ad abbattere un piccolo moscerino come quello. “Ma ora ti faccio vedere io.” Tirò una leva posta di fronte a lei. “Mazinger Blade!” La Mazinger Blade scivolò fuori dall’alloggiamento della coscia e poi in mano al robot. Il Great tirò alcuni fendenti in aria, inseguendo il Jfo. Ma anche con un’arma in mano non riusciva a colpirlo. Salya ripose la Mazinger Blade nel suo alloggiamento. Attese che il Jfo fosse di nuovo a portata di tiro. “Nerble Missile!” Il portellino sulla “fibbia” del robot si aprì facendo partire un missile. Tetsuya rimase sorpreso. Non si aspettava questa mossa. Premette il pulsante sulla cloche. Due piccoli missili partirono dalle ali ed andarono a collidere col Nerble Missile, esplodendo. Quando il fumo si diradò, Tetsuya si accorse che il Great Mazinger era di fronte a lui, in rotta di collisione. Tirò la cloche, iniziando un loop per evitare di scontrarsi col robot, ma proprio in quel momento fu raggiunto da una poderosa manata del Great. Il Jfo fu scagliato lontano. Tetsuya perse il controllo. Il velivolo cominciò a precipitare in avvitamento. Il Great si voltò e continuò la sua salita. Due mani rosse afferrarono il Jfo, fermandone la caduta. Tetsuya, accortosi che la rotazione era cessata, guardò fuori dalla cabina. Era sorretto dalle mani di Artemis Ace, sostenuta in aria dal grosso propulsore “camuffato” da chioma. Tetsuya sollevò lo sguardo verso la cabina di Artemis e scorse la figura di Hikaru ai comandi. “Ce la fai a rimettermi i condizione di volare?” chiese alla ragazza. Dalla cabina di Artemis, Hikaru rispose con un cenno delle dita. La presa di Artemis sul Jfo si allentò. Ora il velivolo stava sul palmo delle mani della donna robot. Tetsuya riaviò i motori. I due, insieme, ripresero la salita, fino a raggiungere nuovamente il Great Mazinger. Proprio i quel momento, una velocissima freccia luminosa colpì il robot, facendolo cadere all’indietro.

Capitolo 27

Qualche ora prima, Laboratorio per le Ricerche Spaziali. Il Dottor Umon stava alacremente controllando i vari strumenti della sala di controllo. Lo schermo del telescopio spaziale era attivo al centro della sala. Ormai la comparsa dell’ospite che stavano aspettando doveva essere prossima. La comunicazione da Fleed era stata chiarissima. Dovevano consegnare ad un cyborg di nome Hanuman il raggio congelante messo a punto dalla scienziata veghiana Kirica. Il dott. Umon aveva studiato attentamente i resti dell’astronave della povera Kirica, ed era riuscito a replicare il processo del raggio congelante. Un potere congelante talmente grande da riuscire a raffreddare perfino un sole. Se quella scoperta fosse finita in mani sbagliate, sarebbe stata la fine dell’universo. Però, per questo misterioso Hanuman, aveva garantito Duke Fleed in persona, e il dottor Umon si fidava ciecamente del giudizio del suo figlio adottivo. Il tecnico Hayashi distolse il professor Umon dai suoi calcoli: “Dottore. Una comunicazione per lei dallo spazio.” Il professore si avvicinò alla consolle principale del laboratorio. Lo schermo del telescopio spaziale stava ora inquadrando una scia di luce. Si udì una voce dall’altoparlante posto a lato dello schermo: “Dottor Umon, il mio nome è Hanuman. Vengo da voi mandato da Duke Fleed. Ho una richiesta urgente da farle.” Il dottore si affrettò a rispondere: “Benvenuto, Hanuman. So già tutto. Duke Fleed mi ha già informato sulle sue necessità. Stiamo approntando il raggio congelante. Ora le trasmetto le coordinate per l’atterraggio.” Il dottore armeggiò con alcune manopole, trasmettendo ad Hanuman dei dati ben precisi. Le coordinate della fattoria Shirakaba. Poi concluse: “Siamo tutti ansiosi di conoscerla, Hanuman. La attendiamo con impazienza.” Non ci fu risposta dall’altra parte, ma dai pochi mugugnii che uscirono dallo speaker si intuì che Hanuman era lievemente imbarazzato. Evidentemente non era abituato a ricevere un benvenuto così caloroso. Terminata la comunicazione, il dottor Umon scese personalmente nei sotterranei del laboratorio, dove alcuni tecnici stavano lavorando alacremente sui resti dell’astronave di Kirica. Voleva fare ancora delle ultime verifiche sul funzionamento del raggio prima di consegnarlo definitivamente ad Hanuman. Si era messo al lavoro da circa un’ora, quando fu richiamato d’urgenza alla sala controllo dal tecnico Hayashi. Sullo schermo del comunicatore, Hikaru lo mise al corrente della situazione: il Great Mazinger era stato sottratto dalla pilota veghiana che avevano catturato: la ragazza di nome Salya. Tetsuya era uscito con il JFO in attesa che Artemis Ace fosse collaudata. E intanto il Grat Mazinger rischiava di esplodere, se oltrepassava i 50.000 metri di altezza. Il dottor Umon rimase immobile per alcuni istanti, immerso nei suoi pensieri. Bisognava fare qualcosa. Richiedere l’intervento di Getter era fuori questione. Il Getter Robot G era sotto manutenzione, ed un intervento dalla luna non avrebbe fatto in tempo. L’unica soluzione era….
Il dottore prese in mano il microfono e diede a Hikaru delle precise disposizioni: “Rimani lì ed entra in azione appena Artemis Ace sarà completata.” Secca la risposta della ragazza: “Bene dottor Umon.” Poi, si avvicinò alla consolle delle comunicazioni. Regolò sulla frequenza usata poco prima da Hanuman. “Hanuman. Hanuman. Qui parla Umon. Riesce a ricevermi Hanuman?” La risposta non si fece attendere. “Forte e chiaro dottore.” Il dottor Umon si sentì sollevato. “Purtroppo sono costretto a chiederle un favore, Hanuman. Uno dei nostri robot più potenti, il Great Mazinger, è stato sottratto dalla Fortezza delle Scienze da una giovane Veghiana di nome Salia. Ancora non siamo riusciti a capire come abbia fatto data la strettissima sorveglianza. Comunque, vorremmo chiederle assistenza per fermare il Great e salvare la ragazza. A quanto pare non si rende conto che si sta praticamente suicidando.” Ci furono alcuni secondi di silenzio, carichi di tensione e di attesa, poi, la voce di Hanuman risuonò di nuovo nello speaker: “Ricevuto Dottor Umon. Mi trasmetta le coordinate.” Il dottore armeggiò ancora con le leve della consolle. Nello spazio, Hanuman, a bordo del suo Star Cloud ricevette le coordinate inviategli dal dottore. Sorrise tra se. “A quanto pare si sta avverando. Sento la presenza dell’Imperatore dei Demoni la sotto.” Poi attivò alcuni controlli della sua navicella. “Velocità fotonica al massimo.”

La freccia di luce che aveva colpito il Great non lo aveva trapassato, come era potuto sembrare all’inizio. Ma data la fortissima velocità con cui era stato colpito, Il Great Mazinger cominciò a precipitare all’ingiù di parecchie migliaia di metri. Nella cabina del Brain Condor, Salya era paralizzata dalla forza di spinta, mentre l’altimetro diminuiva rapidamente le sue unità numeriche. In pochi secondi da 45.000 era passato a 35.000 e poi da 35.000 a 25.000 . Tetsuya e Hikaru, che avevano assistito a tutta la scena, non riuscirono a credere ai loro occhi. Qualcosa di misterioso era accaduto. Come mai il Great non era stato perforato da quella misteriosa freccia? Senza perdere altro tempo, il Jfo e Artemis Ace invertirono la rotta, seguendo il Great nella sua picchiata. Quando finalmente lo raggiunsero, a 20.000 metri di quota, la freccia di luce era scomparsa, e al suo posto, un piccolo velivolo nero, non più grande del Brain Condor, stava spingendo il Great Mazinger verso terra. “Il motore di quell’affare deve avere una potenza spaventosa…” esclamò Tetsuya “per riuscire a respingere così il Great.” Hikaru, intanto, aveva controllato la lettura energetica del piccolo veicolo attraverso i rilevatori di Artemis Ace. “Ma…questo tipo di tracciato….” La ragazza si mise in comunicazione con il professor Yumi. “Dottor Yumi, ho ragione vero? Questo tracciato….” Dall’altra parte dello schermo giunse immediata la risposta del dottore “Si Hikaru. Il tracciato energetico di quel piccolo velivolo è lo stesso di quello di Grendizer. Quello è proprio un motore fotonico.” Tetsuya che aveva sentito la comunicazione sorrise e commentò: “Ora si spiegano molte cose….” La faccia del dottor Yumi apparve sul suo schermo di comunicazione. “Tetsuya. Abbiamo riportato alla superficie il Mazinkaiser. Rientra. Non puoi affrontare il Great con quel piccolo velivolo. Ho ricevuto ora una comunicazione dal dottor Umon. Il veicolo nero è dalla nostra parte. Lascia che sia lui a riportare il Great a terra. E preparati a fermarlo con Mazinkaiser.” “Bene dottore” Tetsuya tirò a se la cloche, iniziando la manovra di rientro all’istituto. Ma un’altra voce si fece sentire dallo speaker: “Tu devi essere proprio matto. Affrontare un robot del genere con quel giocattolino….” La voce misteriosa, che aveva un che di canzonatorio, irritò Tetsuya. “Chi sei? Chi parla?” Immediatamente la voce gli rispose: “Ehi, ehi….non ti scaldare. Guarda che i pazzi come te sono quelli che mi piacciono di più, perché non hanno paura di niente, esattamente come me. Hahahahahaha” Chi poteva essere a trasmettere? Scendendo in picchiata, il Jfo sorpassò il Great e il piccolo velivolo nero. Il pilota del piccolo mezzo, che indossava una strana armatura ed un casco bianco, parzialmente scoperto, da cui usciva un ciuffo di capelli, gli fece un cenno della mano con il pollice alzato. La voce risuonò di nuovo nello speaker. “Mi chiamo Hanuman. Piacere di conoscerti, Tetsuya Tsurugi.” Come faceva quel pilota misterioso a conoscere il suo nome? Tetsuya non ebbe il tempo di pensarci oltre. Tirò la cloche accelerando la picchiata e il rientro. Artemis Ace intanto, continuava a seguire la discesa del Great e del piccolo veicolo nero. Quando Hikaru guardò nella cabina dello Star Cloud, vide che Hanuman aveva gli occhi leggermente socchiusi. Probabilmente, sotto quel casco, stava sorridendo. “Tu devi essere Hikaru Makiba, giusto? Certo che le assomigli veramente….” Hikaru rimase interdetta per un attimo. Ma cosa stava dicendo quello straniero? Somigliava a chi? Poi la voce continuò. “Ho qualcosa per te da parte di Duke Fleed.” A sentire quel nome, Hikaru ebbe un tuffo al cuore. ‘Dunque Hanuman e Duke Fleed si conoscono?’ Poi la voce di Hanuman la distolse di nuovo dai suoi pensieri. “Però è meglio se prima sistemiamo la graziosa signorina che ora sta pilotando il Great. Che ne dici eh?” Hikaru vide chiaramente che Hanuman le stava facendo l’occhiolino. Artemis Ace accelerò la sua discesa e atterrò, mentre Hanuman continuava a spingere il Great Mazinger verso terra. Quando il robot fu a circa cinquanta metri di distanza dal suolo, Hikaru prese bene la mira. Sapeva esattamente cosa doveva fare. Poi urlò il comando vocale: “Zeta Cutter!” Artemis Ace era dotata di due micidiali lame boomerang stivate nei suoi polsi. La donna robot eseguì un arco di novanta gradi con le braccia, da sotto in su. Le due micidiali lame si staccarono dai polsi e si diressero verso il Great che stava atterrando di schiena. Le lame colpirono la schiena del Great Mazinger, apparentemente senza nessun risultato. Ma quando il possente robot progettato da Kenzo Kabuto toccò terra, le sue ali giacevano a parecchi metri di distanza, staccate dal supporto sulla schiena. Hikaru, aveva mirato alle giunture. La ragazza sorrise, compiaciuta di se stessa. “Ora non potrai più volare.” Hanuman intanto, stava volteggiando con il suo Star Cloud sopra il Great Mazinger. Poi la cabina del piccolo velivolo nero si aprì. Hanuman si alzò in piedi, cvalcando lo Star Cloud come se fosse una tavola da surf. Fece uscire i due pezzi che componevano il suo bastone dagli alloggiamenti sulle sue cosce, e li unì. Poi, saltando giù dal velivolo urlò: “Astro Henshin!” In pochi secondi il corpo di Hanuman crebbe di dimensioni, ingigantendosi. Quando toccò terra, il cyborg era alto piu o meno quanto il Great Mazinger. Salia rimise in piedi il robot, agendo sulla cloche. Tirò due leve davanti a se urlando un comando vocale: “Mazinger Blade!” Le due spade uscirono dagli alloggiamenti delle cosce, per arrivare nelle mani del Great. Salia si mise in guardia assumendo una strana posizione con le spade, tenendole “capovolte”, con la lama rivolta verso il basso del polso anziché verso l’alto. Hanuman si mise in posizione di guardia brandendo il suo giavellotto cosmico sopra la testa. L’aria era immobile mentre i due avversari stavano per scontrarsi.

Capitolo 28

Tetsuya atterrò col JFO e subito si recò in sala di controllo per ricevere istruzioni dal professor Yumi. Il dottore, di ritorno dall’hangar dove Mazinkaiser era stivato, aveva un’aria piuttosto preoccupata. Quando intravide Tetsuya gli si avvicinò. “Non riusciamo a capire come mai, ma il robot sembra come bloccato. C’è qualcosa che ne impedisce l’attivazione. E’ stranissimo….ma è come se….fosse stato momentaneamente immobilizzato. Come il Great, se viene colpito al collo….” Tetsuya osservò il dottore, pensieroso. “Però…” disse il ragazzo rivolto allo scienziato “quando il Great si blocca in quel modo, basta sganciare il Brain Condor ed effettuare un’altra volta l’agganciamento.” “E’ quello che ho pensato anche io.” Rispose il Dottor Yumi. “Abbiamo staccato il Kaiser Pilder dall’alloggiamento nella testa. L’unica possibilità è provare ad effettuare la manovra di agganciamento.” Tetsuya guardò il dottor Yumi con sguardo risoluto. “Bene dottore, io sono pronto.” Il dottor Yumi mise una mano sulla spalla del giovane pilota. “Tetsuya, non sappiamo a quali livelli di potenza può arrivare quel robot. Dai pochi documenti che abbiamo trovato nel laboratorio sotterraneo segreto, si desume che la potenza di questo Mazinkaiser sia pari, se non superiore, a quella di Grendizer. E tu sai cosa vuol dire.” Tetsuya non vacillò. Era ben fermo nella sua decisione. Il dottor Yumi continuò a parlare. “E poi, Tetsuya, sei già provato per il combattimento aereo. Rischi di farti male sul serio.” Tetsuya ricambiò lo sguardo del dottore. Nei suoi occhi bruciava la determinazione di chi era pronto a tutto. “Non abbiamo scelta, dottore, se vogliamo sperare di fermare il Great. Per quanto Hanuman sia forte nel combattimento corpo a corpo, non credo che potrebbe farcela contro le armi del Great.” “Il cyborg ha più possibilità di quanto si pensi, a sentire Umon.” Tetsuya sorrise. “Io vado dottore.” Lo scienziato sospirò. Non c’era proprio verso di tenere quel ragazzo lontano dal pericolo. Prese in mano il microfono. “Preparate il Kaiser Pilder per il lancio.” Tetsuya si inoltrò per i lunghi corridoi dell’istituto, fino a raggiungere la rampa di lancio che una volta era stata utilizzata per il Jet Scrander. Il Kaiser Pilder era gia pronto ad attenderlo. Tetsuya vi entrò. Premette i due bottoni rossi di attivazione di tutti i sistemi. I led presenti nella cabina si illuminarono all’unisono. “Kaiser Pilder pronto per il lancio.!” Dalla sala di controllo, Jun osservava sul monitor, preoccupata. “Tetsuya…” mormorò con la voce rotta. Tetsuya dovette averla sentita perché subito rispose: “Non ti preoccupare, Jun. Non ho nessuna intenzione di rimetterci le penne. Aspettami fiduciosa.” La voce del compagno di tante battaglie, ed ora anche di vita, impressionò favorevolmente Jun, che annuì sorridendo, senza però riuscire a celare una lacrima.
“Accensione motori!” comunicò Tetsuya, spingendo un paio di levette di fronte a lui. I comandi del Kaiser Pilder non erano dissimili da quelli del Brain Condor. I motori si accesero con un rombo assordante, ed emettendo una fiammata potentissima dai propulsori. Il professor Yumi diede l’ordine finale. “Lancio!” Tetsuya premette un’altra levetta e pigiò sul pedale sinistro. Il Kaiser Pilder, con un’accelerazione spaventosa, comincio ad arrampicarsi lungo la rampa di lancio. La velocità era impressionante. In pochi decimi di secondo il Kaiser Pilder aveva percorso tutta la rampa di lancio, ed aveva cominciato ad arrampicarsi lungo la volta celeste. Tetsuya, all’interno dell’abitacolo, non si era nemmeno reso conto di avere incominciato una incredibile salita verso l’inferno. Paralizzato dalla spaventosa accelerazione, alla quale non era abituato (era infatti ben superiore a quella per cui era stato allenato), riusciva solo a tenere entrambe le mani ben strette sulla cloche. “Dio mio! Che potenza spaventosa.” Pensò il giovane mentre tentava di riportare in assetto il Kaiser Pilder, per farlo ridiscendere dolcemente verso l’Istituto di Ricerca per la Foto Potenza. Ma per farlo, doveva riuscire a tirare verso di se la cloche. Per quanto ci provasse, per quanta forza ci mettesse, non riusciva a tirare quella leva di comando. Sembrava come immobilizzata, bloccata.
Il Pilder intanto continuava a salire vertiginosamente, ed ormai aveva già superato le nuvole. Tetsuya continuava a stringere la cloche, tentando di tirarla verso di se. La vista cominciava già ad offuscarsi. Il giovane strinse i denti, fino a mordersi leggermente un labbro. Una goccia di sangue cominciò a colargli dalla bocca. “Non…..mi farò….piegare da te!” Tetsuya tirò la cloche con tutta la forza e la volontà che gli era rimasta in corpo. “Uooooooooooo.” Improvvisamente, la cloche si mosse, leggera come una piuma. Tetsuya riuscì a tirarla verso di se, e contemporaneamente spinse sul pedale destro. Il Kaiser Pilder compì una inversione a U e cominciò a discendere verso terra. I comandi ora non opponevano più alcuna resistenza. Era come se fosse stato tolto loro un blocco. Tetsuya manovrò fino ad arrivare sulla verticale dell’istituto. Vedeva già la piscina sfondata dal Great sotto di lui. Senza ulteriori indugi, diede il comando vocale: “Mazin Go!”. Dal fondo della piscina la figura massiccia di Mazinkaiser cominciò ad emergere piano piano. Tetsuya tirò una leva alla sua destra. Era il comando per il cambiamento di assetto del Kaiser Pilder. La punta del velivolo si aprì in due, affiancandosi alle ali. Tetsuya portò il velivolo sulla verticale della testa del Mazinkaiser, allineandosi con il vano di alloggiamento. Quando fu sicuro di essere perfettamente allineato, spinse la cloche in direzione opposta alla sua. Il Kaiser Pilder accelerò fulmineamente, bruciando la distanza che lo superava dalla testa del robot. Poi, con un clangore fortissimo, la navicella si agganciò alla testa del robot. L’impatto fu talmente forte che Tetsuya svenne. Ma la sua coscienza, per quanto incredibile gli sembrasse la cosa, era ancora ben presente. Davanti a lui stava ora un gigante di tre metri. Sembrava fatto di pietra, dieci luci brillavano lungo la verticale del suo corpo. Ma la cosa più strana era che la sua faccia assomigliava in maniera impressionante a quella del Great Mazinger. I suoi occhi avevano delle pupille che sembravano poter vedere l’infinito, ma il suo sguardo era pieno di calore. Poi parlò, con una voce che anch’essa infondeva calore e sicurezza. “Benvenuto a te, Tetsuya Tsurugi! Tu sei uno dei pochi che può dominare l’Imperatore dei Demoni, anche se per poco tempo. Non sei tu il predestinato. Ma la tua volontà e la tua determinazione sono forti. Ora và! E salva quella povera ragazza e il Great Mazinger.” Tetsuya restò sconcertato. Era sicuro di aver già visto quel misterioso gigante di pietra. Ma dove? In quel momento, il ragazzo riprese coscienza. E nello steso istante, gli occhi di Mazinkaiser si illuminarono di vita. La sensazione che aveva provato al risveglio. Non gli era nuova. Quando aveva provato qualcosa del genere? Tetsuya aprì un canale di comunicazioni verso l’Istituto: “Dottor Yumi, ma che è successo?” “Sei svenuto per una decina di secondi circa, Tetsuya.” Rispose trafelato il professor Yumi “Come ha detto?” chiese il ragazzo, mentre lo sgomento pervadeva tutto il suo essere. Finalmente si ricordò dove e quando aveva visto quello strano gigante di pietra e provato quella strana sensazione che aveva avuto. Era stato quando, a 16 anni, aveva tentato per la prima volta l’agganciamento del Brain Condor al Great Mazinger. A causa del forte impatto era svenuto per qualche secondo, e come sospeso in un sogno, aveva visto quel misterioso gigante. Questi gli aveva parlato, affidandogli il Great Mazinger perché difendesse l’umanità dalla minaccia dei Micenei. E poi, un altro ricordo si affacciò alla sua mente. Era poco dopo la fine della guerra con i Micenei. Giaceva in un letto d’ospedale, ferito, con poca fiducia in se stesso e divorato dal senso di colpa per la morte del professor Kabuto. Koji era venuto a fargli visita, poco prima di ripartire per l’America. Avevano parlato per quasi tutto il giorno, spiegandosi a vicenda. Koji gli aveva detto che non doveva sentirsi in colpa per la morte del dottor Kabuto. Era stata solo una vittima della folle guerra che si era combattuta tra Micenei e terrestri. Tetsuya non ne era responsabile, e anzi, doveva continuare a vivere, in tutta la sua pienezza, la sua vita, affinché la morte del dottore, del loro padre, non fosse stata vana. Poi, Koji gli aveva raccontato qualcosa che fino ad allora non aveva raccontato a nessuno: di come, quando era salito per la prima volta a bordo di Mazinger Z, aveva visto anche lui quello strano gigante di pietra, dopo essere svenuto per pochi secondi dopo l’agganciamento. “C’è molto di piu di quanto immaginiamo, negli automi costruiti da nostro padre e nostro nonno.” Aveva detto Koji, sorridendogli. “Con essi possiamo essere davvero dei, oppure demoni.” Pochi giorni dopo, Koji era partito per l’America assieme a Sayaka. E quando Koji era tornato, era iniziata la guerra contro Vega. Guerra alla quale lui non aveva potuto partecipare, perché si stava ancora rimettendo dalle ferite. Poi c’erano stati il Dragosauro, l’affare dei Damdomiani e in seguito la decisione di Koji di partire alla volta di Fleed, per raggiungere Maria. ‘A quanto pare, avevi proprio ragione, fratello.’ . Il pensiero di Tetsuya corse a Koji, ora infinitamente lontano, e al quale probabilmente quel prodigioso robot era destinato. La Z sul petto, il nome del velivolo. Tutto lo faceva supporre. Ma per il momento era in mano sua. E lo avrebbe utilizzato al meglio. Per salvare. Per difendere. Per essere un dio protettore, non un demone distruttore. Proprio come avrebbe voluto il Dottor Kenzo Kabuto, suo padre adottivo. Tetsuya lasciò la cloche, ed afferrò le due leve poste alla sua destra. Le sei luci situate sulla parete dietro al sedile si illuminarono. La sincronizzazione era completa. Tetsuya spinse in avanti la leva destra. Mazinkaiser iniziò a muoversi.

Capitolo 29

Il Great Mazinger e Hanuman erano fissi, immobili, entrambi in una perfetta posizione di guardia. Il Great, con quello strano modo di impegnare le spade, ed Hanuman con il giavellotto posizionato sopra la testa. La tensione era altissima. Sembrava che l’aria fosse congelata in quell’attimo. Poco lontano, Hikaru osservava dalla cabina di Artemis Ace. Anche lei, che pure non era una guerriera in senso stretto, sentiva la tensione prodotta dai due avversari. E aveva paura. All’interno della cabina del Great Mazinger, il respiro di Salya stava diventando irregolare. La sua concentrazione stava piano piano diminuendo. La guardia, perfetta e invalicabile, di Hanuman l’aveva messa a disagio. “Dannazione, ma perché non attacca?” Di fronte a lei, il gigantesco cyborg non accennava al minimo movimento. Era pronto per qualsiasi attacco. La sua esperienza in combattimento era davvero notevole, e non poteva essere diversamente, dato il lungo tempo che aveva vissuto. Finalmente i nervi di Salya cedettero. La ragazza spinse la cloche in avanti, agendo contemporaneamente sul pedale. Il Great Mazinger si mosse fulmineo in direzione di Hanuman, mentre Salya gridava il suo “Hyaaaaa…..”. Dei fendenti di Mazinger Blade sibilarono nell’aria. Hanuman, per niente impressionato, si limito a portare il suo giavellotto dietro la schiena abbassando le braccia e a schivare i fendenti del Great Mazinger. Salya non si arrese. Approfittando dei fendenti andati a vuoto, cambiò il modo di impugnare la spada, usando ora quello tradizionale della scherma terrestre. Fece per calare le due spade sulla testa del cyborg. Questi, raddrizzandosi sulla schiena e con un fulmineo movimento delle braccia non fece altro che riportare il giavellotto in orizzontale sopra la sua fronte, parando le spade. Poi, separò il bastone nelle sue due parti componenti. Iniziò uno scambio di poderosi fendenti tra il Great Mazinger e Hanuman. Per quanto abile fosse la pilota veghiana, però, c’era comunque una piccola disparità di forze tra il robot ed il cyborg. Per quanto potesse essere potente il Great Mazinger, era pur sempre un robot pilotato. I suoi tempi di reazione erano piu lenti di quelli di Hanuman, che invece era un cyborg i cui movimenti dipendevano solo ed unicamente dal suo cervello. Il risultato di questo era che, nonostante i continui attacchi e le parate del Great, molto spesso le stoccate di Hanuman andavano a segno sul corpo del robot. Tuttavia, il robot era composto di super lega NZ. Quindi, delle semplici stoccate come quella, non potevano impensierirlo granché. Hanuman maledisse la sua solita fretta ed irruenza. Quel combattimento stava durando davvero un po’ troppo. Doveva fermare il Great Mazinger, non distruggerlo. Questo significava che non poteva in alcun modo colpire il Brain Condor. Anche perché, stando a quanto aveva captato dalle trasmissioni terrestri, la volontà di tutti era che la pilota veghiana si salvasse. “Accidenti a me. Ma perché non mi sono premurato di chiedere al dottor Umon come fermare il Great senza danneggiarlo? Ci deve essere un modo.” Nonostante il suo corpo meccanico, Hanuman cominciava a sentire la stanchezza di quel combattimento. Il lungo viaggio da Fleed lo aveva provato non poco. La sua parte organica ne aveva risentito. Mentre Salya continuava ad attaccare Hanuman e questi a difendersi, Hikaru dentro Artemis Ace notò che qualcosa non andava. “Quella ragazza sembra conoscere alla perfezione ogni più piccolo segreto del Great. Ma allora perché non usa le armi per contrattaccare Hanuman? Sta usando solo le Mazinger Blades. Perché?” Un ennesima parata di Hanuman con il suo giavellotto. Le spade del Great si infransero contro il bastone prima di poter cadere sulla testa del cyborg. Salya decise di cambiare tattica. “Ti piace tanto usare quel bastone eh? Beh ora vediamo se ti piace questo.” Salya premette un pulsante posizionato sul cruscotto. Un pulsante da poco montato sul Brain Condor, che azionava una nuova funzione per una delle armi del Great Mazinger. La ragazza urlò il comando di attivazione. “Mazinger Lancer!” Il robot avvicinò le due else delle Mazinger Blades, finché queste non si toccarono. Si udì una specie di click, come di una specie di bottone che si stesse agganciando ad una fibbia. Le due spade, unite, erano diventate una lancia che il Great Mazinger stava ora facendo roteare nella sua mano destra. Il fantastico balletto tra il cyborg e il robot, riprese, ancora più veloce e cruento di prima. Lancia contro bastone, stavolta. Le due armi si incrociarono più volte sprigionando scintille. L’uso di questa nuova arma doveva aver dato alla pilota Veghiana nuovo vigore e spirito combattivo, perché ora i suoi attacchi non davano tregua, e Hanuman era ridotto sulla difensiva. Poi, in lontananza, si udirono come dei passi. Era impossibile sbagliarsi. Era il tipico rumore di passi prodotto da un Mazinger in corsa. Tetsuya e Mazinkaiser erano arrivati sulla scena dello scontro. Hikaru rimase molto sorpresa, e anche leggermente intimorita dall’aspetto terrificante di questo nuovo robot. Vedere Tetsuya ai comandi, attraverso l’abitacolo del Kaiser Pilder la tranquillizzò. Aprì immediatamente un canale di comunicazioni: “Tetsuya, cos’è quel robot che stai pilotando?” Tetsuya rispose, sorridendo quasi beffardamente: “Questo….” Fece una breve pausa poi continuò: “E’ l’Imperatore dei Demoni, Mazinkaiser.” Nel sentire queste parole, Hanuman si voltò per vedere il nuovo arrivato. Le parole di Tetsuya avevano attirato la sua attenzione. “Fu-Fiuuuu….Così è quello l’Imperatore dei Demoni – pensò – Certo che è davvero impressionante.” Quell’attimo di distrazione fu fatale. Un fendente di lancia del Great Mazinger scagliò Hanuman ad alcuni metri di distanza, facendolo inciampare e cadere a Terra. Salya si volse a contemplare il suo nuovo avversario. Trasecolò nel riconoscere il misterioso gigante metallico che aveva visto poche ore prima in quell’hangar sotterraneo. Ne rimase come ipnotizzata ed affascinata per alcuni secondi. Poi il panico si impadronì di lei. Senza pensare ulteriormente, si mise a correre con il Great Mazinger verso il Mazinkaiser brandendo la sua lancia. Quando fu a portata di tiro vibrò due fendenti. La spada del Great colpì in pieno l’armatura del Mazinkaiser, ma quando Salya si allontanò per verificare se il suo avversario avesse subito dei danni, rimase del tutto trasecolata. L’armatura del nemico non aveva subito nemmeno un graffio. Fu ora il turno di Tetsuya di contrattaccare. A passi lenti, si avvicinò sicuro al Great Mazinger. Salya era terrorizzata e non riusciva più a reagire con i tempi dovuti. Mazinkaiser sferrò un pugno in faccia al Great. Il robot, indietreggiò perdendo l’equilibrio. Non appena si riprese, un piccolo portellino si aprì sulla sua fibbia. Venne lanciato un Nerble Missile. Mazinkaiser non si scompose minimamente. Nemmeno quando il Nerble Missile lo colpì in pieno. Quando il fumo si diradò, Mazinkaiser era ancora intatto. “Questa nuova lega NZ Alpha è davvero fenomenale” pensò Tetsuya. “Molto piu resistente della vecchia lega NZ.” Salya decise di tentare ancora il tutto per tutto. Non voleva arrendersi. Le braccia del Great Mazinger sollevarono verso il Mazinkaiser. Del fumo cominciò ad uscire dai gomiti. Pochi istanti dopo gli Atomic Punch erano diretti verso Mazinkaiser. Ancora una volta, Tetsuya rimase calmo. Sapeva esattamente cosa fare. Mazinkaiser puntò le sue braccia verso gli Atomic Punch. Tetsuya urlò il comando di attivazione: “Turbo Smasher Punch.” Sei micidiali lame tagliaferro erano disposte in maniera permanente lungo il braccio del robot, contrariamente a quanto succedeva nel Great Mazinger, le cui lame erano invece retrattili. D’altronde, Mazinkaiser non aveva bisogno di limitare la potenza del suo pugno. Il polso e il braccio del robot cominciarono a roteare vorticosamente, poi i pugni si staccarono dai gomiti. La distanza tra le due coppie di pugni fu coperta in pochi decimi di secondo. I pugni di Mazinkaiser si aprirono, afferrando saldamente quelli del Great, poi ritornarono ad attaccarsi ai gomiti. L’imperatore dei Demoni ora teneva in mano gli Atomic Punche del Great Mazinger, i cui reattori erano ancora accesi. Tetsuya lascio che la spinta dei propulsori venisse finalmente meno, poi fece cadere gli Atomic Punch a terra. Mazinkaiser cominciò ad avanzare lentamente verso il Great Mazinger. La sua espressione era tutt’altro che rassicurante. Una voce femminile fendette l’aria. “Aspetta Tetsuya!”. Era Hikaru, da Artemis Ace. “Voglio parlare con lei. Forse riesco a convincerla.” “Sei sicura Hikaru?” chiese Tetsuya dalla cabina del Kaiser Pilder, per nulla convinto. “Fammi provare.” Disse la ragazza. Il suo sguardo era davvero determinato. “Va bene” disse Tetsuya. “Vediamo se ti ascolta.” Mazinkaiser si mise in posizione di riposo, non prima di aver fatto un cenno a Hanuman che aveva osservato il tutto da poco distante. Hikaru aprì un canale di comunicazione verso il Great, verso Salya. “Ti chiami Salya, vero? Perché vuoi gettare via cosi un bene prezioso come la tua vita? Cos’è che ti tormenta?” Nel dire queste parole, Hikaru ripensò a qualche anno prima, quando aveva deciso di lottare assieme a Daisuke, a bordo del Marin Spacer.

“Perché vuoi buttare via cosi la tua vita?” le aveva chiesto il principe di Fleed. “E’ la mia vita. E se voglio posso anche buttarla.” Aveva risposto la ragazza, in un atteggiamento di sfida verso colui che, a quanto pareva, non voleva corrispondere i suoi sentimenti. Quello che era avvenuto dopo, aveva completamente spiazzato la ragazza: Daisuke le aveva tirato un ceffone, come ad una bambina piccola, gridando indignato: “Non puoi dire questo.” Lei aveva capito. E si era vergognata a morte. Come poteva dire una cosa del genere, mentre proprio Daisuke rischiava ogni volta la vita con Grendizer per proteggere la Terra, ma anche e soprattutto lei? Aveva capito il suo errore, ed in seguito, era riuscita, con la sua determinazione, a combattere al fianco dell’uomo che amava. Ma mai più, dopo quella volta, aveva pensato alla vita come a qualcosa di scontato o poco prezioso.

Salya, a bordo del Great Mazinger, reagì stizzita: “Che ne puoi sapere tu?” le lacrime cominciarono a scenderle dagli occhi. Salya ricordò.

Appena diplomatasi all’accademia militare di Fleed, era stata subito spedita in missione sul fronte del pianeta Ruby. Allora era ancora una recluta giovane ed insicura, che non sapeva nulla delle vie della guerra. Era stata addestrata in fretta e furia e spedita subito al fronte, esattamente come molti altri ragazzi della sua età. Niente altro che carne da cannone. Salya non era stata una studentessa molto brillante, tanto che nessuno voleva fare coppia con lei perché, dicevano, assieme a lei sarebbero certamente morti. A bordo della Mother Ship che la stava portando sul fronte, aveva conosciuto un giovane di nome Tarken. Tra i due era nata una reciproca simpatia, tanto che il ragazzo aveva addirittura deciso di fare coppia con lei durante la loro prima missione sui Miniufo. Il ragazzo si fidava di lei. Ma l’insicurezza e l’indecisione di Salya furono fatali. A causa dell’esitazione di un attimo nello sparare, il miniufo di Tarken era stato colpito ed era esploso. Salya aveva causato la morte di quel ragazzo, senza aver avuto neppure il tempo di accorgersi di amarlo. Da quel momento, la ragazza si era chiusa completamente in se stessa. Aveva cominciato ad addestrarsi sempre più duramente. Alla missione successiva, aveva chiesto che non le fosse assegnato alcun partner. Era riuscita a tornare. In seguito, tornò vittoriosa da numerose missioni, sempre in solitaria, e i suoi risultati in guerra divennero sempre piu brillanti, tanto da attirare l’attenzione di Re Vega, che la arruolò nelle sue Guardie Imperiali. Un onore che lei certo non meritava. Salya era lontana quando Vega fu finalmente sconfitto da Grendizer. Non sapendo fare altro che combattere, Salya aveva dapprima vagato nello spazio, creandosi la fama di guerriera attaccabrighe. Poi aveva incontrato Yurak e il duca Narkis, che le avevano offerto la possibilità di combattere ancora. Che la loro causa fosse giusta o meno, poco importava. L’importante era combattere. Aveva rimosso il ricordo di Tarken fino a quando non si era seduta ai comandi di Mazinkaiser. Quando il misterioso gigante di pietra l’aveva guardata con quei suoi occhi penetranti, lei aveva ricordato tutto. Tutta la sua vita di guerriera l’aveva condotta sempre da sola, spinta dal senso di colpa per la morte di quel ragazzo. E ora, con il Great Mazinger, aveva avuto l’occasione di porre finalmente termine a tutte le sue sofferenze ed i suoi sensi di colpa.

La voce di Hikaru continuava a risuonare nell’interfono: “Ascolta. Qualsiasi cosa ti sia successa, la morte non è una soluzione. Dall’alto hai potuto vedere quanto sia bella la Terra. Perché non ti fermi qui, a vivere con noi? “ Salya si sentì confusa dalle parole di Hikaru: “Basta! Smettila! Cosa ne vuoi sapere?” Ma Hikaru non aveva intenzione di arrendersi: “Ascolta. La tua unica colpa è stata quella di essere presente sull’astronave che comandava quel mostruoso cavallo. Ma a parte questo, non ti si può ascrivere nulla. Non eri tu che comandavi quel mostro. E non hai fatto del male a nessuno.” “Taci. Che ne sai? Ho ucciso tantissimi soldati…..cosi tanti che nemmeno puoi immaginare.” “Era la guerra, Salya. Una sporca guerra che non era nemmeno la tua. Ma adesso la guerra è finita. Ora non è più tempo di combattere. Ora è tempo di vivere, Salya ! E tu puoi farlo qui, assieme a noi.” “Basta. Non voglio più ascoltarti.” Salya stava per premere un bottone. Il bottone di attivazione del Breast Burn. Non fece in tempo. La punta del giavellotto di Hanuman colpì il Great Mazinger alla schiena, all’altezza del collo. Le funzioni del robot cessarono del tutto. Il Dottor Yumi aveva comunicato al cyborg, su una frequenza protetta, quale fosse il punto debole del Great. Il resto accadde in un attimo. Tetsuya, con il Mazinkaiser, immobilizzò il Great Mazinger, e Salya dovette arrendersi. Quando finalmente la ragazza uscì dall’ascensore posto sul piede sinistro del Great, Hikaru era davanti a lei. Salya, le si avvicino, gli occhi in lacrime, furenti di rabbia. “Che ne puoi sapere tu?” gridò, prendendo Hikaru a pugni sulle spalle e piangendo. Hikaru non si oppose alla rabbia di Salya. “Che ne puoi sapere tu?” continuava a gridare la ragazza veghiana. Hikaru lasciò cadere il casco che teneva in mano e abbracciò Salya, stringendola come se fosse una bambina. La veghiana smise di picchiare Hikaru e scoppiò in un pianto dirotto, abbandonandosi al senso di protezione e conforto che le braccia di Hikaru offrivano. Ora, finalmente, poteva smettere di combattere, e cominciare, finalmente, a vivere.

Capitolo 30

Salya era distesa sul lettino dell’ospedale dell’Istituto di Ricerche per la Foto Potenza. Aveva dormito, per la prima volta dopo tantissimo tempo, senza incubi. Anche il trattamento anti radiazioni stava facendo il suo effetto. In pochi giorni avrebbe potuto essere dimessa. Il suo spirito guerriero, tuttavia, non era ancora scomparso. Si svegliò di colpo quando avvertì una presenza vicino al suo letto. Un giovane medico dell’istituto stava controllando l’andamento del trattamento anti radiazioni. “Dott. Ryuzaki.” Chiamò la ragazza, avendo riconosciuto il dottore. Questi le sorrise. “Buongiorno Salya. Come ti senti oggi?” La ragazza ricambiò il sorriso. “Bene. Mi sento bene, grazie.” “Ormai il trattamento è quasi finito. Tra qualche giorno potremo dimetterti e potrai uscire di qui. Hai già deciso cosa fare?” La ragazza arrossì. Non si aspettava tutte quelle attenzioni da quel giovane medico. A pensarci bene, era la prima volta che qualcuno si interessava a lei. “Per i primi tempi andrò ad abitare alla fattoria Shirakaba. La famiglia Makiba mi ha invitato a stare da loro. Ma poi, mi piacerebbe viaggiare. Vedere la Terra.” Il dottor Ryuzaki le sorrise. “Mi sembra un’ottima idea. I Makiba sono brave persone. Vedrai che ti troverai bene con loro.” Salya assunse un’aria leggermente preoccupata. “Lei dice?” Il dottor Ryuzaki le sorrise di nuovo. “Non sei la prima aliena che accolgono tra loro. Hanno tutti un grande cuore. Vedrai.” Il dottore terminò di controllare la cartella clinica di Salya, poi vi appose la sua firma. “Hai bisogno di qualcosa?” Salya scosse la testa. “No grazie, dottore.” Voltandosi, vide un mazzo di bellissimi fiori colorati sul comodino. Fiori che, sicuramente, le aveva portato quel giovane medico. Da che era ricoverata, non le aveva mai fatto mancare sul comodino un piccolo vaso di fiori freschi. Salya arrossì. Si rivolse di nuovo al dottor Ryuzaki. “Lei è davvero molto gentile con me, dottor Ryuzaki.” Il giovane medico arrossì a sua volta. “E’ il mio dovere di medico.” Disse, portandosi una mano dietro la testa, visibilmente imbarazzato. Poi, fece per uscire dalla stanza. “Devo andare. Gli altri pazienti mi aspettano.” Il dottore fece due passi verso la porta, ma fu fermato dalla ragazza veghiana. “Aspetti, dottor Ryuzaki.” Il dottore si fermo sull’uscio, si voltò, sorridendo alla ragazza. “Si?” Salya arrossì di nuovo, giocherellò con un piccolo oggetto che teneva in mano. Era imbarazzata. La sua vita di guerriera non l’aveva preparata per vivere quel tipo di sentimenti che, se ne stava accorgendo, stavano nascendo in lei per quel giovane medico. “Mi direbbe….il suo nome?” Il giovane dottore la guardò, poi, rivolgendole un sorriso che più luminoso non poteva essere, le rispose. “Mi chiamo Kazuya.” Detto questo il dottore uscì dalla stanza. Salya si distese sul letto, con il nome del dottore ancora sulle labbra. “Kazuya….Ryuzaki.”

All’istituto per le ricerche spaziali, il dottor Umon stava lavorando alacremente, per impiantare il raggio congelante nell’astrobastone e nello Star Cloud di Hanuman. Dal momento che serviva per eseguire dei trattamenti quasi chirurgici, il dottor Umon aveva suggerito di inserire il raggio in una delle estremità dell’astrobastone, in modo che potesse essere utilizzato come bisturi. Inoltre, inserendolo nei cannoncini dello Star Cloud avrebbe potuto essere usato anche come arma. Ma per completare il tutto, ci sarebbero voluti almeno un paio di giorni. L’astrobastone di Hanuman era il prodotto di una avanzatissima tecnologia, e al dottor Umon occorreva del tempo per poterne studiare i circuiti e capire come implementarvi il raggiocongelante. Si decise che Hanuman sarebbe stato ospite alla fattoria Shirakaba. Spogliatosi dell’armatura in Gren, aveva potuto indossare degli abiti terrestri e sembrare un qualsiasi essere umano. L’unica cosa per cui, forse, si sarebbe potuto dire che era un cyborg, erano le mani, dall’aspetto decisamente metallico. Dal momento che era la prima sera in cui sarebbe stato ospite, il vecchio Danbei aveva organizzato una festa di benvenuto, invitando anche i proprietari delle fattorie vicine. Alla festa partecipò anche il Mazinger Team al completo. Dopo aver mangiato, bevuto e ballato tutta la sera, Hikaru prese Hanuman in disparte, e gli chiese di Daisuke. “Daisuke?” rispose Hanuman, cadendo dalle nuvole. Non conosceva l’identità terrestre di Duke Fleed. “Si, Daisuke Umon. Duke Fleed. Come sta?” Hanuman sorrise. “Sta bene. E’ molto occupato nella conduzione del pianeta Fleed, ma sta bene. Koji e Maria lo stanno aiutando, anche se c’è davvero molto da fare. Non lo dà a vedere, ma credo che vorrebbe rivederti. Ah, aspetta…..mi ha chiesto di darti questa.” Hanuman estrasse la foto che Duke gli aveva consegnato da una tasca dei pantaloni jeans che indossava. L’aveva portata alla festa, sperando che, prima o poi, ci fosse l’occasione di consegnarla a Hikaru. La cornice che conteneva la foto era ben impacchettata in una scatolina di metallo, in modo che non si rovinasse. Hikaru aprì la scatola, incuriosita. Lo stupore si dipinse sul suo volto, nel vedere la foto. La riconobbe. Ce ne era una uguale tra i cimeli di sua nonna. “Hanuman, tu sai chi è il giovane ritratto in questa foto?” chiese la ragazza, lo stupore dipinto chiaramente sul suo volto. Hanuman le sorrise. “Quel giovane, è Pegas Fleed, il nonno di Duke. Lo scienziato che mi regalò l’armatura e lo Star Cloud.” Hikaru guardò dapprima la foto, poi Hanuman. “Vieni con me per favore.” Disse Hikaru, rivolta al cyborg. I due entrarono in casa. Hikaru fece accomodare Hanuman al piano terra, nell’ampia sala da pranzo, poi salì in camera sua. Rovistò fra le cose che la nonna le aveva lasciato, fino a trovare quello che cercava: una vecchia foto, ormai ingiallita e consumata dal tempo. Tornò velocemente in sala da pranzo e la fece vedere a Hanuman. “Guarda qui!” Hanuman guardò la foto con attenzione. “E’ la stessa foto.” Esclamò senza troppa sorpresa. Poi raccontò in quale occasione aveva incontrato Duke Fleed e come aveva ricevuto quella foto. “Se ho ben capito, il nonno di Duke….di Daisuke….e tua nonna, si conoscevano.” “Si.” Rispose la ragazza, ancora incredula. “Me ne ero dimenticata, ma mia nonna me lo raccontava sempre, quando ero bambina. Del principe che era sceso dal cielo e che lei aveva conosciuto e amato. Io ho sempre pensato che fosse una fiaba inventata per farmi dormire la sera. Non ci credevo nemmeno quando mi mostrava questa foto.” Hikaru osservò meglio la foto, e notò la somiglianza di Pegas con Duke. “Il giovane in questa foto….assomiglia davvero a Daisuke.” “Già…” replicò Hanuman. Non vi era proprio null’altro da aggiungere. Hikaru continuava a fissare la foto. Ancora non riusciva a credere a quella strano gioco del destino. Lei e Daisuke erano davvero legati, con trame ancor piu fitte di quanto lei credesse. Ormai la voglia di rivedere Daisuke era davvero enorme. Avrebbe voluto partire subito per Fleed, ma sapeva che non era possibile. Ci sarebbe voluto ancora un po’ per completare la seconda astronave che avrebbe portato l’armata Mazinger su Fleed. Da quello che Yurak aveva raccontato, i pirati spaziali si preparavano ad un’invasione in massa del pianeta Fleed. Dopo lunghe riunioni tra i direttori dei maggiori istituti e le nazioni unite, si era deciso di inviare l’armata Mazinger in appoggio a Fleed, mentre le armate Getter, sarebbero rimaste a difesa della Terra. L’astronave di Vega montava un motore che permetteva di giungere a Fleed in poco tempo, ma bisognava prima studiare un modo per farlo funzionare con l’energia del fotoquantum. Il dottor Yumi stava già conducendo studi approfonditi su quel motore assieme ai suoi tecnici. Ma bisognava anche costruire uno scafo abbastanza grande da contenere tutti i robot, e anche per questo ci voleva tempo. E poi c’erano i due mesi di viaggio….Doveva passare ancora parecchio prima che Hikaru e Duke potessero incontrarsi, a meno che…. “Hanuman….” La ragazza si rivolse al cyborg con un’espressione che piu seria non poteva essere. Aveva una precisa richiesta da fargli.

Passarono alcuni giorni. Il professor Umon terminò finalmente di installare il raggio congelante nell’astrobastone di Hanuman. Ne spiegò il funzionamento al cyborg. Dopo aver terminato gli ultimi controlli e fatto il collaudo, finalmente Hanuman era pronto a partire. Si erano riuniti tutti alla fattoria Makiba, per un ultimo saluto al guerriero dello spazio. Hikaru uscì dalla fattoria, vestita con la sua tuta da combattimento. Anche lei era pronta a partire. Danbei la guardò preoccupato. “Sei sicura di quello che fai, figlia mia?” La ragazza annuì. Hanuman cercò ancora una volta di distoglierla da quella folle idea: “Il tuo corpo umano potrebbe non sopportare le enormi pressioni richieste da un viaggio a velocità fotonica. Sei assolutamente sicura di non volerci ripensare?” Il cyborg aveva tentato in tutti i modi di convincere Hikaru che era un’impresa troppo pericolosa, che avrebbe rischiato di morire. Ma la ragazza non aveva voluto sentire ragioni. Voleva essere accompagnata al più presto su Fleed. Sentiva che Duke aveva bisogno di lei e non poteva rimandare oltre la sua partenza. Anzi, avrebbe dovuto essere già li. Hikaru guardò Hanuman dritto negli occhi. “Ne abbiamo già parlato, Hanuman. Si, sono assolutamente sicura che sia la cosa giusta da fare. Ho fatto un duro allenamento per i viaggi a velocità fotonica. E’ ora di metterli a frutto.” Hanuman sospirò rassegnato. Poi, per un brevissimo istante, nella sua mente si fece chiarissimo il volto sorridente di Luda che gli diceva “Non ti preoccupare. Portala su Fleed. E’ quello il posto dove deve stare ora. I tempi sono maturi.” Hanuman ora era piu tranquillo. Se anche Luda insisteva per la presenza di Hikaru su Fleed, allora la situazione era veramente grave. Hikaru abbracciò Dambei, il fratello Goro. Poi si rivolse a Midori: “Abbi cura di loro in mia assenza.” Midori le sorrise: “Stai tranquilla. Di questi due scapestarti me ne occupo io.” Hikaru salutò ancora il dottor Umon, stringendogli la mano: “Arrivederci, dottor Umon.” Lo scienziato, nel contraccambiare il saluto, raccomandò alla ragazza di avere cura di se, e di non fare pazzie. Hikaru si accomodò nell’abitacolo dello Star Cloud, mentre Hanuman, reindossata l’armatura di Gren, salutava tutti. “Grazie per la sua preziosa collaborazione, dottor Umon.” Disse il cyborg, stringendo la mano allo scienziato. Poi, rivolto a tutti gli altri: “E grazie per la meravigliosa ospitalità.” Goro gli sorrise. “Torna ancora a trovarci Hanuman.” “Lo farò sicuramente”, rispose il cyborg. Poi si sistemò in piedi sul tettucciò dello Star Cloud, e diede l’ordine di partenza. “Star Cloud, decollo!” Il piccolo velivolo si levò in verticale, dapprima lentamente, poi acquisendo sempre più velocità. Sotto di esso, lo staff del Laboratorio per le Ricerche Spaziali, il Dottor Umon, Dambei, Goro e Midori stavano agitando le braccia in segno di saluto. Raggiunti i 50 metri di altezza, lo Star Cloud girò su se stesso puntando verso il cielo. I razzi propulsori si accesero e il piccolo velivolo cominciò l’ascesa. In pochi secondi scomparve dalla vista dei terrestri. Una lacrima rigò la guancia del vecchio Danbei. La sua Hikaru era cresciuta. E stava inseguendo il suo destino. Dopo pochi secondi, tutti tornarono alle rispettive occupazioni, mentre lo Star Cloud, nello spazio, sfrecciava a velocità fotonica con una destinazione ben precisa: il pianeta Dainos, nella costellazione di Vega.